there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Maratona di Verona 2011: la mia prima maratona.

| 0 commenti

Alla partenza. Trovarsi con tanti corridori spinge a completare la gara. Siamo stati con Mahmadou al caldo e poi in bagno. Sulle scale ho visto Sabrina e ho scoperto che il bagno delle donne aveva una fila più scorrevole di quello degli uomini.

La partenza è sempre un momento emozionante. Non c’era il volume di persone che era nelle mezze maratone fatte in precedenza. Non c’era nemmeno un ritmo di musica, per non parlare del pubblico.
Io stavo pensando a come fare e a quale pacer seguire. La prima idea era di seguire il ritmo delle 4h30′ insieme anche a Mahmadou e a Piedelibero, che aveva una testa di lupo e una trombetta per ravvivare un po’ la gara.

Avevo anche un ritmo gara da tenere, ma mi sembrava di andare troppo veloce. O meglio: così segnalava il Garmin (6’10” anziché 6’30”). Contemporaneamente sentivo i pacer delle 4h45′ affermare che stavano andando troppo forte anche loro, ma a ritmi diversi da quelli che indicava il mio Garmin. Forse, la cosa migliore era seguire loro.
Così ho incontrato Alina Losurdo, finora amica di fb e triathleta.

Ci sono tre livelli da considerare: cosa succedeva, cosa pensavo e quali confronti fare con le gare precedenti.

All’inizio tutto bene. Anche perché andavo comunque piano. Mantenevo i 6’35”, facevo conoscenza con qualcuno (una donna, in particolare: Marisa Pengo, ultramaratoneta), ascoltavo le cose che dicevano i pacer e il modo in cui si prendevano in giro. Alina Losurdo parlava del triathlon, della volontà di seguire l’orologio biologico e sposarsi (tenendo conto degli impegni atletici), della droga maratona.
Frasi storiche che ricordo: “Mi hanno chiesto che tempo faccio. Gli ho risposto: “nuvoloso”.
“Vorrei sposarmi sul traguardo di un Ironman”.

La compagnia di altri runner, conosciuti o meno, è molto utile, specialmente ai ritmi lenti.

Certo. Non eravamo molti in gara e quindi non c’erano ragazze spagnole da seguire come alla Roma – Ostia, sconosciuti con cui parlare o magliette carine da ricordare come ad Amsterdam e nemmeno tempi da raggiungere come a Berlino.

Per quanto riguarda il pubblico sulla strada, erano rimarchevoli le persone che c’erano (“Benvenuti a Chievo”, ha detto un vecchietto con le cesoie), ma la presenza era sporadica.

I primi venti chilometri sono filati in scioltezza, ascoltando chi era con me e pensando che era giusto stare ad un ritmo lento per evitare problemi. Era previsto che dovessi correre seguendo le impostazioni della tabella, ma una volta deciso di finirla, non potevo.

Da segnalare una volta per tutte l’organizzazione eccellente. Ogni cinque chilometri c’erano acqua, thè, sali, banane e biscotti. Due chilometri e mezzo dopo c’erano gli spugnaggi. Molto buoni anche gli appostamenti lungo le strade.

Nelle altre gare, di solito, mi facevo dei film. Cosa avrei potuto dire o raccontare, in base a quello che vedevo. Stavolta pensavo all’idea di finirla in scioltezza e quindi adottare una tattica adeguata. Il tempo non contava. Speravo nelle 4h30′, ma che differenza faceva chiudere in un tempo più alto una gara che non era previsto che facessi?
Al 20k ho perso i pacer, impegnati in funzioni fisiologiche e ho perso completamente i punti di riferimento. Ho provato ad accelerare un po’, perché così avevo previsto. Sentivo molto bene le gambe, lo stomaco e la testa. Tenevo dietro i pacer delle 4h45′ e questo era comunque buono, mentre sul lungadige ho incrociato Sabrina Tricarico e PiedeLibero Leo. Li ho salutati ed ero contento. Piano piano eravamo sempre di meno e questo non era bello. Il Garmin mi dava indicazioni ballerine. Eravamo ancora a metà gara e avevo varie idee: accelerare un po’, finire bene e quindi tenere il ritmo. Non avevo previsto che avrei rallentato da lì in poi di circa dieci secondi al chilometro ogni cinque chilometri. Il bello è che non me ne sono reso affatto conto fino al 37k, quando ho smesso di guardare il Garmin e ho pensato solo a finire la gara correndo. Avevo accelerato poco prima, ma era il canto del cigno.

Non è stato particolarmente emozionante l’ingresso all’Arena e nemmeno il finale, compiuto sorridendo, certo, ed entusiasta, anche perché non avevo avuto crisi o muri in nessuna parte del corpo.

L’emozione più bella è stata arrivare in Piazza dei Signori: eravamo in città e avevamo lasciato il Lungadige. Inoltre da quel momento ho pensato che avevamo quasi finito. E’ la stessa cosa che mi succede in allenamento (ma mi sarei fermato) e che è successa nelle altre gare (ma si continua).
Ad un certo punto penso che ogni ulteriore risultato vada bene e penso solo a finire. Il problema è che stavolta mancavano otto chilometri.

Poi non camminavo benissimo, ma ero più distrutto a Berlino.

Leggere i parziali è stato deludente, ma ripensiamo un po’ a da dove siamo partiti e anche a cosa leggevamo. Il vantaggio psicologico. Seguire i pacer. Berlino: non volevo più e mi allenavo male. Ora ho molta voglia e rifarò una maratona dopo un mese. Tanti dubbi sono spariti.Volevo fare le sei ore quando sono andato alla firenze marathon wellness.

Lascia un commento