Da:
http://docplayer.it/281992-Dalla-crisi-petrolifera-agli-anni-90-aspettative-e-problemi.html
http://amsacta.unibo.it/5031/1/280.pdf
Nel dopoguerra l’Italia ha visto un notevole sviluppo caratterizzato da alta produttività, salari e costi relativamente bassi, produzione destinata all’esportazione, progresso tecnologico, sviluppo dei consumi, integrazione commerciale coi mercati esteri, sviluppo dei mercati nazionali ecc.
La cultura liberale è comunque rimasta minoritaria. Se il ventennio fascista aveva vissuto di compromessi tra fascismo e liberalismo conservatore, dopo la guerra hanno preso il dominio della società le culture cattolica e social comunista. Con l’esclusione di Einaudi dominava la formazione dirigista di natura cattolica e marxista. Anche quella keynesiana e di piena occupazione si formano e si sviluppano concretamente con ritardo e proprio quando tale corpus teorico veniva messo in discussione in altri Paesi.
“Verso i primi anni Settanta si estrinsecano con forza i mutamenti politici e sociali già iniziati negli ultimi anni Sessanta e si determina un forte aumento del peso dei sindacati nel governo dell’economia, rafforzato anche da un sistema elettorale proporzionale puro che spinge i partiti alla ricerca di compromessi e scambi politici a carico del bilancio pubblico. La politica economica degli anni Settanta è quindi una filosofia di governo dell’economia imperniata sulla raccolta di consenso sociale politico, sull’intervento di direzione nei diversi mercati, sulla supposta irrilevanza del vincolo intertemporale e di bilancio con sottomissione della politica monetaria al finanziamento dei crescenti deficit pubblici.”
“L’impennata delle spese pubbliche correnti, poiché si era allargato ed esteso l’intervento statale nel sociale, affiancate da una politica fiscale in permanente ritardo di gettito, comporta uno squilibrio strutturale nel bilancio pubblico corrente, che dal ’71 comincia ad esprimere addirittura un disavanzo corrente, e un disavanzo complessivo che, nel periodo ‘70-’79 si colloca al 9% in media del pil”.
Contratti collettivi e scala mobile per i sindacati, inflazione e fiscal drag per il bilancio pubblico sembravano aver permesso di superare le difficoltà senza individuare un vero e proprio pagatore di ultima istanza. Questo pagatore si è trovato nelle famiglie che in quegli anni ha pagato il saldo con una imponente perdita reale della propria ricchezza finanziaria. Le famiglie hanno infatti subito forti perdite dal 1972 fino al 1983.
“Nel 1980 l’inflazione sfonda la barriera del 20% alimentata da forti aumenti salariali nominali, che a loro volta sono decurtati dall’alta inflazione. L’indicizzazione non sembra più possibile. La disoccupazione aumenta al 10% e poi sale oltre il 20% per poi stabilirsi al 5-6% a fine decennio. La presenza di disavanzi pubblici e deficit esteri rende evidente ed urgente una correzione di rotta nella politica economica al fine di evitare il deprezzamento della lira rispetto dollaro e marco.
Il problema è che quanto più ritardate sono le manovre di politica economica, tanto meno sono credibili e, tanto meno sono credibili tanto più forti sono gli effetti punitivi che il mercato esprime spingendo verso l’alto l’inflazione e tassi d’interesse, e verso il basso il valore del cambio. Così è avvenuto in un Paese dove le correzioni sono spesso timide, oltre che ritardate.”
“La classe politica italiana si era illusa, negli anni Settanta, di saper reagire adeguatamente agli shock internazionali ponendosi come obiettivo il consenso sociale e politico ed un’effimera difesa dell’occupazione mediante deficit pubblici, inflazione crescente e ricorrente svalutazione. Negli anni Ottanta è radicalmente mutata la politica monetaria, ma sono rimasti invariati i meccanismi di convenienza politico-elettorale che hanno lasciato crescere la spesa e i deficit pubblici. Quindi alla scarsa credibilità delle
promesse fatte e non mantenute, il mercato ha risposto con ripercussioni sui prezzi dei beni, in termini di alta inflazione, e i risparmiatori – italiani e stranieri – hanno risposto con ripercussioni sui prezzi delle attività finanziarie in termini di alti tassi d’interesse.”
“Altri paesi hanno reagito agli shock esterni in modo diverso.
Si potrebbe ritenere che, essendo tutti i paesi occidentali colpiti allo stesso modo
dal rialzo del prezzo del petrolio, la nostra moneta non dovesse soffrirne in modo differenziato. Ma
la reazione delle politiche economiche degli altri paesi aveva fatto tesoro dell’esperienza del primo
shock da petrolio: la rapidità con cui le autorità di Governo e monetarie reagirono fu in essi
decisamente maggiore. Paul Volker, Presidente della Riserva Federale degli Stati Uniti, convinse in
suoi colleghi, nell’ottobre del 1979, a mutare radicalmente la politica monetaria; nel Regno Unito
Mrs Thatcher era appena giunta al governo e suo obiettivo era mettere in atto un piano finanziario a
medio termine per disinflazionare l’economia; questi diversi atteggiamenti delle politiche
economiche si diffusero anche in Germania e, in misura minore, in Francia.
Ancora una volta, la nostra politica economica, posta di fronte alla necessità di reagire a uno
shock, cominciava a divergere, in un processo di rimozione collettiva del problema. La divergenza
nel controllo della domanda interna sarà ancora più grave di quella degli anni 1973-’75. Essa si
accentuerà in misura macroscopica nel corso del 1980 e comincerà a essere contenuta solamente
agli inizi del 1981 ; ma questa deviazione si ripercuoterà a lungo nel corso degli anni ottanta,
determinando un accumulo di disavanzi esterni, che sarà rovesciato solamente nel 1993.”
“Gli spunti di innovazione monetaria, disseminati nelle quattro
Relazioni presentate dal Governatore Baffi, sebbene già fortemente espressi parole nelle sue
Considerazioni finali, si erano solo gradualmente trasposti nei fatti. Ancora una volta essi erano stati
sommersi dalla pratica di finanziare il settore pubblico e di limitare il finanziamento al settore
privato. Per contro, la buona situazione finanziaria delle imprese fece sì che esse subissero in
misura contenuta l’effetto della timida azione restrittiva.”
“Con l’espressione “politica economica degli anni settanta” intendiamo quindi, più che
l’intervallo temporale del decennio, una filosofia di governo dell’economia imperniata sulla
stabilizzazione delle quantità, sull’intervento dirigistico nei diversi mercati, sulla supposta
irrilevanza del vincolo intertemporale del bilancio pubblico, sulla subordinazione del suo controllo
alla domanda di assistenza che il sistema socio-politico esprime, sulla sottomissione della politica
monetaria alle esigenze del bilancio pubblico così condizionato.”
UNA CRONOLOGIA.
1964-1996: periodo drammatico della storia economica italiana.
1966. La Corte Costituzionale dà il via alla finanza allegra. L’indebitamento pubblico esplode.
1965-1980. Piena adozione di politiche keynesiane, fondate su stabilizzazione e programmazione economica (il cipe…), mentre negli altri Paesi venivano messe sotto accusa.
1964-1979. Provvedimenti di rilancio sul piano congiunturale, statuto dei lavoratori, riforma delle pensioni, autunno caldo, nuove regolamentazioni delle relazioni industriali, soccorso pubblico a imprese e lavoratori in difficoltà, crescente peso dei sindacati nei rapporti col governo e nelle contrattazioni con singole categorie di lavoratori.
1962-1965 e 1970-1973. Aumentano i salari privati e contemporaneamente quelli pubblici. Aumenta l’occupazione nella pubblica amministrazione. Si formano le Regioni. Tra il 1970 e il 1973 l’occupazione delle amministrazioni pubbliche cresce del 13%.
Primi anni Settanta: definizione del sistema nuovo di relazioni industriali, shock sui salari, shock petrolifero. Il governo e le banche finanziano le imprese in difficoltà per non farle fallire.
Fra il 1972 e il 1973 si svolge un nuovo round di negoziazioni salariali. La nuova
politica sindacale permise ai lavoratori di passare attraverso la recessione senza conseguenze
significative per il livello di occupazione, mentre il controllo sindacale sull’offerta di lavoro
permetteva di mantenerne il potere di negoziazione. Considerando che la fluttuazione della lira e gli
aumenti dei prezzi resi possibili dalla transizione al regime IVA stavano alimentando aspettative di
inflazione e che il settore industriale stava fronteggiando una rapida espansione della domanda sia
interna che estera, possiamo comprendere come l’atmosfera fosse favorevole a nuovi e generalizzati
aumenti salariali. Con il progredire del tempo, la percezione del processo inflazionistico divenne
sempre più chiara ai lavoratori, cosicché emergeva per i sindacati un nuovo obiettivo, cioè la difesa
del salario reale.
La redistribuzione di reddito che i sindacati avevano indotto con l’autunno caldo
e le sue ricadute negli anni seguenti, cominciava a essere compensata dal trasferimento di fondi
verso le imprese in difficoltà effettuato attraverso il bilancio pubblico. La politica di stabilizzazione
dei redditi sembra quindi non escludere, in un certo senso, quelli di impresa. La quota di sussidi
pagati dallo Stato alle imprese passa dal 4% del valore aggiunto delle imprese private nel periodo
1960-66, al 6% nel 1972 e all’8,5% nel 1975. La dinamica dei contributi alla produzione da parte
delle AP ne risente e nel 1975 si osserva un salto di quasi un punto percentuale e mezzo di tali spese
in termini di Pil.
La spesa raggiunge il 40% del pil negli anni Settanta. La riforma fiscale (irpef, iva) non produce gettito equivalente, anzi lo riduce. Si hanno trasferimenti dalle famiglie (lavoratori dipendenti tassati alla fonte, fiscal drag, imposte dirette sugli autonomi) alle imprese. Le imposte indirette vengono evase o scaricate sui prezzi e permettono di salvare i margini delle imprese.
Gli shock da offerta segnano, in altri paesi, l’apice del Welfare State e si
comincia a percepire che la disponibilità di risorse da ridistribuire tramite il sistema dell’assistenza
sociale va restringendosi. La politica economica italiana si
esplica nell’inizio di una lunga fase di scostamento del nostro paese dagli altri paesi più
industrializzati. Vengono alimentate aspettative crescenti sulla possibilità del settore pubblico di
garantire il benessere dei cittadini e dispensate certezze per il futuro.
Il tasso di crescita dell’economia si riduce e le tentazioni per
impostare una nuova politica di rilancio sono troppo forti per resistervi, nonostante l’inflazione
italiana, anche se in riduzione, sia ancora di molti punti più elevata di quella europea.
Nel 1978, il reddito disponibile delle famiglie viene sostenuto, oltre che dal venir meno del
blocco della scala mobile, dalla indicizzazione delle pensioni anche alla dinamica salariale,
dall’adeguamento del valore del punto della scala mobile per i dipendenti del commercio e per
quelli pubblici al valore concordato per il settore industriale
1976. La Lira è in grave crisi. L’Italia deve ricorrere a prestiti da parte del Fondo Monetario Internazionale. Si hanno i risultati di Politiche monetarie antiquate, si generano un doppio mercato dei cambi, dei cambi paralleli, tentativi di controlli sui capitali e sui cambi ecc.
1977. Primi tentativi di politiche di offerta per modificare il prezzo relativo del lavoro e predisporre strumenti di tipo monetario. Prevalgono il controllo dei mercati e e della domanda aggregata.
1978: Si procede sulla strada dello smantellamento dell’impostazione dirigistica della
politica monetaria. Nel giugno 1978 si riduce il vincolo di portafoglio dal 30 al 6,5% ; si elimina
l’obbligo del finanziamento in valuta dei crediti alle esportazioni ; si accresce il massimale per le
operazioni a termine contro lire ; si raddoppiano i termini di pagamento anticipato delle
importazioni ; si amplia la durata dei conti valutari di attesa.
Il ministro Pandolfi propone un piano di riduzione della spesa pubblica che resterà lettera morta come tanti altri di lì a venire, da quello di Giarda a quello recente di Cottarelli.
1979. Adesione allo Sme
1979. Cresce la quota sul pil dell’assistenza: cassa integrazione.
1981. Autonomia della banca centrale dal tesoro.
Il ministro Giannini afferma che l’Italia è spacciata e la sua pubblica amministrazione alla deriva e irrimediabilmente irriformabile. Verrà fatto fuori. Le sue idee di riforma, comunque, verranno in parte seguite, ma come sempre in ritardo e blandamente.
Anni Ottanta: l’istituzione del servizio sanitario nazionale fa aumentare la quota di spesa sanitaria sul pil.
Ogni tanto appaiono contrasti tra politici, economisti o dirigenti espansionisti e restrizionisti o gradualisti, che alla fine vincono.
Cambiare poco alla volta per non cambiare niente è il motto della classe dirigente. Le conseguenze si vedranno dagli anni Novanta in poi.