Da “Politica economica italiana” di Salvatore Rossi
Va riconosciuto che sono stati fatti dei progressi dopo il ’92, che ha segnato l’esplosione della crisi seguita a due decenni di dissennatezze. I responsabili della politica economica hanno imparato a darsi obiettivi più corretti e realistici, a usare strumenti più effcaci, ad adottare metodi di minima razionalità amministrativa. Sussiste, però, una fragilità intrinseca nell’impianto della politica economica italiana, un malessere profondo, una tara congenita che l’Europa non basta a far guarire e che colpisce governi di qualunque segno politico.
La politica economica tende ad assumere valore normativo. Si individua un modello di funzionamento dell’economia che ammetta gradi di libertà nella manovra di certe variabili e cerca di manovrare tali variabili per giungere a obiettivi coerenti con la prescelta nozione di benessere sociale.
Il policy maker, però, non è un dittatore illuminato, disponibile incondizionatamente ad attuare la politica giusta una volta che questa sia stata calcolata, nonché dotato di tutti i poteri per farlo immediatamente e completamente.
I soggetti coinvolti sono molti, diversi e obbedienti ciascuno ai suoi propri moventi. Sarebbe ingenuo e inquietante pensare che questi moventi siano costantemente dominati da un comune e trascendente obiettivi di benessere sociale. Questi soggetti sono legislatori, governanti, amministartori pubblici, funzionari, esponenti di lobbies, opinion leader, operatori della comunicazione ecc.
Il processo di politica economica viene visto oggi come un gioco di strategia tra soggetti mossi da moventi diversi. Tale processo può anche condurre a risultati che non massimizzano alcunché.
Questo non significa limitarsi a prendere atto che succede quel che succede, così è e non si può agire per cambiarlo. I policy maker dovrebbero cercare di creare, modificare e interpretare le regole del gioco, ma non le mosse del gioco.
Sono esempi di determinazione delle regole del gioco: la Costituzione, il diritto societario, i trattati commerciali internazionali, le regolamentazioni dei mercati, lo statuto della banca centrale, i principi contabili delle amministrazioni pubbliche, la disciplina dei rapporti di lavoro, la creazione di agenzie governative di controllo. Questi atti prevedono una delega di politica economica dalla collettività ai decisori diretta o corta.
Le mosse del gioco prevedono deleghe lunghe, in cui ogni attore agisce in modo indipendente, nei moventi e nella tattica, dalla volontà e dagli interessi del primo delegante. Questi atti vanno studiati con distacco per comprendere il funzionamento dei processi politici che fanno discendere quegli atti dalle regole vigenti e far tesoro della conoscenza acquisita per capire se e come cambiare quelle regole e deviare il corso di quei processi.
Le vicende di politica economica italiane in quarant’anni hanno mostrato una ricorrente condizione di ritardo, di affanno, di incoerenza, di inefficacia, di dannosità. Le politiche sono state criticate da ben poche cassandre, mentre hanno raccolto il consenso della maggioranza elettorale. Nessun dittatore poco illuminato può esserne incolpato. Tuttavia, il tasso di inefficiacia e dannosità delle politiche economiche osservato in Italia è visibilmente più alto di quello rilevabile nello stesso periodo in molte altre democrazie a economia di mercato. Si annida in Italia un peculiare mafunzionamento del sistema di governo dell’economia.
Astraiamo di nuovo.
Nel lungo periodo la performance di un’economia, comunque la si misuri, è tanto maggiore quanto maggiore è il grado di coordinamento e di cooperazione tra i suoi agenti nella defizione e nel rispetto delle regole basilari della convivenza civile e dell’attività economica. Questo dice l’analisi storica. L’analisi teorica conferma questo assunto e lo colloca in una cornice di condizioni molto stringenti: essa mostra che individui impegnati in un gioco trovano conveniente assumere un atteggiamento cooperativo soltanto se:
1. Il gioco può essere ripetuto molte volte, sì che i giocatori abbiano modo di costruirsi delle reputazioni di affidabilità.
2. Ciascuno dei giocatori può procurarsi informazioni complente sulla reputazione, cioè sul comportamento passato, degli altri.
3. Il numero dei giocatori è piccolo.
Nella realtà i giocatori sono molti e hanno memoria corta e informazioni imperfette. Il grado di cooperazione che si raggiunge nello svolgimento del gioco politico economico è allora dettato dalle regole di questo, cioè dalle istituzioni dell’economia e della società.
Si ha progresso economico presso una collettività quando questa impara nel tempo a darsi istituzioni che favoriscono i comportamenti cooperativi di base. Questi sono necessari a fissare e a far rispettare regole del gioco giuste, che non escludano nessuno dal gioco, e che siano da tutti accettate in ogni fase. La cooperazione cesserà nel momento di iniziare il gioco: questo dovrà essere governato dalla concorrenza e dalla libera contendibilità di ogni attività e di ogni mercato; ma dovrà anche poggiare su un sostrato di intese fondamentali, una sorta di contratto sociale trasparente.
Si parla a tal proposito di un capitale sociale fondante una collettività e costituito da conoscenze e credenze condivise, stratificate sopra culture preesistenti (pregiudizi, miti, dogmi, ideologie) e che filtra le novità. Il processo di costruzione di un capitale sociale è lento e non è detto che la sua risposta alle novità sia efficiente: è pieno il mondo di società che a fronte di novità (tecnologia, prezzi relativi) sono finite intrappolate nel sottosviluppo, nella stagnazione, nel declino.
Le istituzioni di una società sono composte di leggi, regolamenti, norma di condotta, tradizioni e convenzioni, codici etici che definiscono i diritti di proprietà, assicurano l’esecuzione dei contratti, determinano i costi di transazione.
In ognuna di queste funzioni le regole del gioco fissano incentivi e disincentivi per i giocatori e ne orientano così il comportamento in senso cooperativo, quindi socialmente efficiente, oppure no.
Torniamo al caso pratico.
Una strada comunale di un piccolo paese non viene spazzata da molti giorni. Perché?
Ipotizziamo tre casi.
1. Gli spazzini non effettuano il servizio con le frequenze previste dal piano operativo.
2. Il piano operativo è mal concepito.
3. L’azienda ha ristrettezze di bilancio.
Cosa dovrebbero fare gli amministratori comunali o i dirigenti dell’azienda? Diamo risposte piuttosto nette.
Caso 1: rilevare la negligenza e punirla.
Caso 2: riorganizzare l’azienda per aumentarne la produttività.
Caso 3: procacciarsi nuove entrate. (Questa soluzione potrebbe consentire anche di aggirare i problemi di cui agli altri due casi.)
Cosa succederebbe nella realtà italiana?
1. I lavoratori non vengono puniti. La legge lo permette solo in casi specifici, la giustizia ha tempi lunghi, le procedure sono pesanti e costose. L’etica del lavoro diffusa nel Paese giudica tale mancanza come sostanzialmente irrilevante. Contestare i lavoratori viene percepito come una volontà persecutoria.
2. Quei lavoratori e le loro famiglie, inoltre votano. I sindacalisti e le loro famiglie votano. Pochi voti potrebbero essere determinanti alle prossime elezioni. Anche nel caso in cui il partito al potere lo è da decenni, ci possono essere lotte interne al partito stesso e gli amministratori sanno che il loro posto è garantito dall’apparentamento con un politico. Nessun amministratore vuole inimicarsi il politico e i cittadini. Nessun amministratore vuole subire i rischi di uno sciopero. Del resto ha qualcosa in cambio: l’amministratore non viene giudicato dai risultati o dall’efficienza del servizio di cui è a capo, bensì semplicemente dalla sua abilità di coltivare le relazioni col politico.
3. Restano le entrate. Non verranno chiesti soldi agli utenti del servizio perché è una misura impopolare e si rientra nel caso della paura di perdere voti. Non si vorranno aumentare le tasse comunali per lo stesso motivo. Il caso più probabile è quello di chiedere soldi alle amministrazioni centrali (regione, Stato.) A livello nazionale potrebbe non essere conosciuto neppure il nome del paese, ma il beneficio sarà concesso se i politici nazionali percepiranno la possibilità di uno scambio con l’amministratore locale e quindi sarà interesse di quest’ultimo far sì che si producano le condizioni favorevoli a questo scambio. Che poi vi siano anche scambi di mazzette o meno è irrilevante e dipenderà dalle norme sul funzionamento della p.a. e dall’etica del servizio pubblico. Anche il politico nazionale è incentivato ad avere vista corta e riflessi automatici: inseguire e soddisfare ogni micro richiesta, rifuggendo da fastidiose visioni generali dell’interesse collettivo e ricercando piuttosto uno spazio mediatico che pubblicizzino la sua generosità.
Ecco che, in un sistema siffatto, le istituzioni dell’economia e della politica, dalla più piccola alla più grande, si concatenano in modo tale da fornire SEMPRE gli incentivi contrari all’obiettivo di benessere sociale che pure ci si prefigge. Questa è la tara che rode all’interno