In parte da “Gli anni Settanta”, di Giuliano Cazzola.
Negli anni settanta c’è il boom del pubblico impiego. Soprattutto tra gli insegnanti e negli enti locali, oltre che nelle imprese pubbliche, nelle partecipate, nelle poste, nelle ferrovie.
Alle Regioni non vanno solo i dipendenti trasferiti da enti pubblici preesistenti, ma si ventuplicano i costi rispetto a quello dello stato.
Gli insegnanti, assunti tramite procedure a punteggio, crescono: i contestatori passano dalle piazze alla scuola media. I compagni del movimento passano da campi e officine, in cui non sono in realtà mai stati, a fare i professori. Nel 1968 erano 1247000, nel 1980 sono diventati 1693000 (sono il 53% dei dipendenti statali.)
Gli occupati negli enti pubblici e locali salgono da 2042000 a 3002000, metà dei quali vanno a riempire inutilmente i ministeri. Su questo punto leggete Vito Tanzi: “Dal miracolo economico al declino.)
Cresce la domanda di servizi pubblici, è vero e in parte è necessaria, ma l’incremento degli impiegati pubblici tra il 3 e il 5% annui non deriva solo da più servizi pubblici.
(I lavoratori nell’industria privata e nei servizi non crescono più del 2% e hanno meno rigidità: in questi settori le riduzioni di personale sono possibili.)
L’impiego pubblico è visto come un ammmortizzatore sociale dettato da parte della classe politica dalla volontà di evitare richieste estreme. E’ dettato dalla paura.
Si concede impiego pubblico per se stesso e non per fornire servizi efficienti.
La retribuzione media dei dipendenti pubblici cala perché c’è un livellamento verso il basso: ci sono più persone e vengono pagate meno. Sono privilegiati i dipendenti di basso livello, si garantiscono cose come l’indennità integrativa speciale.
L’impiego pubblico sarà sempre una fonte da finanziare e non da cui attingere per i risparmi. Ancora nel 2004 le entrate che rimangono disponibili dopo aver pagato stipendi, pensioni e interessi sono solo il 10% del pil contro il 15% circa di altri Paesi. Diventa difficile coprire il deficit in modo diverso dal fare minori investimenti o aumentare la pressione fiscale se non si colpiscono i dipendenti pubblici o i pensionati.
Nel frattempo le forze produttive si avvalgono dei consumi lavoratori pubblici salariati e sono protette contro la concorrenza, mentre le forze sindacali acquistano potere e le forze politiche vivono quietamente e annacquano le rivendicazioni estreme.
Chi paga? Chi è fuori dai giochi, chi vede i propri risparmi perdere valore, chi non è ancora nato