VENTICINQUE. Il ristoro che sancì la fine dei sogni a Roma. Il chilometro in cui in allenamento può succedere di arrancare o di non avere più voglia. Adesso lo supero in scioltezza. Sento una voce. “Pensavi che non mi facessi sentire?” “E tu chi sei?” “Sono io. La maratona, the original. Che pensavi di avere a che fare con una mezza qualsiasi? Soprattutto dopo che hai cercato di sminuirmi. Non ero più tra le tue priorità. Hai preferito stare a letto quattordici ore anziché alzarti per correre. Pensavi a me come a un viaggio in cui avresti potuto riflettere sulla tua vita, sul tuo futuro e sull’universo. Hai mangiato troiai quando hai voluto. Non hai fatto esercizi fisici. Anzi. Non hai fatto niente. Dicono tutti che sei sparito. Hai cercato di velocizzarti e basta. Hai passato un anno tra gare brevi, mezze maratone e allenamenti sotto i dieci chilometri. Mi volevi tradire con delle stupide gare in salita. E adesso farai i conti con la mia sete di vendetta. Continua a fare i tuoi calcoli inutili. Falli anche quando non avrai più la forza di pensare e vorrai soltanto fermarti e mancheranno ancora tanti tanti tanti troppi chilometri. Allora supplicherai che i chilometri finiscano, rallenterai e non vorrai leggere la tua disfatta sullo schermo di quell’oggetto stupido, andrai talmente piano che ti supererà perfino Filippide, quello originale, ti verrà da vomitare, un bambino ti darà il cinque e ti chiederà se vuoi fare da palo per una gara tra le sue tartarughe, ogni passo sarà una fitta a un piede, un falegname ti seguirà per registrare il suono del martellamento della tua bandelletta ileo tibiale e vincerà un concorso a premi, ogni cinque secondi ti chiederai quanto manca e quanto è passato da quanto mancava alla fine, ti getterai a peso morto sul tavolo dei ristori ma ci sbatterai contro e lo rovescerai, i… Ndrr: ehm, prima o poi pensi anche di mandarlo questo racconto? Ndrr 2: va bene. Dove ero rimasto? Ah, già… “… adesso farai i conti con la mia sete di vendetta. Continua a fare i tuoi calcoli inutili. Falli anche quando non avrai più la forza di pensare e vorrai soltanto fermarti e mancheranno ancora tanti tanti tanti troppi chilometri.” VENTISEI (o 23? O forse 20?). È già successo ogni volta avessi corso più di venti chilometri. Diciamo da luglio in poi. A un certo punto mi prende un dolore sul calcagno destro, ma passa presto. Adesso è arrivato. Fa male. Fa molto male. Forse fa troppo male. È come una puntura o una fitta che si ripete a ogni passo. Di solito basta spostare un po’ l’appoggio per sopportare meglio, ma stavolta il dolore è più esteso. Carico tutto sulla gamba sinistra. Il piede destro lo strascico e basta. Mi dico che non sarà facile andare avanti così. Mica dovrò correre con questo dolore da qui in avanti? Perché è chiaro che non mi lascio fregare da uno stupido calcagno: il dolore è sempre passato e deve passare anche questa volta. VENTISETTE. Questa potrebbe essere una superstrada. Abbiamo superato Grugliasco e adesso siamo a Collegno. Nei paesi ci accolgono della musica, un po’ troppi tamburi e una buona quantità di pubblico calorosissimo. Adesso siamo un gruppo folto di atleti. (Se prima ero da solo, vuol dire che li ho raggiunti, nota di rr che se ne accorge mentre scrive senza averci fatto caso quando correva: anche questo rientra tra gli effetti di avere sulle gambe e soprattutto in testa più di venticinque chilometri.) All’orizzonte vedo una salita. Il dolore al piede è passato: per forza! Non gli ho dato peso. “Anche a me non hai dato peso.” “Che stai zitta?”
Maratona di Torino 2012 (km 25-27)
11 Maggio 2014 | 0 commenti