TRENTADUE Ragazza adolescente in corso Francia, il lungo rettilineo che ci porta verso la città, cammina nella nostra direzione. Un’amica è seduta sul guardrail. “Vuoi arrivare fino a Torino?” Due giovani atleti. Lui a lei:”Se avessimo avuto la forma di settembre, chiudevamo in tre ore e cinquanta.” Una signora al microfono urla:”Dai che il centro è vicino!” Gli addetti alle transenne incoraggiano e mostrano la via. Ndrr: vedi nota al km 16. TRENTATRE (2). Fermo immagine numero cinque. C’è un rettilineo. Uno dei tanti viali alberati. Alla mia sinistra appare una bici. Sopra di lei, anche se impiego qualche secondo per accorgermente, c’è la stessa ragazza che mi aveva parlato su un cavalcavia qualche chilometro prima. Avrà tra i venticinque e i trent’anni. Capelli castani chiari, occhi azzurri, tenuta e bici da ciclista da strada, espressione serena e felice, sportività di chi passa una mattinata a seguire delle persone che stanno partecipando a una corsa. “Tu sei la ragazza che era sul cavalcavia.” Le dico qualche secondo dopo averla osservata e indicata con l’indice sinistro. Mi sorprendo anche della forza con cui riesco a pronunciare la frase. Lei annuisce e sorride. “Sì!” “Ci siamo!” Le urlo stringendo il pugno sinistro. Espressione un po’del cazzo che vorrebbe dire: “Non è giornata per i cavalcavia che cercano di ammazzarmi le gambe. A differenza di Firenze 2011.” Possono venire le lacrime agli occhi a ricordare questo momento? “Ci siamo!” Conferma lei agitando il pugno da dolce rivoluzionaria (cit. Modena City Ramblers.) Si vede che è giornata di pugni alzati, oltre che di sorrisi. Per altri tre chilometri ripenso a questa scena, costruisco storie e almeno per uno o due riprendo a volare. TRENTASEI (1). Ohcertochel’èllungalamaratona.