Perché il sud non cresce? Sbobiniamo il seguente video:
https://www.youtube.com/watch?v=a031Abq0Z_o
GIOVANNI FEDERICO 2’50
Le teorie neoborboniche sono una massa di sciocchezze.
Nel 1861 l’italia era molto povera.
Il sud era lievemente più povero del nord ma non era abissale la differenza. Era più alta la differenza tra l’italia (che era come la Nigeria attuale) e l’Inghilterra (che era come l’India attuale).
Il sud era indietro per ragioni geografiche (si trova più lontano dall’Europa sviluppata), aveva meno acqua (utile come forza motrice), aveva un’alfabetizzazione molto inferiore al nord (dove comunque era inferiore alla Prussia o agli Stati Uniti).
Da allora in poi il divario si è mosso a fisarmonica. È aumentato quando il nord si è industrializzato. Già nel 1911 il divario era attorno al 20% tra centronord e sud, al 35% tra Lombardia e Calabria. Tale divario è poi aumentato fino a un picco nel 1951. Si è ridotto nel 1971, tornando ai livelli del 1861. Poi si è riallargato, ma non ai livelli del 1951, negli ultimi tempi.
Da un lato il sud ha avuto un notevole sviluppo (10 volte rispetto al 1861, ma nel 2010 al livello della Repubblica Ceca) seguendo quello di tutta l’Italia. Negli ultimi tempi sia l’Italia intera che il sud hanno perso molto terreno rispetto ai paesi avanzati.
Guardando un recente paper sul livello di reddito di tutte le regioni dell’Europa occidentale dal 1900 a 2010 si vede come la Calabria nel 1900 fosse al nono posto partendo dal basso. Su 180 regioni la Campania, cioè la regione più ricca del sud a quel tempo, era 37ma, non così povera. Nel 1951 la Calabria e la Basilicata erano al quinto e sesto posto, in ogni caso non le più povere. Nel 2010 le cinque regioni più povere di tutta l’Europa occidental e sono la Calabria, la Campania, la Sicilia, la Puglia e la Basilicata (quintultima).
Il problema è comunque Italia contro resto d’Europa. Quanto hanno perso la Lombardia, il Veneto ecc negli ultimi anni.
Perché tutto questo?
L’Italia ha avuto periodi di sviluppo che hanno coinciso coi periodi di apertura al commercio internazionale e alla crescita mondiale (prima della prima guerra mondiale e dal 1950 al 1973, gli anni della famosa golden age).
Che ruolo ha avuto la politica? Prima del 1913 al sud è stato fatto poco. Il sud è cresciuto grazie all’emigrazione, che ha ridotto la pressione della manodopera e ha fatto un po’ aumentare i salari. Nel 1861 il sud era malgovernato e quindi povero. Non c’erano ferrovie e istruzione. Non bastavano le buone istituzioni piemontesi, che hanno fatto poco. I fascisti hanno solo dato dei sussidi ad alcune zone per industrializzarle.
La Repubblica ha fatto qualcosa. In una prima fase la Cassa del Mezzogiorno ha operato bene. La riforma agraria all’epoca appariva indispensabile ma non è stata così importante, perché i contadini sono emigrati verso il nord industrializzato. Negli anni 50 e 60 sono state costruite alcune ferrovie e delle autostrade.
La politica industriale è consistita nel sussidiare delle industrie. A fine anni 50 il Minstero delle Partecipazioni Statali decide di investire massicciamente al sud. Esistevano degli impianti siderurgici a Brescia, Genova, Piombino, Napoli. I manager statali volevano fare l’Italsider a nord, ma i politici si impuntarono: buttarono fuori Osti, imposero dei costi per trasportare il materiale e la fecero a Taranto. Da quel momento il compito delle Partecipazioni Statali non fu solo quello di dare sussidi ma di dare ai politici la possibilità di mettere le mani al sud decidendo come allocare le risorse.
17’ AIELLO
Il problema del sud è l’ampiezza del divario rispetto alla media europea e a quella italiana. In particolare questo vale per la Calabria. Il divario persiste da decenni, in termini di pil, tassi di occupazione, produttività.
Opencalabria si occupa di sviluppare delle policy che possano essere utili per la Calabria e per il sud.
Come si sono succedute le politiche per il Mezzogiorno?
Dagli anni della ricostruzione fino a metà anni 90 ci sono stati interventi straordinari basati sui finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno.
A inizio anni 90 si è cercato di attuare politiche che sfruttassero le capacità dei territori di orientare la propria crescita (place based policies) e dare sfogo alle risorse endogene. Ci sono stati patti territoriali e leggi sui contratti di area.
I governi Berlusconi non sono intervenuti.
Le ultime politiche si sono basate sui fondi strutturali e alla fine hanno allargato il divario.
Esistono due tipi di approcci al problema di come risollevare il sud.
Un primo approccio è quello top down e big push. Gli interventi vengono attuati dall’alto, a livello centrale, nell’ipotesi che il sud da solo non possa progredire. Si impiantano grandi industrie pubbliche. E’ stato fatto da dopo la guerra in poi. C’è stata effettivamente modernizzazione. Per diversi anni il pil è cresciuto e il divario si è ridotto. Si sono create alcune infrastrutture, sono state fatte delle bonifiche. Lo sviluppo è stato trainato da grandi imprese e da imprese pubbliche. Però queste imprese hanno assorbito poca forza lavoro rispetto a quella che era in eccesso in altri settori e ne usciva. Quindi il tema dominante anche negli anni del boom era la disoccupazione e dal problema si usciva emigrando.
Le grandi imprese sono verticalizzate. Probabilmente sono state decontestualizzate rispetto alle esigenze del territorio. Hanno avuto degli effetti negativi. Non hanno attivato processi di contaminazione nei territori dal lato tecnologico e dal lato della formazione di capitale umano.
Forse il territorio non era ancora pronto per assorbire la tecnologia. Forse anche il tipo di impresa non era adatto. Ecco allora le cattedrali nel deserto: ortogonali a uno sviluppo auto sostenuto.
L’origine dei casini che abbiamo oggi deriva forse dalla curvatura assistenziale delle politiche di quegli anni. La spesa pubblica serviva per garantire la tenuta sociale. La spesa pubblica di quegli anni garantiva forme di aiuto al reddito ma anche la tenuta del modello di sviluppo che l’Italia si stava dando, col nord che cresceva e il sud che non era altrettanto dinamico. Quell’assistenza ai redditi e al consumo ha fatto accentuare la capacità di spesa del sud che era molto più alta della capacità produttiva. Il differenziale erano i finanziamenti esterni. Si accentuava la dipendenza dall’esterno e dalla politica.
A inizio anni 90 si è passati a un approccio bottom up.
Si è cercato di dare un ruolo alle periferie attraverso patti territoriali, contratti di area, concertazione. Si voleva garantire ai territori la possibilità di auto determinarsi.
I risultati sono stati modesti. Non c’è stato un grande aiuto effettivo all’occupazione e allo sviluppo delle imprese. Non c’è stata la spinta alla produzione di beni collettivi e pubblici, soprattutto la fiducia. Non si è formato il capitale sociale. non c’è stata innovazione.
32’ CHINES
Non bisogna piangersi addosso
Poi è vero che i lavoratori se ne vanno, le infrastrutture non ci sono, per andare da Palermo a Catania in treno ci vogliono 5 ore.
L’impresa deve anche essere attenta al territorio e all’università. Deve essere pronta a stare a tutti i tavoli.
Cosa vediamo nel mondo dell’impresa? I costi sono doppi per raggiungere cosa è raggiungibile nel veneto. Trattenere una risorsa, soprattutto se laureata, è più costoso. Anche a fronte di industria 4.0 è difficile trovare persone, che, per esempio nel polo del meccatronico, sono più attratte dall’Emilia Romagna. Mantenere i talenti costa di più in Sicilia che in Emilia.
Le imprese grandi in realtà non ci sono mai state. Le piccole e le medie sono scomparse. Esisteva un distretto farmaceutico in Sicialia, insieme a quelli della Toscana e di Roma. Sicilia si è però desertificata. La burocrazia costa di più e non è formata a raccogliere le istanze che le imprese presentano per cogliere opportunità di sviluppo. Spesso la burocrazione non risponde ai quesiti.
I sogni di fare impresa ci sono in Sicilia e ci sono ragazzi con idee e voglia di lavorare.
In un sud desertificato è però difficile anche stimolare i ragazzi. A volte questi propongono idee innovative. Non sempre diventano prodotti o progetti. Però dal punto di vista umano il sud è attivo.
Lo stato non pensa a sviluppare in modo organico. C’è chi pensa a finanziare, chi pensa a formare ecc. Tutto separato.
Il problema è l’incentivo a fare impresa. Più che le tasse. Spesso gli incentivi sono di breve termine. Si deve avere la capacità di rimettere in discussione anche i budget.
Si vede anche uscendo dallo stabilimento che l’Italia è spaccata in due. Si sentono problemi diversi. In Sicilia le condutture vengono fatte a titolo privato. Manca l’acqua. Tuttavia c’è tanta energia umana.
Le imprese cercano persone che abbiano l’attitudine mentale al cambiamento.
Esistono delle elasticità mentali che devono essere patrimonio di tutti. L’imprenditore deve continuare a studiare, deve formare, deve comunicare, deve infondere fiducia. I manager pure. Non devono esserci segreti all’interno dell’azienda.
Bisogna continuare a fare bene, pur sbagliando.
BOLDRIN 46”07
Punto uno. Povera è la parte interna della Bolivia. Povero è il Sudan. Povero è il Marocco. Il sud non è povero. Sarà un 15% del pil procapite mondiale, c’è il nero, ci sono servizi peggiori, è messo peggio del nord e altri ecc.
Però regioni che erano più povere del sud qualche decennio fa, come l’Estremadura, l’Andalusia, l’Europa dell’Est (Boemia, Estonia…),, l’Irlanda sono cresciute di più. Anche il Veneto era povero come il sud prima del boom. Allora non è vero che non puoi crescere perché sei povero. Quindi la trappola della povertà non è un argomento.
Punto due. Politiche di sviluppo. La spagna post franchista non ha fatto politiche. Non ci sono state politiche, non c’è stata una cassa del mezzogiorno, non si sono dati sussidi alle aziende agricole, non si sono elaborati piani speciali. Si sono fatte, là, le autostrade e un si è fatto un piano rurale che voleva evitare la rivolta degli agricoltori quando sono saltate le tariffe doganali a seguito dell’entrata nella UE. Il PER fu un sussidio di eccesso di occupazione agricola. Eppure il sud della spagna cresce. L’Almeria era così povera negli anni 60 che poteva sembrare il deserto del sudovest degli Stati Uniti. Oggi è una delle province più ricche della spagna. Le serre dell’orticoltura di Almeria esportano le fragole in tutta l’Europa. Lo sviluppo o è endogeno o non è.
Fatte salve le opere di costruzione delle infrastrutture, le politiche adeguate sono le politiche che non esistono.
Punto tre. La storia secondo cui la spesa pubblica e i sussidi dal nord al sud sono funzionali alla creazione di domanda per i prodotti del nord è una stronzata. Se do a lui 100 lire con cui si compra il mio libro gli ho regalato il libro e anche il resto, nel caso che se lo tenga.
FEDERICO 53’
Il capitale umano nell’800 e a inizio 900 consisteva nell’alfabetizzazione.
L’istruzione primaria obbligatoria dei primi anni del 900 non ebbe successo: gli enti locali del sud non investivano nelle scuole. Dal 1911 lo stato centrale finanziò le scuole del sud e l’alfabetizzazione aumentò.
Le politiche che son servite a qualcosa sono state: concedere la libertà di emigrazione, l’alfabetizzazione, la prima Cassa del Mezzogiorno che ha permesso la costruzione delle infrastrutture.
La costruzione di dighe e autostrade e le infrastrutture per l’irrigazione hanno aumentato la dotazione infrastrutturale del sud. Poi negli anni 50 l’IRI è stata forzata a localizzare gli impianti al sud, a dare sussidi diretti, a costruire le cattedrali nel deserto.
AIELLO 57’
La Spagna ha sviluppato delle risorse endogene in maniera virtuosa. Però ci sono paesi o regioni che sono cresciuti in maniera virtuosa con sostegni politici. Per esempio lo sviluppo della Polonia di oggi è legato anche a delle politiche polacche ben pensate o a delle politiche europee ben usate.
Lo sviluppo che si crea in un modo o in un altro è una teoria un po’ debole. I casi vanno contestualizzati.
Il sud non è antropologicamente avverso allo sviluppo.
Ci sono delle eccellenze individuali al sud che stanno nei mercati e operano in concorrenza internazionale. Queste eccellenze sono in alto nella catena del valore mondiale. Bisogna investire in capitale umano, nell’innovazione e bisogna scegliere i settori che creano valore.
Se uno è talentuoso fa bene in Almeria come in sicilia perché è in grado di superare l’ostacolo.
In alcuni territori dobbiamo occuparci non dei talenti ma dei medi e dei bassi.
A leggere le statistiche Istat sui valori della produttività dei sistemi locali vediamo che qualcosa si muove. Ci sono delle eterogeneità per area e per macrosettore. Ci sono comunque dei sistemi locali del sud che hanno una produttività superiore ai sistemi del centronord. Anche il Mezzogiorno non è un blocco unico, ma è diversificato. I pionieri dell’innovazione iniziano a clusterizzarsi.
1h10’ BOLDRIN
Ok c’è un problema infrastrutturale. La gestione è locale. L’autonomia finora non ha funzionato, in Sicilia.
C’è responsabilità derivante dalla mancanza di controllo sociale. Perché le autostrade siciliane sono un disastro, con erba e radici e non c’è manutenzione?
Ora il decreto crescita restituisce alle regioni la gestione dei fondi strutturali. Questa gestione è stata disastrosa al sud. Perché i polacchi e gli slovacchi li usano bene?
I fondi strutturali possono fare danno, ma quelli europei non sono stati costruiti male e soprattutto qualcuno li ha usati bene. In alcune regioni sono stati utili: la Spagna o l’Est Europa, per esempio. Perché i calabresi non sanno usarli e i polacchi o gli andalusi sì?
Esiste un problema di capitale sociale, nel senso descritto da Putnam. Perché i tassi di scolarizzazione sono uguali o maggiori al nord?. È un problema di capitale sociale o di capitale umano o ambedue?
CHINES 1H15’
Chi gestisce i fondi? I polacchi li gestiscono bene. Il Presidente della Regione Sicilia chi è? Dobbiamo cambiarela classe politica. Forse occorre fare delle scuole di politica?
AIELLO 1H 18’
Il segmento delle consulenze funziona. Non tutti i fondi sono gestiti male.
I fondi hanno effetto redistributivo e non impattano sulla crescita anche se quella era l’idea.
Perché in alcuni luoghi funzionano e al sud in generale no? Da un lato c’è un problema di classe politica. Quel modello non crea sviluppo endogeno. La società, gli stakeholder locali dovrebbero recepire politiche di sviluppo. Manca la produzione di beni collettivi di lungo periodo. Si hanno solo consulenze e spese senza utilità sociale.
Questa incapacità di governarsi non è femata da Bruxelles perché mancano le vere verifiche sull’impatto delle politiche strutturali rispetto ai programmi. Non c’è una valutazione seria fatta con strumenti rigorosi. Ci sono rendicontazioni, spese, cose da burocrati, fissazioni temporali di sei sette anni. Nel ciclo Bruxelles dice di fare una cosa (più smart, più sostenibili, più green). A bruxelles il fatto che in Calabria non riusciamo a raggiungere gli obiettivi non frega.
BOLDRIN. No. Le politiche di spesa così sono un disastro ok, però se le confronto con la gestione e la verifica è meglio di quanto il governo italiano abbia mai fatto. Ecco perché le regioni del sud ricevono pochi soldi e poche autorizzazioni. Mi chiedete di spendere per cose diverse da quelle che vi diciamo. In avvio la spesa è bassa. A fine settennio tutta la spesa sarà certificata.
AIELLO. Il problema è che nessuno si preoccupa dell’effetto che la spesa ha sui territori. Gli obiettivi sono omogenei. Se riesci a fare bene anche se nessuno ti controlla e sei inclusivo sostenibile smart, la tua capacità di raggiungere gli obiettivi è maggiore rispetto a me se me ne frego. A Bruxelles frega niente che io spenda in a o in b: basta che io certifichi che le cose si sono fatte.
La spesa comunitaria deve essere addizionale e non sostitutiva di quella nazionale. Come accade in polonia.
FEDERICO 1H30
Perché il sud non riesce a rilanciarsi?
Ci sono ragioni economiche varie. È stato relativamente più arretrato, si è sviluppato relativamente meno.
Ogni ragione economica può valere per un periodo ma un modello non può spiegare tutto.
Il libro di Felice “Perché il sud è rimasto indietro” ha una spiegazione gramsciana acemogluiana. Cioè le istituzioni del sud sono state cattive e più cattive del nord. Può essere vero fino al 1951, ma i diritti di proprietà e le strutture giuridiche son sempre state le stesse. Prima della democrazia con suffragio universale le classi dirigenti avevano un potere superiore, forse. Ma dopo la seconda guerra mondiale questa spiegazione non può valere. Tutti votavano, il quadro giuridico era lo stesso. Le stesse istituzioni allora sono state usate diversamente al sud che al nord o in Polonia. Quindi c’è un problema di capitale sociale. Le popolazioni del sud, fin dal tempo dei comuni, erano diverse. Ma qual è la prova che il capitale sociale era inferiore? Perché funzionano meno nel sud. Ma allora perché funzionano meno? Perché il capitale sociale era inferiore. Il ragionamento è circoare e è questo il problema di Acemoglu (“Perché falliscono le nazioni”).
In realtà non si sa quale sia la ragione precisa per cui il sud non riesca a rilanciarsi.
Un problema è la criminalità organizzata. Ha avuto un ruolo pesante nell’incapacità di usare bene le risorse. Le ha gestite anche mantenendo forti legami con la politica. La criminalità organizzata è un prodotto storico. Non è antropologico.