Quanto segue è stato preso da articoli o commenti presi dai seguenti siti o rapporti:
Semplifica
Wired
Salmone
Blog di Dario Bressanini su “Le Scienze”
Biotecnologiebastabugie
Studio Barilla
GLI OGM POSSONO PROVOCARE ALLERGIE?
Gli allergeni sono composti che provocano una risposta da parte del sistema immunitario
dei soggetti sensibili, scatenando così l’allergia (da non confondersi con l’intolleranza
alimentare, v. bibliografia). Molti alimenti ne sono ricchi, come le fragole, le mele,
il riso, il kiwi, le arachidi o i crostacei. Le nocciole possono portare anche a shock anafilattico
e nei casi estremi alla morte. Per gli alimenti tradizionali non è però prevista nessuna
analisi preventiva di allergenicità, né etichettatura. In questi casi una persona allergica
scopre la sua sensibilità all’alimento dopo esserne entrata in contatto.
Quando viene valutata una pianta transgenica, uno dei primi test che deve essere
effettuato è la verifica della sua potenziale allergenicità. Non esistono a questo fine test
assoluti, ma è tuttavia possibile prevedere con accuratezza la possibilità che una proteina
sia un allergene. Gli allergeni hanno infatti alcune caratteristiche in comune, che ne
permettono il riconoscimento. La valutazione della potenziale allergenicità è richiesta
anche se la proteina rappresenta meno dell’1% delle proteine totali contenute nell’alimento
(soglia sotto la quale l’allergene non viene avvertito come tale dall’organismo).
Va aggiunto anche che i prodotti autorizzati vengono monitorati per almeno 3 anni
negli Stati Uniti e per tutta la durata dell’autorizzazione nella Ue, al fine di riscontrare
eventuali effetti indesiderati sulla salute o sull’ambiente.
L’intervento biotecnologico è comunque adottabile anche per ridurre l’allergenicità
degli alimenti. Esempio ne è il riso OGM ipoallergenico, dove è stato eliminato il gene
che produce la proteina allergenica.
Un ulteriore caso da ricordare riguarda il mais StarLink. Questo mais Bt contiene un
gene, il cry9c, la cui proteina presenta alcune caratteristiche che la possono assimilare
a un potenziale allergene5. Per questo motivo, e in via precauzionale, negli Stati Uniti il
mais era stato autorizzato al solo uso mangimistico e ne era stata vietata l’esportazione.
Da alcune analisi di controllo sono però state trovate tracce del gene cry9c in alcuni
snack per alimentazione umana. Dopo questa segnalazione 34 persone hanno affermato
di aver avuto reazioni allergiche in seguito al consumo di questi snack. Da analisi successive
è risultato che, pur risultando alcuni lotti positivi per la presenza del gene cry9c,
non era però presente la proteina. Inoltre, a un’analisi sierologica effettuata dal Center
for Disease Control and Prevention (Centro Americano per il Controllo delle Malattie), si
è osservato che delle 34 persone che presentavano alcuni sintomi dell’allergia alimentare,
nessuna aveva sviluppato anticorpi contro la proteina cry9c. Questo risultato, che
escludeva l’allergenicità della proteina, ha portato all’autorizzazione del mais StarLink
per il consumo umano.
Nessun prodotto ogm approvato per la commercializzazione ha scatenato reazioni allergiche a esse
riconducibili.
GLI OGM POSSONO DIFFONDERE LA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI E RENDERE PIU’ DIFFICILE LA CURA DELLE MALATTIE?
Alcuni OGM in commercio, oltre al gene di interesse, contengono un gene che conferisce
la resistenza a un antibiotico. L’uso del marcatore di resistenza è necessario per
verificare che il trasferimento genico sia avvenuto correttamente. Il 90% delle varietà transgeniche
autorizzate hanno il gene nptII che conferisce resistenza alla kanamicina. Il
restante 10% è resistente ad altri due antibiotici: ampicillina (bla) e igromicina (hpt)6.
Questi tre geni di resistenza sono comunque molto diffusi tra i microrganismi presenti
naturalmente nei suoli. Inoltre, kanamicina e igromicina non sono utilizzati in medicina,
a causa della loro tossicità. Per l’ampicillina la situazione è diversa: questo antibiotico è
ancora utilizzato, sebbene il suo impiego sia in declino a causa della diffuse resistenze
naturali (più del 50% degli enterobatteri è resistente a questo antibiotico). La probabilità
quindi che un agente patogeno per l’uomo acquisisca il gene di resistenza dai batteri
già presenti nell’intestino o nel suolo è di gran lunga superiore alla probabilità
di acquisirlo da alimenti ricavati da piante transgeniche. Ad esempio, la probabilità
di trasferimento genetico tra batteri, in condizioni di laboratorio, è di 1 x 10-5, mentre la
probabilità di trasferire lo stesso gene da una foglia a un batterio è di 1 x 10 -10, ovvero
100.000 volte più bassa. Questa considerazione fa ritenere trascurabile il rischio di trasferimento
di resistenze dalle piante GM ai batteri del suolo e dell’intestino. Anche nel
caso in cui questo trasferimento dovesse avvenire, non si tratterebbe comunque di resistenze
ad antibiotici utilizzati comunemente in terapia.
Occorre ricordare che, anche se le probabilità di trasferimento genico da
parte degli OGM sono trascurabili, sono in sperimentazione tecniche di trasformazione
che non ricorrono ai geni di resistenza agli antibiotici. In ogni caso, la normativa Ue
2001/18 ha stabilito che a partire dal 2006 non saranno più autorizzati OGM che contengano
geni di resistenza agli antibiotici utilizzati in terapia.
Sono già da molti anni in commercio OGM privi di geni di resistenza agli antibiotici. Ad esempio il
MON810, che rappresenta circa l’80% del mais GM coltivato, non contiene alcun marcatore di selezione
In ogni caso gli antibiotici, usati anche in altri OGM che
s’ingeriscono direttamente, sono da molto tempo in uso e quindi hanno già prodotto loro stessi
come fatto naturale delle resistenze, Il gene di resistenza, ipotizzato
trasmissibile e ingerito con l’alimento, deve superare indenne sia gli enzimi degradanti dello
stomaco che dell’intestino. Il gene e tutto l’acido nucleico in fin dei conti subisce la stessa sorte di
tutte le proteine!
Che il gene di resistenza superi tutti gli enzimi è pressoché impossibile, ma vediamo di sincerarsi anche del
“pressochè”. Innanzitutto se la possibilità esistesse, dato che il numero di altri geni che ingeriamo è
altissimo, le probabilità giocherebbero ben più a favore di un gene di pollo, di bovino, di pesce ecc.
Le probabilità dunque sono al limite le stesse di quando sorge
naturalmente una resistenza a uno qualsiasi degli antibiotici usati. Un semplice calcolo riferito
all’uomo ci da l’idea della fasullità del pericolo paventato: nell’intestino umano esistono centomila
miliardi di batteri appartenenti a qualche centinaio di specie, mentre, se teniamo conto della
frequenza naturale che un gene batterico muti acquisendo resistenza ad un antibiotico, essa è di 1
batterio su 10 milioni. Di conseguenza ne dobbiamo dedurre che nel nostro intestino esistono
sempre 10 milioni di batteri resistenti all’antibiotico considerato. Questo è un ragionamento che
vale prima, ora e dopo. Pertanto, l’inglobamento di quel gene di resistenza indotto
rappresenterebbe solo 1 evento su 10 milioni di eventi spontanei di resistenza. Dunque la
resistenza ad un antibiotico indotta è un evento trascurabile rispetto a quelli che capitano
spontaneamente. Cosa dovremmo dire allora di fronte alle resistenze indotte negli allevamenti
intensivi di polli, di bovini e di pesci dove gli antibiotici sono
somministrati con i mangimi? Dovremmo, al limite, chiudere anche gli ospedali perché in questi
ambienti le somministrazioni d’antibiotici per curare generano tassi di resistenza ben maggiori!