there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Rainbow warrior e rainbow warriors.

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Salto la corda che funge da porta d’ingresso alla nave. Vedo Clarissa. Sei serafico. Graziano mi spiega il percorso. Farò sempre quello per tutto il giorno, poi domani scoprirò che c’erano vie più semplici. Non distruggermi il tavolino.
Mi servono due volontari. Vado io vado io.
Ma io non sono volontario in questa giornata. Dai vado io e una volta basta. Mariachiara dice ok- No, no. Ancora. Tutto il giorno. Prima facciamo una girata per la nave e poi andiamo.
Quanto è figa quella maglia delle tappe della rw e la scritta no passengers but crew sul davanti. Si vede un arcobaleno tra le r e la e.
Dormi per terra. Hai l’occasione di dormire in un materassino o addirittura in un letto, a casa di un grinpisino genovese e in compagnia di altri grinpisi (che dormono, però: non è che ci parli) e invece tu stai a dormire per terra. Unica base di appoggio un tappetino da palestra. “Non ti ricapita questa occasione,” dice Clarissa. Certo che non è molto frequente dormire per terra. E così mi faccio accompagnare nei bassifondi della nave, risalgo per levarmi le lenti, scopro nuove strade per muovermi, riscendo, chiedo se devo chiudere la porta (“no, le porte vanno tenute aperte, se si tengono le luci spente,”) sveglio un po’ di gente, mi butto per terra, metto gli occhiali dentro lo zaino. Riesco perfino a dormire. Anzi, mi ricordo sogni di incendi in una casa dove torno per salvare dei libri e scopro che l’ipad ha il vetro rotto (una volta in effetti avevo distrutto il kindle e gli occhiali appoggiati sul letto in cui poi ero entrato e quindi li avevo buttati per terra.) Vedo Irene e Marirosa che mi brontolano per qualcosa, sempre in sogno. Insomma era una specie di film horror. Mi dirà poi Ilenia che ha rischiato di calpestarmi, visto che mi ero messo vicino alla porta. Però vabbe’, pazienza.

Scene che restano. Devo andare in bagno. Resisto un po’. Che ore saranno? Aspetto la mattina? Ma poi ci sarà affollamento? Adesso sveglierò tutti? Come se fossero tutti pimpanti. Se volevano dormire meglio andavano da un’altra parte, come avrei fatto anche io, no? Abbiamo tutti scelto di dormire sul pavimento della Rainbow perché vuoi mettere? Salgo. Sono sul ponte. Vedo Clarissa, che sta facendo night watching dalle quattro alle otto e adesso saranno le sei. E’ seduta di fronte al mare. Questa immagine mi resterà impressa per sempre. La invidio e la ammiro. Ha scelto di stare lì per avere momenti di solitudine e silenzio. Quei momenti che piacciono anche a me. Considero amici coloro i quali li rispettano e non si mettono a dire perché vuoi stare da solo perché stai zitto. Dopo essere stati a lungo in mezzo a tanta gente, anche se piacevolissima, esistono persone che hanno bisogno di ricaricarsi. Da soli. Davanti al mare. Pensando o annullando i pensieri e godendosi la vista e il suono dell’acqua che scorre o sta ferma, della città che si sveglia, delle navi mostro che forse staranno per portare crocieristi o vacanzieri in giro, dei primi runner che corrono. Io ricordo quando mi ritrovai in lacrime in una scena simile a Stoccolma, alle dieci di notte a fine giugno 2010 (e c’era ancora il sole quasi alto) il giorno prima di ripartire per l’Italia. Ero di fronte al posto dove si uniscono il lago e il mare. Ero lì e lasciai fluire i pensieri, che mi portarono chissà dove. Ricordo solo il pensiero del cambio di lavoro perché rischio di sprecare un pezzo importante di vita e insomma sulla nave alle sei di mattina ho invidiato Clarissa e l’ho lasciata lì per tornare a dormire. MI ha accompagnato in bagno, prima. “Non ci sei mai stato? E’ sulla wet room.” “AH. Ma è qui! Ci sono andato tutto il giorno! Certo che se la chiami wet room…

Mi alzo. Mi saluta Pierdavide. Lui a voce. Io ricambio con la mano. Faccio salite, discese, giri in qua e là. Nessuno mi guarda, mi dico, mentre affannosamente cerco di chiudere il sacco a pelo che mi aveva prestato Gabri e su cui non ero entrato. Sto in giro senza fare niente mentre qualcuno sistema il banchetto o pulisce le stanze e mi sento in colpa. Vedo due ragazzi che vanno nella conference room. Vengo anch’io, dico. Aiuto a portare su lo zaino. Caterina mi vede armeggiare col telefonino. Mi chiede se voglio spazzare. Sì, rispondo con entusiasmo. Sono le dieci. Siamo di nuovo operativi. Torniamo a raccattare gente.

Andiamo a raccattare gente. Serena dice che nel loro gruppo locale nascondono gli ipad o i telefonini durante le attività e non mostrano loghi. “Ciao, vuoi visitare la nave di Greenpeace? E’ gratis, gratis, gratis. Non tornerà mai più. E’ la nave che va a salvare le foche, gli orsi polari, le lucertole, le cavallette e perfino le ive zanicchi. E’ ai magazzini del cotone, giù in fondo.” Io porto una bandiera pesante fatta con una via di mezzo tra una mazza da biliardo e una canna da pesca in legno. Incontriamo i soliti personaggi strani.
Quelli del pippone, del no al motore a scoppio, delle stazioni orbitanti spaziali vietate dalla nasa che comanda in Italia. “Sì, ma dopo guardo su internet. Ci fa una foto?” E’ il modo di farlo fuori.
Quelli del no, stiamo parlando di una cosa personale.

Quelli del siamo spagnoli, siamo francesi (con tentativo di parlare in francese, naufragato,) siamo tedeschi (e Marina non è rimasta fregata.)
Quelli di altre associazioni che avevano delle mostre: i Cinquecentisti (“faccio una foto con te, bella fanciulla,, ma non mi chiedere il numero di telefono perché non te lo do.”). Gli harley davidsonisti (“E’ una figata, magari veniamo.)
Quelli che polemizzano: “non importa che vinciate sulle foreste quando dite cavolate sul clima.” Non contesto che il silicio inquini più del petrolio perché ogni volta che qualcuno dice una stronzata certificata argomentandola in modo ridicolo penso di andare a studiare e a sbugiardarlo, anche quando so le cose, e quindi lui se ne è andato. Lui dice che le rinnovabili sono fuffa e io penso che è l’ora di riuscire a smentire tutta questa gente e a spiegare i rapporti di tante associazioni e istituti. Mi danno manforte vari ragazzi e ragazze milanesi, tra cui Marina e Maiki. “Sono stata due ore a dormire per terra. Secondo te perché?” Urla al tipo scettico. E gli spiega che in realtà non siamo estremisti, ma non è che puoi andare a chiedere alla gente di partecipare un dibattito. “Ehi, dai, cancelliamo le centrali a carbone!” è più suggestivo. Dai, vai sulla nave, che poi siamo lì per quel motivo là. Maiki è impressionante perché alle dieci di mattina è carichissima e questo motiva e io penso che nel nostro gruppo locale ci mancano certi tipi di volontari, così entusiasti e carichi e motivati, ma anche rispettosi delle regole e appassionati. Come diversi bolognesi, milanesi, torinesi, genovesi conosciuti.
Quelli dei ristoranti. Noi lavoriamo fino alle due, magari domattina. Comunque prendiamo i volantini e li mettiamo sul bancone.
Quelli dell’equipaggio. I hate gp. Joke. You are volunteers? Thank you!
Quella della bibbia. Io non credo in dio. Prendi, poi la bibbia la regaliamo dopo il corso.
Qualla degli anelli. Dai che vi distribuisco i volantini.
Quello che gli piacerebbe fare il volontario, quelli del no grazie, quelli del grazie per il vostro impegno.

A mensa appare un menu strano, con pesce che a me sembra carne e il giorno dopo bacon e salsicciotti. Il tutto cucinato da quel figo del cuoco russo che è stato in prigione in Russia dopo l’approdo sulla piattaforma petrolifera della Gazprom in Artico. Mi sorprendo solo io? Di solito alle riunioni nazionali c’è solo un menu vegetariano. Marirosa afferma perché così fanno delle cose che piacciono a tutti. Maiki dice che c’è un menu anche per onnivori. Poi vabbe’ che non siamo animalisti e che le proteine animali in nave possono servire, però mi sembra strano. Non mangiare carne è utile per rispettare l’ambiente.

Arrivano i pisani e i bolognesi. Alzo la voce coi primi perché abbiamo idee diverse su come impostare gli skill share. Poi penso che abbiano ragione loro e scopro di apprezzarli. Facciamo il tour e una signora traduce in russo o rumeno a un bambino che spiega in italiano alla mamma cosa ha detto il tipo. La sala comandi della nave è affascinante. La barca stessa, costata ventitre milioni di dollari, va in giro per la maggior parte del tempo a vela, non ha acque nere (diventano grigie, come la pioggia), utilizza un motore elettrico. Il capitano ha fatto foto con Viviana, mentre a me ha chiesto qual era il punteggio della partita tra Brasile e Cile, che abbiamo visto (in parte) in sala mensa. Il tifo era per il Cile.

La sera ci facciamo fare foto, beviamo e balliamo poco, poi chiacchieriamo. Sento discorsi sulle energie rinnovabili, su evitare arresti per azioni inutili, su persone assunte perché brave politicamente.. Ricevo un massaggio cinese con un aggeggio strano in testa. Parlo con Claudia. Sono stata bene in Benin. Nessuno mi aveva detto Malin. Sei accanto alle tue torinesi preferite. Fa piacere che me lo dica. Lei è Elisa? Urla più forte. Non ci senti da questo orecchio? Ricci smetti di riprendere con l’ipad i balli. Tanto non sei a rischio tag. Vuoi la mia felpa di Amsterdam così tu patisci freddo e io no? Guarda che quello lì, dell’equipaggio non va a letto perché ha paura che lei, con cui sta parlando da ore, lo violenti. Parliamo inglese così l’equipaggio ci capisce.
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Marina è stata in Islanda un mese e una settimana. Ha fatto l’autostop. A maggio c’era la neve e poi sono arrivati a una ventina di gradi. Ha vinto un finanziamento per un progetto sulle energie rinnovabilil. Intervistava le persone. Sa benissimo il tedesco e altre cinque lingue. E’ rimasta affascinata dal blog del mitico Venturi.
C’è chi poi chi ti capisce. E chi accetti che ti capisca. Devi dare qualcosa perché questo succeda. Puoi scegliere a chi dare cosa.
C’è chi non ti capisce, ma ti accetta, rispetta tutti i tuoi momenti, soprattutto quelli in cui hai bisogno di solitudine e silenzio e sa lasciarti in pace.

Cosa restano? Il solito pieno di energia. La solita carica. Il solito entusiasmo. Il solito coinvolgimento. Il solito effetto trascinamento. Le solite condivisioni di tutto quello che possiamo dare. Non avremo tempo libero, ma è come se durante queste esperienze autoproducessimo energia (rinnovabile) e la condividessimo.
Nel dubbio è sempre meglio esserci: si torna sempre un po’ più carichi, un po’ più motivati, un po’ migliori di quando siamo partiti.
C’entreranno gli ideali o gli interessi personali, ma soprattutto il merito è delle persone. Nuovi o vecchi, coordinatori o volontari, attivisti o campaigner: si respira amicizia, rispetto, voglia di fare. Sono momenti dedicati all’essere, e in particolare all’essere insieme

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