Chi vince è spesso guardato con sospetto. L’invidia sociale fa parte del mondo. Nello sport, per lo meno, contano i risulati, e su quelli non si può barare: chi arriva primo vince e chi arriva primo, a meno che non si tratti di gare decise dai voti di una giuria, si vede a occhio nudo. Chi fa più gol vince. Chi fa più canestri vince. Chi fa più punti vince. Chi taglia il traguardo per primo vince. Chi tocca la piastra in una piscina per primo vince.
Si può, però, barare per arrivare a vincere. Chi fa uso di doping non ricorre solo all’allenamento, oltre che al proprio talento, alle proprie capacità tecniche e al loro miglioramento fatto di lavoro, impegno,costanza, dedizione. Doparsi permette di acquisire forza, resistenza e questo può portare vantaggi ad un atleta che sia già ovviamente competitivo.
Il sospetto aleggia soprattutto quando ci sono dei cambiamenti repentini nelle performance e anche nella struttura fisica di un atleta.
Michelle Smith De Bruin è un caso da manuale, in tal senso.
Il suo palmares vede una collezione di successi in tre stagioni consecutive, quando già aveva venticinque anni.
Oro nei 400 stile libero, nei 200 misti e nei 400 misti e bronzo nei 200 farfalla alle Olimpiadi di Atlanta ’96; oro nei 200 farfalla e nei 200 misti e argento nei 400 misti agli europei di Vienna’95; oro nei 200 stile libero e nei 400 misti e argento nei 400 stile libero e nei 200 farfalla agli europei di Siviglia ’97.
Prima del’96 aveva mancato di poco le semifinali alle Olimpiadi di Seul, a diciotto anni. Era finita tredicesima ai 400 misti ai mondiali di Perth’91, aveva subito un infortunio durante la stagione olimpica di Barcellona, quando comunque aveva gareggiato senza lasciare traccia nei 200 e nei 400 misti. Nel 1995, comunque, Michelle aveva ottenuto il record irlandese nei 50,100,400,800 stile libero; nei 100 dorso, 100 e 200 farfalla; 200 e 400 misti. Tutti nel 1995. Nello stesso anno nel ranking mondiale era prima nei 200 farfalla, sesta nei 100 farfalla, settima nei 200 misti. Diventò la prima donna irlandese a conquistare un titolo europeo nei 200 farfalla e nei 400 misti.
Il ’93 è stato sicuramente l’anno della svolta per lei. Eric De Bruin, un lanciatore del disco conosciuto alle Olimpiadi di Barcellona, diventò suo allenatore e suo fidanzato. Lui era già stato sospeso per uso di sostanze proibite per quattro anni. Lui riteneva lo sport un concentrato di disonestà e non poneva nessuna obiezione etica all’uso del doping.
Il 1996 era stato il suo anno d’oro, in tutti i sensi. Gold era anche il titolo di un libro autobiografico che aveva scritto.
La gara dei 400 misti ad Atlanta fu uno spettacolo: lei in testa nella frazione a delfino, ripresa poi dalla Egerszegy a dorso, superata dalla Wagner a rana e poi involatasi verso l’oro olimpico. Certamente quella soddisfazione in quel momento non gliela potrà togliere nessuno.
Per l’Irlanda era diventata un’eroina nazionale. A ogni ora del giorno le radio trasmettevano Michelle, dei Beatles, in suo onore. Comprensibile in una nazione che fino ad allora, dalla seconda guerra mondiale, aveva vinto due ori olimpici in tutta la storia e in cinque giorni ne conquistava tre. Gli irlandesi stavano alzati fino a tardi e seguivano le imprese della campionessa, annunciate dal conduttore Jim Sherwin. Intanto nel Paese non c’erano neppure piscine olimpiche. Nei pub venivano offerte delle birre, uomini adulti corpulenti si mettevano a piangere quando lei otteneva la vittoria. Giorno dopo giorno lei continuava a vincere e l’Irlanda era ai suoi piedi. Al suo ritorno il presidente la accolse per stringerle la mano, proprio come aveva fatto Bill Clinton ad Atlanta. Le fu steso un tappeto rosso alla discesa dall’aereo. Tutta la nazione era in festa e accoglieva la regina senza corona d’Irlanda. Il papa difficilmente avrebbe avuto un ricevimento migliore.
In una delle poche volte in cui la Smith ha parlato del suo passato, quindici anni dopo, lei ha sostenuto di essere stata in un eccellente stato di forma, di essersi allenata duramente in quel periodo. Si è anche mostrata sorpresa quando le è stato raccontato il giubilo che permeava il Paese nei giorni di Atlanta. Anche i muri raccontavano di lei, con parole e disegni.
Michelle era cresciuta nella zona meridionale di Dublino. I suoi avevano un pub tradizionale, il Poitin Still a Rathcoole. I mecenati del pub erano anche suoi ferventi ammiratori: la loro sponsorizzazione, in un Paese privo di piscine olimpiche, era fondamentale. Lei era sempre stata carina, intelligente, modesta, all’interno della sua comunità.
Le Olimpiadi di Atlanta erano quelle di casa per sweetheart Janet Evans e fu proprio la Smith a romperle le uova nel paniere. Dopo avere ottenuto la finale nei 400sl e perciò essere finita nona, fuori dalla finale, la statunitense disse stizzita che non avrebbe voluto accusare nessuno, ma in piscina si rumoreggiava molto sulla crescita improvvisa della Smith, sia come successi che come aspetto fisico.
I media statunitensi iniziarono a trattare miseramente la nuotatrice irlandese finché la Evans dovette scusarsi pubblicamente, mentre il CIO sosteneva che gli americani erano malati di “UncleSamism.” L’americano di origini irlandesi Bill Clinton disse a Michelle di non prestare attenzione ai sussurri e ai sospetti.
Nei due anni successivi il mondo del nuoto continuò a sospettare di lei e forse ad accanirsi contro di lei. La Smith fu sottoposta ad almeno cinque controlli, ma risultò sempre pulita. Sports Illustrated, nonostante ciò, le dedicò una copertina in cui si vedeva un bicipite e una siringa e in cui il giornale si domandava se quella della nuotatrice irlandese fosse stata vera gloria.
Anche in Irlanda non tutti erano convinti delle performance della Smith.
Il nuotatore esperto Gary o’Toole aveva dei dubbi, ma gli fu detto dalla tv irlandese, dove commentava, di tenerseli per sé. Lui non intendeva rompere la bolla. In seguito racconterà di aver detto alla Smith di fare attenzione a quel che stava facendo. Lei non gli disse niente. I tempi che lei ha fatto sono difficilmente battibili dalle nuotatrici irlandesi (ma anche dai nuotatori irlandesi) oggi e chissà per quanto lo saranno, comunque.
Un ciclista irlandese, Paul Kimmage, esperto di droghe, chiese pubblicamente agli irlandesi di non nascondere la testa sotto la sabbia.
Il giornalista Tom Humpreys, in seguito accusato di violenza su una quattordicenne, si dimise dall’Irish Times perché un suo articolo che poneva dubbi in merito, non fu pubblicato. Anni dopo, non volle affrontare il discorso sull’opportunità di includerla o meno tra le personalità sportive di spicco nella storia d’Irlanda. Per lui la questione era chiusa.
La storia sportiva di Michelle finì nel 1998, a seguito di un controllo a sorpresa effettuato dagli ispettori della FINA. L’anno prima aveva continuato a vincere agli europei, come visto, e dai controlli antidoping risultò pulita. In altre occasioni i controlli a sorpresa erano stati elusi, perché la Smith era assente, ma quella volta nel’98 non fu così. Fu suo marito Eric ad aprire ai controllori, dopo averli lasciati a lungo fuori dal cancello nella sua casa. Fu lui a sparire per qualche minuto prima di consegnare il campione di urine. Furono loro a sentire immediatamente un forte odore di whiskey. Le provette furono portate a Barcellona per essere analizzate e, proprio mentre la Smith stava tenendo una conferenza stampa in cui avrebbe letto un comunicatio di undici pagine, il suo difensore, Peter Lennon, le comunicò i risultati. Non solo la quantità di alcool presente nelle urine, se ingestita regolarmente, l’avrebbe uccisa, bensì c’erano tracce di androstenedione, un precursore del testosterone. Era evidente, per l’accusa, il tentativo di nascondere il doping con l’alcool.
“Sono innocente rispetto a queste accuse,” disse mrs.De Bruin, “sono impressionata dal modo in cui queste sono diventate di pubblico dominio e intendo difendermi fino a dimostrare la mia totale innocenza. Se necessario, sono pronta a rivolgermi al Tribunale Internazionale dello Sport in Svizzera.”
Malgrado le sue parole, arrivarono la squalifica di quattro anni, nessuna possibilità di appello e il ritiro, che avvenne nel 1999.
Dopo la squalifica iniziò in Irlanda l’opera di smantellamento della leggenda di Michelle Smith De Bruin. Il bagliore scomparve.
Aveva preso parte a uno spettacolo televisivo nel 1997. Il direttore di produzione affermò che lei non guardava negli occhi che suo marito. Secondo lui è evidente che è stata sua la colpa di tutto, se c’è stata. Durante le dieci puntate si impegnò tantissimo per riuscire, come se questa voglia di emergere, di primeggiare fosse dentro di lei.Davvero si impegnava tantissimo. Davvero si sarà allenata tantissimo. Chi può dire quanto sia stata consapevole di aver barato, ammesso che lo abbia fatto?
Dal momento della squalifica, comunque, il silenzio pubblico calò su di lei, gli sponsor se ne andarono, lei stessa non volle più parlare del suo passato. Partecipò a un reality nel Connemara, ma rifiutò di partecipare, o le fu impedito di partecipare, a una serata in cui le avrebbero chiesto del suo periodo da nuotatrice (o fu lei a intimare di non parlarne.) Chissà quanti saranno stati i suoi supporter che le sono rimasti a lungo fedeli.
Un suo amico di lunga data conferma che lei è intimamente convinta della propria innocenza.
Jimmy Magee, un amico di famiglia, conosciuto come “the memory man”, un conoscitore dello sport irlandese come pochi altri, l’ha inserita nel “greatest sporting memories, vol.1.” Lei ha partecipato al lancio del video, per poi ritirarsi di nuovo nell’anonimato, meglio che poteva. Lui ha detto che la Smith avrebbe dovuto portare la torcia olimpica perché nessuno le ha mai tolto le medaglie e si è attirato le critiche di altri giornalisti e tifosi dello sport.
Il padre di Michelle garantisce sull’onestà della figlia. Ha riportato che sua figlia, il giorno stesso del suo matrimonio, si è allenata prima della cerimonia, poi è tornata a casa, è andata a letto, è uscita per il matrimonio stesso, è tornata a casa, si è allenata per altre due ore, è di nuovo uscita. “Vi sembra il comportamento di qualcuno che usa droghe come supplemento?” Ha chiesto. Purtroppo la risposta può essere che la forza per allenarsi così duramente e restistere potrebbe esserle derivata proprio dalle sostanze proibite.
Nessuno sa oggi quanti siano convinti dell’innocenza o della colpevolezza della Smith, ma una cosa è certa: lei è scomparsa dalla storia dello sport irlandese. E’ stata cancellata dalla memoria. Da regina d’Irlanda a sportiva mai esistita. Non è menzionata nell’Enciclopedia d’Irlanda. Non appare neppure tra i record degli “Ireland’s Community Games” a seguito del voto contrario al suo inserimento da parte della maggioranza degli irlandesi non di Dublino,
Il corridore, campione olimpico, John Treacy, direttore esecutivo dell’Irish Sport Council, ha affermato che l’eredità lasciata dal caso Smith è quella che oggi l’Irlanda ha una buona politica anti doping. Il resto è stato lasciato alle spalle. Michelle è scomparsa dalla psiche della nazione. Forse gli irlandesi avrebbero ammirato il suo coraggio se si fosse scusata e l’avrebbero perdonata, ammette un altro ufficiale sportivo. “Forse è meglio così anche per lei: vive in pace, nuota ancora, insegna nuoto ai bambini al Kilkenny Community Centre. In fin dei conti lei è stata una delle cose più belle accadute all’Irlanda nella storia recente e anche una delle più brutte. Ha avuto anche qualche appoggio, come quello del senatore Coghlan, che ha detto:”Ci sono atleti vincenti nel mondo che hanno subito test risultati positivi e non sono mai stati castigati così tanto nel loro Paese come questa nazione ha fatto con Michelle.”
Eppure da quella storia di difesa, accusa, processo la Smith ha creato la sua nuova vita. Anche lei si è lasciata alle spalle il passato da nuotatrice campionessa olimpica e ha focalizzato le sue energie sul mondo della legge e della giustizia. Si era già appassionata al suo caso: “voleva sapere tutto”, ricorda il suo avvocato, “portare riscontri, capire le regole, i meccanismi legali, le procedure”. Dopo il suo ritiro si è iscritta a legge al college di Dublino. Si è laureata nel 2005. Come studente ha ottenuto il successo al prestigioso Brian Walsh Moot Court Competition. Il suo primo libro, del 2007, transnational litigation, pubblicato nel 2008, è particolarmente riconosciuto nei circoli legali. Si è dedicata alla nuova professione con dedizione, entusiasmo, anima, passione Anche la scelta della professione rende intrigante la sua storia. Un baro messo a difendere la giustizia? Oppure una persona ingiustamente accusata che si rivale sul mondo difendendo altri accusati?
Le è stato chiesto perfino di portare la torcia olimpica nel 2012, ma ha rifiutato. Non rilascia interviste, dice l’editore dell’Irish Times. Non ha più un profilo sportivo pubblico, non risponde alle richieste di interviste sul passato sportivo, è un rispettato avvocato, parla quattro lingue, svolge con successo la pratica legale e il pubblico l’ha dimenticata.
In ogni caso continua ad avere successo con le sue ossessioni. In un’intervista recente lo ha detto lei stessa: “Io sono una combattente e voglio vincere ovunque.”