Formato nel 1892 come branca della società di ginnastica cittadina, se ne separò nel1903. Nel 1904 iniziò a indossare la maglia bianca. Il campionato si svolgeva all’epoca attraverso delle competizioni regionali, che conduceva ad un sistema a play off tra i vincitori. La Pro Vercelli ruppe il predominio del Genoa e del Milan e rivoluzionò il modo di approccio al calcio.
Detti “le casacche bianche” o “i leoni”, i calciatori giocavano con la linea mediana delle meraviglie: Guido Ara, Giuseppe Milano, Leone. La squadra era caratterizzata da un pressing aggressivo sulla palla, da contrasti duri e da un forte atletismo.
Erano una squadra di ventenni, già avvantaggiati da velocità di base e resistenza. Inoltre lavoravano su come prepararsi specificamente per il calcio. Ridisegnarono la tattica: non più palla lunga e pedalare ma tenere la palla, passarsela con velocità ed energia. Vinsero i primi campionati nel 1908 e nel 1909.
Erano un club di provincia, composto da italiani e vercellesi, mentre gli altri club erano in larga parte composti da stranieri. Oltre a preparazione atletica e tattica, anche il tifo di supporter in nome dell’italianità fu un segno distintivo della squadra.
Come leggiamo sul sito storiedicalcio.altervista.org, per partecipare a un torneo a Casteggio, dove giocavano squadre molto rinomate per l’epoca, i bianchi andarono in bicicletta. Il centravanti Sessa dovette imparare a montare il mezzo da solo per andare. Il gruppo cercò di evitare di pagare il pedaggio passando su un ponte sul Ticino, ma l’ultimo della fila, proprio Sessa, fu fermato dal custode e dovette pagare per tutti. Malgrado la sconfitta col Milan per 1-0, seguita alla vittoria col Casteggio, la squadra fu accolta al ritorno in modo trionfale.
Da quel momento, leggiamo sul sito suddetto:
inizia l’epopea della grande Pro Vercelli, una sorta di Atheltic Bilbao
nostrano che ammetteva in squadra solamente giocatori vercevercellesiica eccezione riguardava il
torinese Berardo, il cui trasferimento alla Pro sollevò un vespaio di polemiche. Dopo alcuni giorni di
riunioni il direttivo della società accettò la richiesta del giocatore che, benché nazionale, chiese di
giocare gratis nella Pro Vercelli.
E ancora:
I bianchi erano una grande famiglia, il loro motto era “tutti per uno, uno per tutti”, non c’era un
allenatore e il padrone riconosciuto della squadra era il capitano, Carlo Rampini. Era lui, mezzala
perennemente col colpo in canna, l’anima e il cuore della formazione piemontese.
In pieno dilettantismo Rampini fu al centro di un caso che suscitò polemiche: il capitano infatti venne
accusato perché per ogni rete segnata riceveva dal presidente Luigi Bozino dei sigari. Dopo
l’inchiesta non scattò alcuna squalifica poiché il giocatore riuscì a dimostrare che vendeva i sigari
ricevuti per ricavare il denaro necessario a curare il fratello del compagno di squadra Corna,
gravemente ammalato.
Nel 1910 la Federazione cambiò la formula del campionato: nove squadre si affrontavano attraverso scontri diretti e chi finiva con più punti diventava campione d’Italia.
Dopo l’ultima giornata la Pro Vercelli e l’Inter finirono a pari merito. Secondo le regole in vigore, lo spareggio si sarebbe dovuto disputare in casa della squadra in vantaggio nella differenza reti, e questa era proprio la formazione piemontese. I giocatori, però, erano impegnati in un torneo militare, e la Società chiese di spostare la data dell’incontro dal 24 aprile al primo maggio. La Federcalcio fece spallucce e per protesta la Pro Vercelli mandò in campo una squadra di ragazzi tra i dieci e i quindici anni. Lo spareggio finì dieci a tre per l’Inter.
All’inizio del nuovo campionato la Pro Vercelli decise di ripresentarsi al via, dopo qualche titubanza dovuta all’affronto della stagione precedente e conquistò il titolo perdendo una sola volta. Resta agli onori delle cronache la vittoria per 13-0 contro il Venezia.
Nel 1911/12 il campionato cominciò a comprendere anche formazioni dal sud Italia. La Pro Vercelli vinse comunque nove partite su dieci nel primo girone regionale e nel girone successivo ancora sette partite su otto. Fu impressionante anche il tabellino dei gol complessivi: ventuno a uno. La finale nazionale si concluse con un perentorio 6-0 contro la Lazio. Con le credenziali di migliore squadra in Europa, in quell’anno, la squadra andò in Brasile a giocare contro Flamengo e Botafogo.
Nel 1913 la Nazionale italiana affrontò il Belgio schierando ben nove giocatori della Pro: Innocenti, Valle, Ara, Milano I, Leone, Milano II, Berardo, Rampini I e Corna. Gli altri due erano Renzo De Vecchi del Milan e Fresia dell’Andrea Doria. Il risultato è spiegato da un telegramma: “Pro Vercelli-Belgio 1-0”.
Nei tre anni successivi la squadra perse alcuni giocatori che andarono in guerra, compreso il fratello di Guido Ara. Nel 1914 mancò la qualificazione nel girone nazionale, poi nel 1915 perse col Torino in semifinale. Con la guerra in corso il campionato fu sospeso fino al 1919, anno in cui la Pro Vercelli arrivò comunque in semifinale.
Lo scudetto tornò sulle casacche bianche nella stagione 1920-21: a lasciarci le penne furono il Bologna, che perse la finale del girone nord, e poi il Pisa, che perse la finale nazionale. Il risultato di ambedue le gare fu 2-1,
Nel 1922 “i leoni” vinsero di nuovo il campionato battendo in finale 8-2 la Fortitudo, grazie anche all’apporto del famoso fuoriclasse Rosetta. In quell’anno affrontarono anche il Liverpool, “best team” inglese dell’epoca e la partita terminò in parità.
La Pro Vercelli restò in serie A fino al 1934 e si avvalse anche delle prodezze di uno dei più forti giocatori italiani di tutti i tempi: Silvio Piola.
A segnare la rovina del team fu il professionismo, che favoriva grandi platee e stipendi più alti. Il nome della Pro Vercelli, dopo gli anni Venti, restò una curiosità per i lettori di almanacchi, albi d’oro e libri in inglese che raccolgono “le cinquanta squadre che hanno fatto la storia del calcio.”