“Vincenzo Nardiello è stato un talento precocissimo. Fin da juniores. Poteva toccare vette assai maggiori di quelle raggiunte. Nelle poche occasioni in cui è salito concentrato ha mostrato una superiorità stridente su rivali quotatissimi. Sia nei dilettanti che nei professionisti. Ai Giochi di Seul ’88, strameritava la finale con Roy Jones. Purtroppo era istintivo a livello assoluto, aveva momenti di esaltazione e di depressione. Avessi tempo, scriverei un libro su questo meraviglioso “animale da ring” nel senso più nobile del termine. Era personaggio dentro e fuori dal quadrato. Divenne beniamino a Parigi con una sconfitta esaltante. Ha conquistato l’europeo in Italia e il mondiale all’estero, lo ha perduto a Milano contro un avversario bravo ma non certo un super come Read. Sempre ha fatto e disfatto lui. Le sceneggiate erano il suo forte. Davvero meriterebbe il ricordo di una vita spericolata. Adesso sembra più morbido, ma vi assicuro che negli anni ’90, con quegli occhi di ghiaccio e i capelli biondi, mancino delizioso quando era concentrato, sapeva deliziare il pubblico. Come farlo infuriare per le occasioni gettate. Il padre è stato il suo maestro e posso assicurarvi che solo con infinita pazienza, l’ha fatto salire in alto. Il resto, da professionista, l’ha compiuto Rocco Agostino, l’unico che ascoltava sia pure al 50%. Che era il massimo della partecipazione.” Questo è il ritratto di un forumista di Mondoboxe, scritto a fine anni Novanta.
In molti si ricorderanno del verdetto scandaloso che sancì la sua sconfitta alle Olimpiadi di Seul contro il coreano Park Si Hun. In pochi, forse, ricorderanno invece che quelle Olimpiadi hanno rappresentato forse il punto più basso nella storia del pugilato olimpico.
Per tutti i pugili già essere presenti alla manifestazione massima dello sport era motivo di orgoglio e sicuramente tutti avrebbero voluto disputare “il torneo della propria vita.” Alcuni arbitri diranno che per loro l’onore di essere lì valeva più di qualsiasi premio. Purtroppo alcuni atleti disputarono davvero delle “gare della vita” o almeno avrebbero vinto dei match, se il verdetto non fosse stato condizionato da elementi che non c’entravano niente con lo sport.
Purtroppo per altri ufficiali di gara i premi in gioielli o in alloggi di lusso valsero di più dell’onore.
Alla fine, quindi, arbitri, pugili, spettatori si trovarono immersi in un vortice di corruzione, risse, polemiche, sospensioni, verdetti scandalosi, paura di essere linciati la cui coda risaliva perfino alle Olimpiadi di Los Angeles. Non si sa esattamente che ruolo ciascun personaggio abbia recitato, ma quello che era venuto meno durante quell’Olimpiade era il senso del gioco, del divertimento e dello sport.
Nardiello, dunque, perse l’incontro dei quarti di finale e non poteva sapere di essere una pedina di un gioco su cui lui non aveva nessun potere e di cui non aveva nessuna responsabilità. Non lo sapeva lui, ma non aveva motivo di saperlo neppure il suo avversario, il coreano Park Si Hun.
“Probabilmente nessun campione olimpico nella storia ha meritato così poco una medaglia d’oro del pugile coreano Park Si Hun, che ha beneficiato di cinque decisioni delle giurie, tutte ugualmente scandalose.” Così scrive Wallechinsky nel suo “Book of olympic list” nel capitolo sulle vittorie di cui non c’è da entusiasmarsi troppo. Continua l’autore:
“Al primo incontro Park batté il sudanese Ramadan a seguito del ritiro di quest’ultimo, impossibilitato a continuare a causa di due colpi proibiti del coreano, al fegato e a un fianco. Malgrado questi colpi illegali il giudice australiano, Ronald Mark Gregor, assegnò la vittoria per ritiro al pugile di casa.
Al secondo incontro sconfisse il tedesco dell’est Torsten Schmitz, uno dei favoriti per la vittoria finale. La maggior parte degli osservatori riteneva che avesse vinto quest’ultimo, ma i giudici non furono dello stesso avviso, anche se emisero un verdetto non unanime. A poco servì a Schmitz andare su tutte le furie.
Al terzo incontro, un quarto di finale, esplose quello che in Italia stava per diventare lo scandalo Nardiello. Dopo i primi due turni, tutti e cinque i giudici davano in vantaggio il pugile italiano e per due di loro la vittoria sarebbe spettata a lui anche dopo il terzo turno. Gli altri tre giudici, però, assegnarono il terzo turno a Park con un tale margine che fu il coreano a passare in semifinale per “preferenza,” malgrado il tabellino indicasse parità (e già questo era scandaloso, dato l’andamento del match.) Nardiello si piegò sulle ginocchia e cominciò a battere i pugni per terra, quindi urlò di tutto in faccia ai giudici avvicinandosi al loro banco, finché fu portato via.
Una ricerca nell’archivio storico di Repubblica riporta alla luce i pezzi di Gianni Clerici e di Emanuela Audisio scritti quel giorno.
A rivedere il match viene da chiedersi come il pugile italiano non abbia rovesciato il tavolo della giuria. Prima dell’annuncio della vittoria, il sorriso di Nardiello faceva da contrasto con l’amarezza del coreano. Il pubblico ha applaudito il pugile italiano e fischiato poi la giuria.
In semifinale, poi, toccò al canadese Ray Downey essere sconfitto, dopo un verdetto non unanime, con lo stesso margine toccato al tedesco dell’est due incontri prima.
La finale, quindi, fu tra Park, ormai soprannominato a spregio “l’imbattibile” e l’americano diciannovenne Roy Jones Jr, che dichiarò: “So quanto sia difficile ottenere una vittoria contro un sud coreano, ma non posso fare altro che combattere e poi vedere alla fine se secondo i giudici avrò vinto oppure no. Io cercherò di metterlo KO, comunque.” Il KO non riuscì, ma il dominio dell’americano non sfuggì a nessuno. Secondo una società privata che teneva il conto dei pugni, la Compubox, Jones aveva rifilato 86 colpi all’avverersario contro i 32 di Park. Incredibilmente, tre dei cinque giudici dettero la vittoria al coreano. Osservatori di tutte le nazionalità, veterani del ring, giornalisti, arbitri e tifosi furono unanimi nel giudicare vergognosa la decisione della giuria. “Uno scandalo da vomito” titolò L’Equipe. Perfino i tifosi coreani erano imbarazzati: ci furono telefonate ai giornali e alle televisioni per lamentarsi. Anche lo stesso Park si scusò con Jones, dicendogli in faccia, per mezzo di un’interprete, “Mi spiace. In realtà ho perso il match. Mi sento molto male.” Sul podio Park alzò il braccio di Jones, come a dire che il vero campione olimpico avrebbe dovuto essere il suo avversario. Sports Illustrated riportò un’intervista a un giudice, Hiouab Larbi, marocchino, che diceva a dei giornalisti arrabbiati:”L’americano aveva vinto così facilmente che in effetti io ero sicuro che i miei compagni di giuria avrebbero assegnato la vittoria a lui con un margine molto ampio. Allora io ho votato per il coreano, affinché il punteggio fosse di 4-1 e non mettesse in imbarazzo la nazione ospitante.” Sfortunatamente, anche i giudici uruguaiano e ugandese fecero la stessa cosa
Vediamo nel video l’imbarazzo di Park Si Hun, il suo abbraccio a Jones, le lacrime dell’americano, gli spettatori attoniti.
Il commento di Rino Tommasi alla fine di questo incontro fu lapidario: “In Corea del Sud non ci sono atleti professionisti, ma ci sono dei giudici che sono dei ladri professionisti.”
Anche Park, anche Jones non stavano sfidandosi lealmente in un incontro di sport, ma stavano recitando in un gioco già deciso da altri, senza che loro ne fossero a conoscenza. In fin dei conti sono stati protagonisti di un “momento nella storia.” Sono stati protagonisti involontari di “cose che succedono.” Se non altro, loro si sono picchiati sportivamente, secondo delle regole ben precise.
A un arbitro, invece, andò decisamente peggio.
Come antefatto dobbiamo dire che secondo gli ufficiali della federazione pugilistica coreana, i loro atleti erano stati derubati dagli americani in più occasioni nel corso dell’Olimpiade precedente.” Da qui a creare un clima di terrore nei confronti degli arbitri e dei giudici il passo è breve, no?
No, certo, ma questo passo, breve o lungo che sia, ci fu davvero. Scene di autentica follia sconvolsero il mondo già al primo turno. Durante un incontro dei pesi gialli, tra il coreano Jong Byung e il bulgaro Alexandr Hristov, n arbitro neozelandese, Keith Walker, si rese colpevole di più ammonizioni e di vari richiami nei confronti dell’atleta di casa a seguito di comportamenti scorretti. Il vincitore fu, così, il bulgaro. Subito dopo l’annuncio del verdetto, l’arbitro fu linciato dallo stesso staff tecnico del coreano, nonché da membri della federazione. Anche gli altri giudici furono bersagliati dagli “ufficiali” e pure chi aveva difeso l’arbitro, preso a bottigliate, a seggiolate, a pugni vigliacchi alle spalle. Tra l’altro l’allenatore aveva già dato due colpi all’arbitro dopo un richiamo e malgrado ciò non era stato espulso, ma gli era stato intimato di rimettersi a bordo ring. Alla fine l’arbitro restò inebetito in un angolo mentre il pugile restò per più di cinquanta minuti a piagnucolare sul ring come se fosse stato privato di chissà quale onore e merito. Prima di uscire dall’impianto l’arbitro fu anche colpito da un colpo di taekwondo tirato da un usciere. Nel video dell’attacco si vede alla fine l’arbitro tornarsene a casa. Sarebbe stato il suo ultimo incontro comunque, disse. In ogni caso fu squalificato anche lui, dalla federazione internazionale, insieme al coreano, al suo allenatore capo, a tre assistenti.
Intanto i tifosi telefonavano arrabbiati all’ambasciata neozelandese e i giornali coreani scrivevano che gli americani complottavano per non far vincere gli atleti di casa. Teniamo presente che la Corea di allora stava per conoscere un cambio di regime a seguito di rivolte di piazza e, come scrive Emanuela Audisio nell’articolo in cui descrive quanto accaduto, “tutti nel mondo hanno visto l’ altra faccia del paese, quella dove non ci sono né inchini né sorrisi.”
Le conseguenze immediate della caccia all’uomo furono uno sciopero degli arbitri, annullato nel momento in cui fu garantita la presenza di poliziotti a bordo ring. Possiamo considerare il caso delle vittorie di Park e anche della sconfitta di Jones come conseguenza di quel clima? Probabilmente sì. In fin dei conti l’arbitro uruguaiano della finale ha ammesso proprio che aveva dato come vincitore il coreano per non far sentire umiliati i tifosi di casa e quindi per tenerli calmi.
I due massimi dirigenti della federazione boxistica coreana e del comitato olimpico coreano si dichiararono disgustati dalla vicenda e si dimisero. Anwar Chowdhry, il presidente dell’International Amateur Boxing Federation dichiarò che questo era stato il giorno più disonorevole nella storia dello sport.
Articoli del giorno e delle settimane successive che vale la pena leggere sono questo, questo e questo.
Ebbene. Pensate che il capo allenatori coreano, una volta squalificato, non abbia continuato a seguire i suoi pugili e a disporre istruzioni a bordo ring? Ecco. Non fu così. Stava solo un po’ spostato sul retro, in piedi, e se qualcuno gli faceva notare che avrebbe dovuto essere sospeso e quindi non trovarsi lì, veniva minacciato, come accaduto a un giornalista.
Nelle parole dello stesso arbitro Walker, quel giorno fu un momento della storia. Sarà proprio lui a parlare di “cose che succedono” e lui ci si è ritrovato in mezzo come attore protagonista.
Certo. Definire per poter definire quell’Olimpiade, come “Il punto più basso mai raggiunto dal pugilato” qualcosa doveva succedere. Ad alcune persone alcune cose dovevano succedere. Quelle persone forse avrebbero preferito non far parte di un momento storico negativo, ma così fu e non hanno certo molto da recriminare. Casomai l’arbitro Walker può essere contento di non averci rimesso le penne.
Certo. Le cose che succedono avevano una piega decisamente favorevole ai pugili di casa.
Intervistato venti anni dopo Seul, Keith Walker, a 73 anni di età, ricordava benissimo quella tragica esperienza. Ricordava gli avvertimenti, ancora oggi ritenuti sacrosanti, al pugile coreano. Ricordava le botte, ricevute anche dagli addetti alla sicurezza. Ricordava la paura. Ricordava la voglia di andarsene per sempre da quel Paese il prima possibile. Ricordava di non essersi capacitato di come tutte le televisioni fossero presenti alla sua partenza dall’aeroporto. Ricordava che non aveva il biglietto e la carta di credito non funzionava, quindi il pagamento fu effettuato da un suo accompagnatore. Ricordava il pensiero:”Finalmente è tutto finito.”
Riguardo agli episodi di corruzione, Walker ha affermato che non erano necessariamente espliciti. I membri della federazione coreana offrivano semplicemente dei pasti in ristoranti di lusso oppure gioielli. Era chiaro che, secondo loro, a favori concessi avrebbero dovuto corrispondere favori ricambiati nei giudizi.
E’ in questa intervista che Walker, in merito a quel giorno, ha detto che è semplicemente stato un episodio della vita, un momento nella sua storia personale (e un momento nella storia del pugilato, ndrr) che evidentemente doveva accadere. “Sono cose che succedono.”
Anche Jones, sconfitto in finale dopo aver riversato pugni su Park, come se si fosse disputata una gara di “boxe a prenderle,” venne intervistato nove anni dopo Seul.
L’americano dichiarò in quell’occasione di non avere più avuto notizie di Park, ma si ricordava benissimo che il pugile coreano gli aveva detto subito dopo l’incontro di non credere a cosa avevano fatto gli arbitri e di considerare Jones il vero vincitore. Negli anni successivi Jones è stato un cittadino modello, dentro e fuori dai ring, e abbastanza religioso: “Dio mi ha dato la serenità di accettare ciò che non posso cambiare.” Le cose che succedono, insomma.
Il CIO ha regalato all’americano un grande braccialetto d’argento come rimedio per l’ingiustizia subita nove anni prima, ma non ha cambiato il verdetto: in questa cerimonia il giornalista del NYT ha rilevato da parte di Jones più gratitudine che rabbia, ma anche rabbia. 10-9 per la gratitudine è il punteggio del reporter. Gli ufficiali del CIO in qualche modo erano consapevoli dell’ingiustizia e anche del fatto che, si è anche detto, i giudici che dettero la vittoria a Park siano stati pagati da un milionario coreano. In seguito era venuto fuori anche che gli ufficiali coreani corruppero i giudici che avevano dichiarato sconfitto Jones.
A seguito di quello scandalo, comunque, le regole di valutazione furono cambiate, dando importanza anche al numero di volte che un atleta colpisce l’avversario.
Jones ha proseguito poi nella carriera e non ha niente da rimproverare a Park a cui la medaglia d’oro avrà cambiato la vita più di quanto abbia fatto per l’americano, sostiene lui stesso.
Park, come visto, è stato un protagonista a suo modo di cose che succedono. Vittorie su vittorie, ma non sappiamo bene come si sarà sentito dopo ogni match. Forse vinceva e non capiva. A volte può darsi che ritenesse di meritarlo, ma l’imbarazzo provato dopo la finale è vistoso. Anche lui è stato una pedina, anche se vincente e che ha tratto vantaggio economico dalle “cose che succedono.” Non sappiamo cosa pensasse a Seul, quale fosse l’ambiente in cui si trovava, come lo descriveva (tutto ciò potrebbe essere un oggetto di ricerca e sarebbe più facile se conoscessi il coreano, ndrr.) Non ho notizie di cosa abbia detto negli anni successivi, ammesso che abbia detto qualcosa. Di lui so solo che dopo Seul, si è ritirato dalla carriera e non è mai diventato professionista. Ha preso una laurea in educazione fisica e ha fatto fino al 2001 l’insegnante di educazione fisica in Corea del Sud. Nel 2001, leggiamo su Wikipedia inglese, è stato nominato come assistente allenatore nel team dilettantistico nazionale di boxe della Corea del Sud e attualmente è l’allenatore del team delle riserve della squadra pugilistica nazionale del suo Paese.
E Vincenzo Nardiello? La sua carriera pugilistica, come visto, avrebbe vissuto il trionfo dei mondiali WBC nel 1996.Non meno eclatante fu la sua carriera da ex pugile e anche da ex poliziotto.
Nel 2004 “fu denunciato dalla polizia con l’accusa di truffa e usurpazione del titolo perché, spacciandosi per agente e utilizzando un’auto della Regione Lazio, minacciò di denunciare un giovane che si era appartato con un transessuale. Lui non ci sta e dichiara di essere lui la vittima. Secondo La Gazzetta è un uomo distrutto.
Emanuela Audisio, nel raccontare la storia, e riportare la frase “Mi faranno fare la fine di Pantani,” fa una rassegna dei guai capitati ad altri ex pugili. Anche il fratello di Vincenzo, Giovanni, sarà denunciato per rapina e per avere picchiato un barista.
Nel 2005, infine, Nardiello è stato il protagonista della notizia con la N maiuscola. L’uomo che morde il cane. In questo caso: l’uomo che viene azzannato dal suo stesso cane a un polpaccio e per difendersi gli tira due pugni in testa e lo stende.
Evidentemente ci sono le cose che succedono e ci sono le cose che si fa in modo che succedano.