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Lo stupore delle prese elettriche

Più che il moltiplicatore poté l’austerità

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Da “Austerità” di Favero, Alesina, Giavazzi

Di quanto aumenta o diminuisce il pil a seguito di tagli o aumenti di spesa o tagli o  aumenti di tasse? Non si sa di preciso. Ci sono discussioni da decenni in merito.

Quando il moltiplicatore della spesa è maggiore di uno un taglio di spesa genera un crollo della domanda privata tale per cui il pil subisce una riduzione in valore assoluto più grande del taglio stesso. Quando il moltiplicatore è minore di uno i tagli alla spesa inducono aumenti di quella privata per cui il crollo del pil è inferiore al taglio. Se il moltiplicatore è negativo un taglio alla spesa pubblica dà luogo a un aumento di spesa privata abbastanza grande da far aumentare la domanda nonostante la spesa pubblica sia diminuita.

Secondo la teoria keynesiana standard i moltiplicatori di spesa sono molto maggiori di uno e anche più grandi dei moltiplicatori delle tasse.

Analizzando i vari lavori degli economisti la conclusione è che sembrano essere in disaccordo su tutto: sulla dimensione dei moltiplicatori fiscali e sul loro segno.

 

Un problema è legato ai dati. I governi tendono ad aumentare la spesa durante le recessioni. Guardando alla correlazione tra spesa e pil si potrebbe concludere che il moltiplicatore è negativo. Questa conclusione è sbagliata. Senza aumenti di spesa la recessione sarebbe stata più severa. Ma di quanto?

In crescita le tasse vengono aumentate ma questo non vuol dire che abbiamo determinato la crescita.

Per studiare la risposta delle variabili macro a variazioni delle tasse o della spesa bisogna identificar gli episodi in cui i valori di tasse e spese non sono cambiati solo perché l’economia si stava espandendo o contraendo.

È impossibile costruire un modello empirico generale da incorporare tutte le interazioni possibili tra macroeconomia e variabili di politica fiscale. Quindi bisogna fare delle scelte, che influenzeranno i risultati.

 

Quali piani di aggiustamento fiscale hanno causato minori perdite di pil? Politiche basate sulle tasse o sulla spesa? Piani adottati improvvisamente o introdotti in modo graduale? La risposta dipende dal livello iniziale di debito pubblico? Come rispondono, se rispondono, consumi i, investimenti, esportazioni nette a variazioni di tasse e spesa previste? Quali politiche di accompagnamento (politica monetaria, svalutazioni, riforme del mercato del lavoro o dei beni) renderebbero l’austerità più o meno efficace? È possibile che alcuni aggiustamenti fiscali abbiano effetti espansivi?

 

Casi di austerità espansiva sono stati quelli della Danimarca nel periodo 1983 1987 e dell’Irlanda nel periodo 1987 1989. Hanno generato una riduzione del deficit corretto per il ciclo associata a un forte aumento della domanda privata interna. Questo è avvenuto a causa di effetti ricchezza sul consumo? Riduzioni del deficit implicano aspettative di tasse più basse in futuro con effetti positivi sul reddito permanente netto e quindi sui consumi.

Il Belgio nel periodo 1984 86, il Canada nel periodo 1989 92, il Portogallo nel periodo 1984 1986, la Svezia nel periodo 1983 1989 hanno subito consolidamenti di grande entità. Due anni dopo il consolidamento il deficit primario aggiustato per il ciclo (stima di quale sarebbe il livello di deficit se l’economia fosse in piena occupazione) era più basso di quattro punti percentuali di pil rispetto al livello precedente l’aggiustamento. È cresciuto il consumo privato e sono cresciuti gli investimenti in quasi tutti gli anni di aggiustamento.

Riduzioni del deficit ottenute tramite tagli di spesa sono state meno costose di quelle basate su aumenti delle tasse e in alcuni casi il primo tipo di aggiustamento è stato associato a una crescita del pil, talvolta persino immediata. Gli aumenti di spesa per beni e servizi fanno crescere i salari reali e diminuire la profittabilità dei settori dei beni commerciati a livello internazionale, motivo per cui gli aggiustamenti fiscali basati sulla spesa sono risultati più efficaci per ridurre il rapporto debito pil. Consolidamenti con effetti più duraturi sono stati ottenuti attraverso riduzioni della spesa primaria, in particolare trasferimenti e salari.

Diversi studi hanno evidenziato quanto segue.

Si hanno effetti espansivi per gli aggiustamenti attuati durante tempi difficili, cioè periodi di elevato indebitamento ed effetti recessivi durante congiunture favorevoli. Se il debito cresce rapidamente e si raggiunge un livello critico il governo deve aumentare le tasse per evitare il default e dato che questo aumento evita aumenti di imposte future può portare a una risposta positiva sui consumi.

Correzioni di bilancio espansive sono esclusivamente basate sulla spesa. Aggiustamenti fiscali associati a livelli più alti di pil sono quelli in cui gran parte della riduzione del deficit primario è dovuta a tagli alla spesa pubblica corrente e non alla spesa per investimenti. La spesa privata per investimenti è molto sensibile inoltre ai tagli di spesa pubblica. In alcuni casi le esportazioni aumentano a causa delle svalutazioni associate alla riduzione dei tassi di interesse, che tipicamente accompagna le contrazioni fiscali.

 

Uno studio di Romer ha mostrato che in risposta ad aumento delle tasse dell’1% del pil dopo dieci trimestri la produzione è ancora del 3% sotto il livello che avrebbe avuto in assenza delle riforme delle imposte. Si ha quindi una recessione molto forte e un moltiplicatore delle tasse molto alto. Si prendono decisioni sia all’annuncio e successivamente. Variazioni inattese producono effetti di breve più grandi sul pil aggregato.

Secondo Cloyn, basandosi su uno studio sul Regno Unito, un taglio delle tasse dell’1% del pil causa un aumento immediato dello stesso dello 0,6% fino a giungere a una crescita del 2,5% dopo tre anni.

Secondo uno studio dell’FMI un consolidamento dell’1% del pil ha effetti recessivi, con un picco dello 0,6% del pil dopo due anni. Gli aggiustamenti fiscali basati sulle tasse sono molto più recessivi di quelli basati sulla spesa.

Il fatto che gli aggiustamenti basati sulla spesa abbiano effetti molto meno negativi sulla produzione dipenderebbe dalle politiche monetarie di accompagnamento, cioè dal fatto che i tassi di interesse reagiscono diversamente ai due tipi di aggiustamento fiscale.

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