Di Massimo fontana
E intanto l’espansione dell’economia di guerra prosegue imperterrita.
Dopo la statalizzazione del mercato delle mascherine, la nazionalizzazione di Alitalia, l’espansione del deficit pubblico come non ci fosse domani, i grandiosi progetti di stato imprenditore onnisciente e onnipotente, ecco che ci si accinge a protrarre per altri 5 mesi il blocco dei licenziamenti, dopo il primo mese già trascorso, qui https://www.ilsole24ore.com/art/dallo-stop-licenziamenti-reddito-d-emergenza-ecco-decreto-ADibQyN
Come detto in passato nulla di strano.
In situazioni di emergenza quali quella che stiamo vivendo ci può stare che lo stato decida di sopprimere alcuni mercati sostituendosi ad essi nelle decisioni di allocazione delle risorse, tanto più come in questo caso dove la libertà di licenziare non viene sospesa e basta, ma viene accompagnata dalla cassa integrazione in deroga, che assicura comunque un costo ridotto di tale misura per le aziende.
Il problema però rimane: queste misure, se assicurano più che altro la tenuta politica del paese, dal punto di vista economico sono devastanti nella loro inefficienza.
Analizzando il caso specifico abbiamo almeno due macro-tendenze negative:
1) la prima è ovvia e riguarda come detto l’efficienza del sistema produttivo.
Se non si può licenziare, le aziende potranno ristrutturarsi con molta difficoltà visto che non potranno ne sostituire il lavoro con nuove tecnologie, ne mutare la composizione delle qualifiche professionali che occupano.
L’effetto finale di tale misura è una sorta di solidificazione al gennaio 2020 della struttura produttiva sottostante l’economia italiana.
Ma il resto del mondo cammina, ovvero muta.
E muta diventando giorno dopo giorno sempre più efficiente.
Concorrere con il mondo di ottobre 2020 con la struttura produttiva di gennaio 2020, vuol dire porsi nelle condizioni di non poter concorrere o quasi.
Ovviamente in questo scenario la variabile chiave è proprio il tempo.
Se tale blocco dei licenziamenti durasse solo pochi mesi l’inefficienza cumulata del sistema economico italiano sarebbe ridotta, ma se tale situazione dovesse protrarsi per più tempo, ecco che l’effetto negativo sarebbe via via sempre maggiore.
2) e con questa ultima considerazione arriviamo al secondo problema: tale provvedimento non ha nessuna speranza di funzionare, ovvero di bloccare i licenziamenti.
Ma se così sarà, e così sarà, la domanda diventa un altra: verrà ulteriormente protratto oppure no?
Esaminiamo.
Come sappiamo l’occupazione totale dipende da più fattori, ma i tre principali sono la crescita economica, il costo del lavoro e per ultima la flessibilità del mercato del lavoro.
Ora, la flessibilità oggi è azzerata, e anche quella precedente, a cui si spera si tornerà fra 5 mesi, non era sufficiente a riassorbire la disoccupazione.
Per il costo del lavoro, che detto molto chiaramente, in questa situazione vuol dire in via quasi esclusiva una riduzione dei salari, il discorso è ancora peggiore: non si è fatto prima della crisi, non si farà dopo.
La deflazione salariale è un tabù in Italia perlomeno da 50 anni a questa parte.
E si vede.
Comunque, rimane solo una componente, ovvero la crescita economica.
Ma quali sono le speranze che l’Italia tra 5 mesi abbia una crescita economica tale da assorbire le vagonate di disoccupati che ci potrebbero essere?
Direi una percentuale variabile tra zero e zero.
La probabilità più elevata è che ad ottobre l’economia italiana stia ancora scendendo, anche se a ritmi inferiori a quelli attuali.
Il punto è che allo scadere dei 5 mesi di blocco dei licenziamenti, non ci sarà nessuna condizione tale da impedire l’aumento improvviso dei licenziamenti.
A quel punto, e questo è il vero problema, la politica potrebbe essere tentata di prolungare per altro tempo il blocco dei licenziamenti.
Ma come visto, da un lato simile provvedimento è paragonabile a nascondere il termometro per non sapere se si ha la febbre oppure no, dall’altro si blocca il sistema economico in una inefficienza via via sempre più grande.
E se questa inefficienza è come detto di un mese, si può affrontare, se diventa di più mesi se non di anni, ecco che le conseguenze potrebbero essere molto pesanti.
Considerazione finale.
Quando nel 1918 il nuovo regime sovietico consolidò il suo potere nella Russia rivoluzionaria, dovette decidere come materialmente gestire il sistema economico.
Il buon vecchio Marx, nelle sue illusioni da ricardiano autodidatta, non aveva dato indicazioni chiare a riguardo.
La società comunista sarebbe dovuta essere una naturale evoluzione del capitalismo, sostituendo di fatto non tanto la struttura economica sottostante, ma la classe dirigente e la proprietà delle aziende con la nuova classe dominante.
Nella Russia del 1914 invece, c’era si un capitalismo nascente, ma estremamente in ritardo rispetto a quelli che oggi definiamo i paesi posti sulla frontiera tecnologica.
Il sistema economico quindi era di fatto tutto da costruire.
Come fare?
La risposta, oltre che nella soppressione delle strutture classiche di una economia di mercato e nei vagheggiamenti ideologici sulle società nuove e diverse, venne anche dall’esperienza che proprio in quegli anni aveva fatto la Germania impegnata nella prima guerra mondiale, ovvero l’economia di guerra.
L’economia di guerra quindi è a tutti gli effetti una sorta di pre-comunismo, ovvero di modello che storicamente i sistemi comunisti hanno preso come esempio di gestione dell’allocazione e produzione di beni.
Ovviamente e qui sta il punto, sabbiamo benissimo che nessun sistema economico, e sottolineo nessuno (1) che utilizzi l’economia o il comunismo di guerra, nel lungo periodo ….vive.
Chi prima, chi dopo, tutte le società basate su tale sistema di pianificazione economica crollano su se stesse.
L’Italia è in tale situazione?
Direi proprio di no.
Al di la delle favole sullo stato imprenditore, le misure fin qui prese dovrebbero essere tutte temporanee, e quindi dagli effetti negativi molto limitati.
Ma se così non fosse?
Beh, se così non fosse e qualcosa delle misure fin qui approvate dovesse sopravvivere anche nei prossimi anni, al di la delle conseguenze negative a livello economico, l’effetto più ovvio è semplicemente l’azzeramento del pericolo rappresentato dal peronismo della destra attuale.
Se infatti la scelta politica dovesse ridursi al farsesco neoperonismo sudamericano di parte della destra e all’altrettanto farsesco neo-comunismo sovietico di almeno una parte della maggioranza, a quel punto, farsa per farsa, l’Argentina rimane comunque più accettabile dell’Urss.
Con buona pace ovviamente di ogni speranza di tornare a crescere in modo sano e sostenuto per tanti e tanti anni a venire.
Buona, si fa per dire, giornata a tutti.
(1) Per i più sprovveduti: la Cina è un paese a tutti gli effetti capitalista almeno dal 2003, ovvero da quando è entrato nel Wto.
Quindi no, la Cina non è un esempio di comunismo che funziona, anzi, semmai è l’esatto contrario, ovvero è l’ennesimo esempio di un paese comunista che ha ripreso a crescere solo dopo aver buttato il comunismo economico nel water e aver tirato l’acqua.