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Lo stupore delle prese elettriche

Oranghi verdi al salone del libro 2010 (1.)

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I quattro dell’Ave Greenpeace (io , Marco, Adriano e Irené – Firenze) sono partiti dalla “regione senza la c” tra giovedì 14 e venerdì 15 maggio 2010 diretti verso la città della Fiat, del Toro e della Fiera del Libro. La simpatica coppia formata da Adriano e Marco ha potuto permettersi di partire il giovedì e sobbarcarsi, così, i lavori di preparazione dello stand di Greenpeace nel padiglione due del salone del libro.
I due hanno anche dovuto subire le prime trasformazioni in orango, il che ha causato loro dei dolori muscolari. Il giorno dopo, ad esempio, l’atleticissimo Marco era diventato leggermente claudicante e non credo che cercasse di ottenere una parte per il film “I soliti sospetti”. Anche perché è già stato girato, quindi non avrebbe potuto ottenerla.
Io e Irené, che non è un rene francese prodotto dalla Apple, per quanto potrebbe sembrare dal nome, siamo partiti il venerdì. Ci era giunta la notizia che Lassù Dove Si Puote tenevano a ingalllinarci (cioè, presumibilmente, farci fare qualche azione) già la sera stessa, ma poi quell’ipotesi è sfumata.
Dopo aver conosciuto in treno Valentina ( Bologna), aver notato per l’ennesima volta la qualità umana delle persone che fanno volontariato (se non vogliamo limitarci ai greenpeacini), aver ascoltato storie di lavoro, di aspetti umani legati al lavoro, di fratelli emigrati a New York, di uomini, di precarietà e aver aspettato che Irené decidesse quale snack prendere al bar dopo aver cambiato idea un numero di volte pari alla distanza tra la Terra e la Luna, siamo arrivati a Torino e siamo giunti al Lingotto. Là fuori un venditore di fiori mi ha detto:”Per forza sei felice! Hai accanto un fiorellino”. Non mi pareva di essere così felice da farlo vedere. Deve essere stato l’effetto Greenpeace che si impossessava di me.
Una volta arrivati allo stand di Greenpeace, ho subito notato la presenza di un orango. Chi è emerso da dentro l’orango? Alice! ( Venezia) che avevo “abbandonato” al training di gennaio. Per quanto impressionato dall’espressione sudata (ma felice) della sua faccia, ho subito dichiarato:”Ehi, orangutan! I Want you!” e mai dichiarazione fu più avventata. (Vabbe’, non è vero: è per dare un po’ di drammaticità a questo racconto).
Così ho iniziato ad “orangare”, dopo quel quarto d’ora in cui Alice e Lara – Bologna) mi hanno spiegato come vestirmi. Anzi mi hanno vestito loro. Sono riuscito a farlo da solo dopo due o tre prove.
Gli oranghi erano sempre accompagnati da degli umani con pettorine verdi che spiegavano perché stavamo manifestando, perché accoglievamo gli oranghi a casa nostra o perché avevamo trovato loro una sistemazione in Fiera dopo che avevano perso la casa. C’erano delle case editrici cattive che non usavano carta certificata fsc per i propri libri e così contribuivano alla deforestazione di foreste millenarie e alla distruzione dell’habitat di animali come gli oranghi.
Irené era fantastica nello spiegare i rischi legati alla deforestazione ai bambini. Davvero. Era favolosa. Incantava persino me e poi piazzava la coltellata ai genitori, facendoli sentire delle merde perché avevano comprato libri che avevano contribuito a distruggere le foreste. (Vabbe’. Anche questo non è vero, ma ci stava bene. In realtà era chiarissima e convincente).
Mentre i greenpeacini in pettorina davano spiegazioni, gli oranghi attraevano persone, girellavano, facevano ridere o piangere i bambini, si vedevano regalare palloni da una bambina dopo averci giocato, facevano giochi con le mani, giocavano a nascondino (una bambina per tre giorni di fila mi è apparsa davanti: o l’avevano clonata o vive nel padiglione centrale e per l’occasione lo ha dato in affitto alla Fiera), ballavano con altri oranghi, venivano circondati da bambini tra l’impaurito e l’entusiasta o da adolescenti con strane estensioni corporee atte allo scatto di fotografie.
Il venerdì sera è terminato in un ristorante dove Alberto ( Palermo) e Ninni sono riusciti a capire che i proprietari erano siciliani e ad ottenere primo, secondo e bevute a prezzi scontatissimi oltre a conoscere la storia della famiglia e delle generazioni passate. Una cosa non è riuscita: far cambiare la musica di sottofondo alla figlia dei proprietari: “piuttosto che cambiarla”, ha detto, “butto per terra un bicchiere”. Cosa che infatti ha fatto

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