there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Maratona di Torino 2012 (km 2-7)

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DUE.
Piazza Castello. Bella, grande, regale. Il punto di riferimento durante il tour del sabato. Ci muoviamo lungo la strada, e le rotaie della tramvia, verso ponte Vittorio Veneto e quelle zone in cui non sono andato la sera prima perché avevo già camminato troppo. Finalmente vedo il cartello che indica il secondo chilometro. Quando passo i cartelli il Garmin indica un tempo di undici minuti e quaranta secondi.
TRE.
Tengo il passo. Guardo un po’ della città non vista ieri. Lungo il percorso ci sono i bambini che suonano i tamburi. La gente incita. Mi vengono spesso in mente i vecchi montanari e i vecchi contadini. Mi viene in mente gente come Giorgio Bocca. Rivedo, nei gesti, nell’abbigliamento, nella cortesia e nei saluti le famiglie dei miei nonni. Quelli nati prima della guerra. Della prima guerra mondiale, in particolare.
QUATTRO.
Torino mi sembra a ogni passo più bella e sorprendente. Ci troviamo nel verde dei viali. Si intravvedono monumenti, parchi e castelli. Tengo sott’occhio il Garmin. Mi dico di rallentare. Sono tranquillo. Il pubblico ci vede e ci sorride. Vedo i palloncini delle quattro ore e tredici. Scorgo Sabrina Tricarico e Lisa Magnago, due amiche di Facebook. Che bello! (E due.) Mi avvicino a Sabrina. Le tocco la spalla sinistra. Si volta, spalanca gli occhi e mi chiede che ci faccio lì.
“Secondo te?” Più o meno questa è la risposta.
“Potrei stare con voi fino al decimo.”
“Sì, vieni. Io non so se la finirò. Ho avuto la febbre fino a ieri.”
“È meglio se mi allontano, allora!”. Ride.
Saluto Lisa, che è dalla parte opposta del gruppo, che mi chiede come va.
“Bene!” Almeno per ora.
CINQUE.
Sono nel gruppo delle quattro ore e tredici. Entriamo nel sottopassaggio di una strada. Stare con loro sarebbe carino e divertente. Dentro il tunnel cacciamo un urlo per ascoltare il rimbombo. In seguito lanceremo degli hip hip hurrà. All’uscita Sabrina mi chiede se io non abbia caldo.
“Sì,” rispondo.
SEI.
Regola dell’abbigliamento: indossare sempre un indumento in meno rispetto a quanto si pensa che sia necessario. Temperatura massima prevista: sette gradi. Temperatura massima effettiva: ben tredici gradi. Ogni goccia di sudore in più è sprecata: temo gli effetti del caldo. Mi tolgo i guanti, che metto nella tasca del giacchetto (inoltre indosso la maglietta termica invernale a maniche corte.) Controllo che non sia volato niente fuori dalle tasche. “Niente” significa carta d’identità, dieci euro, un iphone, il tubetto di Enervit GT.
Tengo il cappellino perché protegge le orecchie. Sgancio il giacchetto. Potrebbe togliere aerodinamicità tutto questo sventolare. Lo aggancio. La zip se ne mangia un pezzetto. Lo sistemo.
.
SETTE.
“State andando a cinque e trenta.” Dico a Sabrina.
“Ah, sì?”, Dice preoccupata. “Forse andiamo un po’ forte?”
Uno dei pacer va a fare pipì dietro un albero. Un altro va a fotografarlo. La scena si ripeterà.

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