Io vado più piano, ché i cinque e trenta pensavo di tenerli negli ultimi dieci chilometri. Se non ci rivediamo, ti telefono. O forse anche se ci rivediamo” dico a Sabrina. “Dai, che mi rivedi di sicuro.” Mi saluta. OTTO. Mi piace leggere i cartelli delle strade. Mi piacerebbe guardare le magliette, le persone, il pubblico, gli altri atleti, le scritte, i travestimenti, gli striscioni, le bandiere. Mi piacerebbe sentire parlare in più lingue. In questa gara c’è ben poco di tutto questo, ma è una buona gara di livello nazionale. NOVE. Quell’uomo si muove tutto dinoccolato. Sembra una delle sorelle Tortora. Quell’altro tiene il braccio destro come ingessato e muove a ogni passo la spalla sinistra molto avanti. Un altro ancora tiene la testa inclinata di quasi novanta gradi. Uno ha già il fiatone. Una donna tiene il mio passo, o viceversa. Facciamo uno o due chilometri affiancati, poi mi accorgo di stare andando troppo piano e accelero. DIECI. Psicologicamente, nelle maratone ci sono due tipi di ristori. Quelli precedenti il venticinquesimo chilometro e quelli successivi. Qua parlo dei primi. Al quinto ho preso acqua e sali senza smettere di correre. Al decimo ho chiappato al volo la bottiglia d’acqua offertami dal volontario e ho preso il bicchiere di sali, fermandomi un attimo. Al quindicesimo ho schifato con orrore una signora gentile che offriva biscotti e frutta. “Lungi da me il cibo!”, ho pensato, memore di Roma 2010 quando sputacchiavo pezzi di biscotto lungo il cavalcavia al ventiseiesimo chilometro. Al ventesimo ho preso al volo sia l’acqua che i sali. Domande da fare: “Era proprio necessario distribuire bottiglie d’acqua anziché bicchieri? Non c’è un po’ troppo spreco?” “I bicchieri, almeno, saranno stati in mater b, visto che l’organizzazione l’anno scorso ha dichiarato che la Turin Marathon era ecologica?” A me sembra che come organizzazione e quantità di merce a disposizione, i ristori fiorentini battano tutti, compresi quelli delle gare all’estero. Lo stesso vale anche per gli expo e i pacchi gara, Roma a parte. UNDICI. La gara, finora, è stata carina. Ho completato il giro turistico, fisicamente non mi sembra di avere nemmeno iniziato, mentalmente sono contento di tenere il passo che mi ero prefisso, dichiaro solennemente a me stesso di fare tutto quello che finora non ho fatto. Nella vita in genere, intendo. Il luogo non importa. “Più la gente si muove nel mondo e più è probabile che ognuno trovi il posto migliore in cui stare.” Però si deve trasferire anche la Fiorentina. Nota sui tempi. Da quando è partito il chip fino al completamento del decimo chilometro ho impiegato 1h1’35”, a una media di 6’10”/km, mentre dal momento in cui ho avviato il Garmin ho percorso dieci chilometri in 59’35”, a una media di 5’57”. In gara ho pensato “sto andando sui sei. Ok. Sono in linea.” Frase del chilometro: “Il mio sogno porta un po’ più lontano.” (Ndrr: queste frasi mi sono venute in mente durante la gara nei momenti riportati.) DODICI. Avevo controllato che ci fossero tutti i documenti prima di partire: biglietti del treno, lettere di conferma, prenotazione dell’albergo. Nella conferma c’era scritto che il certificato medico non era richiesto. Non ne ho fatto una copia e in casa a Firenze non ne avevo una. Il venerdì sera ho controllato sul sito e c’era scritto che occorreva presentarsi col certificato originale per ritirare il pettorale. Inizia un giro di telefonate tra casa a Firenze, albergo e casa a Stia per far fare almeno una copia e inviarla via fax all’hotel. Sabato mattina mi sono assicurato che ciò venisse fatto, ma non risultava pervenuto nessun fax al mio arrivo in albergo. Quindi ho telefonato di nuovo a casa, hanno rimandato un fax da una cartoleria di Stia, ma la copia non è arrivata. Finché i gentilissimi, comunque, proprietari dell’Antico Distretto, hanno visto che il toner era esaurito. Al ritiro dei pettorali non hanno chiesto il certificato. TREDICI (forse.) Il cavalcavia. Dai, mettiamo una salita, avranno pensato i simpatici organizzatori. Avanzo il baricentro. Tengo i passi corti. Muovo le braccia maggiormente. Tengo un ritmo regolare. Non ho problemi. Supero alcune persone. Vedo un Nimbus sopra di noi. Guarda la corsa senza pagare il biglietto. Sarà un emissario degli dei. Forse il pilota ci starà incitando. Forse pensa a farci uno scherzetto: scendere in picchiata su di noi e risalire a un passo dalle nostre teste. Alla mia destra ci sono dei campi. Alla mia sinistra pure, ma poi c’è lei. Fermo immagine numero uno. Una ragazza in bici. Per la descrizione, vedi più avanti. Fa più fatica lei di me in questa salita, mi sembra. “Ammazza le gambe questo cavalcavia.” Dice. Mi sa che parla con me, visto che sono l’unico essere vivente che le è accanto, se escludiamo la possibile presenza di qualche formica. “Speriamo di no.” Le rispondo sorridente e convinto che oggi non mi ammazzerà niente e nessuno. “Potevo chiederle se ha un profilo su Facebook.” Penso. QUATTORDICI. Sono sempre stato dietro ai palloncini delle quattro ore e tredici. Se ne sono andati al decimo chilometro perché io mi sono fermato al ristoro e loro no. Al quattordicesimo li ho raggiunti. Nella mia tabella di marcia mi ero prefisso di correre i secondi dieci a cinque e cinquanta. Vedevo che tenevamo lo stesso passo. Mi piaceva correre in compagnia, anche perché c’era da ridere, ascoltare, conoscere, condividere. Fermo immagine numero due. Vado da Sabrina. “Sei di nuovo qua? Hai fatto un allungo?” “No. E’ la mia tabella di marcia.” “Ah. Anche tu con le tabelle.” Mi presenta un’altra pacer. Le do la mano. La donna, tale Sara, mi guarda stupita, forse perché penso alle presentazioni anziché a correre. Sabrina dice che forse è meglio se smette di parlare, se no si stanca troppo. Hanno formato un bel gruppo. “Senti. Io riparto. Sono passati quattordici chilometri, parlo come alla partenza, non ho nessun problema, attacco. Se non ci si rivede, ti chiamo. Ciao.” La scena termina con un: “Ciao Lisa!”. “Ciao Ric”. Lei come minimo ci sarà anche a Firenze, penso. Lei è ovunque si svolga una maratona. Anche in contemporanea. QUINDICI. Una rotonda, dei viali alberati, palazzi alti ai lati. Tutte condizioni che fanno sbarellare il passo istantaneo del Garmin. È possibile che vada a sei e trenta? No. Non è credibile. Guardo il passo giro. Mi sembra che quello, corrispondente circa a cinque e cinquanta, sia coerente con le mie sensazioni e le letture precedenti. Anche il passo medio mi sembra regolare. Accelero solo un po’, esco dai viali e il passo istantaneo indica 4’58. Tenerlo impostato sullo schermo ha un valore solo psicologico. Le maratone non sono gare in cui ci possiamo permettere allunghi e scatti e rallentamenti: figuriamoci se ci possiamo affidare ai suoi balletti.