https://voxeu.org/article/italy-s-productivity-conundrum-role-resource-misallocation
“Negli ultimi anni molte economie avanzate sono state caratterizzate da un rallentamento della produttività. Questo andamento è preoccupante poiché la produttività è il driver chiave per la crescita di lungo termine.
Il calo della produttività non è una novità per l’Italia, la cui stagnazione più che ventennale è spiegabile da tale calo che a sua volta dipende da vari fattori. Il calo italiano può aiutare a far luce sulle ragioni del calo negli altri paesi sviluppati?
La cattiva allocazione delle risorse ha degli impatti sull’evoluzione della produttività sia nel settore manifatturiero che in quello dei servizi. Definiamo cattiva allocazione come la dispersione della produttività tra le imprese. La cattiva allocazione cresce finché le imperfezioni di mercato ostacolano il flusso di risorse dalle imprese meno produttive (dove i rendimenti dei fattori produttivi sono più bassi) a quelle più produttive ( dove il rendimento dei fattori produttivi è maggiore). Da metà anni 90 cattiva allocazione è aumentata in Italia e il suo impatto sull’evoluzione della produttività italiana è stato importante: se nel 2013 la cattiva allocazione fosse rimasta ai livelli del 1995 la produttività italiana sarebbe stata del 18% più alta nel settore manifatturiero e del 67% più alta nei servizi.
Gli autori hanno raggruppato le imprese per settore, area geografica e dimensione. Hanno quindi scomposto la misura della cattiva allocazione in una componente “intra gruppo” e in una “tra gruppi”. La componente “interna ai gruppi” risulta essere il driver principale della cattiva allocazione delle risorse in ciascun gruppo considerato. La cattiva allocazione intragruppi cresce rapidamente nel 1995, lo stesso anno in cui la produttività totale dei fattori aggregata inizia il suo declino di lungo periodo (ricordiamo che da metà anni 70 la curva era piatta, poi è diventata discendente).
Ciò implica che per aumentare la produttività l’Italia non dovrebbe focalizzarsi su delle politiche finalizzate a spostare le risorse tra settori, aree geografiche e classi dimensionali ma piuttosto dovrebbe attuare delle politiche finalizzate ad allocare i fattori capitale e lavoro sulle imprese che performano meglio entro ogni categoria. Più che focalizzarsi sugli spostamenti di capitale e lavoro per esempio dal tessile all’elettronico occorrerebbe focalizzarsi sugli incentivi affinché le produzioni si spostino dalle imprese meno produttive a quelle più produttive sia nel tessile che nell’elettronico. Analogamente anziché favorire soltanto i trasferimenti da sud a nord dovrebbe essere incentivata la mobilità di lavoro e capitali verso le imprese più produttive nel sud e verso le imprese più produttive nel nord.
Questo rappresenta un’opportunità e una sfida. Un’opportunità perché spostare i fattori dentro i settori o dentro un’area è meno costoso che fare cambiamenti di settore o di area. Una sfida perché è più difficile determinare cosa impedisce alle imprese più produttive di espandersi e a quelle meno produttive di sparire dentro lo stesso settore o la stessa area geografica.
In generale stabilire le condizioni di base per il corretto funzionamento delle riallocazioni guidate dal mercato potrebbe essere più efficace che perseguire politiche industriali tradizionali rivolte a trovare i settori vincenti.
La cattiva allocazione e il susseguente declino della produttività si evidenziano nei motori tradizionali dell’economia italiana, il nordovest e le grandi imprese. Pur non avendo una spiegazione delle cause occorre evidentemetne fare attenzione ad attuare delle politiche che migliorino l’efficienza del processo allocativo entro il gruppo delle grandi imprese, come ad esempio le regolamentazioni del mercato del lavoro e il sistema di sussidi pubblici.
Se prendiamo un’impresa a caso è più probabile che abbia una produttività inferiore nel 2013 rispetto al 1995. È aumentato il numero di imprese con bassa produttività. La crisi del 2008 non ha avuto un effetto di pulizia mentre ci sono stati dei miglioramenti dopo la crisi del debito del 2011 (anche se non si è tornati ai livelli pre crisi). Questo fatto fa puntare il dito contro l’inefficienza delle istituzioni e contro le regolamentazioni che governano il processo di ristrutturazione delle imprese.
Aspetti rilevanti sono i seguenti.
Primo. La regolamentazione delle procedure di fallimento e l’efficienza del sistema giudiziario nel riallocare gli asset delle imprese in dissesto.
Secondo. Il processo di allocazione dei crediti può portare a estendere i prestiti alle imprese zombie pur di non farle fallire.
Terzo. Il mercato del praivate equity e degli operatori finanziari specializzati in ristrutturazioni d’impresa è ancora sottosviluppato in Italia.
Quali caratteristiche delle imprese sono maggiormente associate con la cattiva allocazione delle risorse? Gli autori hanno analizzato il ruolo della proprietà e della gestione delle imprese, della finanza, della composzione deolla forza lavoro, dell’internazionalizzazione, dei legami con la politica e dell’innovazione. Dall’analisi è emerso quanto segue.
Il meccanismo di cassa integrazione è usato in modo disproporzionale dalle imprese meno produttive e è associato con una più alta cattiva allocazione. Il problema è questo meccanismo protegge l’incontro tra lavoratori e imprese anche se queste non sono più produttive. Ostacola il processo di distruzione creatrice che spingerebbe i lavoratori verso le imprese più produttive. Questo è il caso in particolare quando il meccanismo, anziché essere usato temporaneamente, viene esteso per una lunga durata. Un sussidio universale di disoccupazione che possa essere concesso per un periodo in cui le persone però non mantengono il loro posto di lavoro potrebbe condurre a una migliore allocazione dei lavoratori e a una produttività più alta. I sussidi di disoccupazione dovrebbero essre focalizzati più sul lavoratore che sul lavoro. Il jobs act ha cercato di andare in questa direzione. Vedremo la sua implementazione.
Le imprese con una quota di investimenti in immobilizzazioni immateriali come ricerca e sviluppo, branding, marketing, hanno una produttività più alta. Il sostegno pubblico per questi tipi di investimenti può essere un incentivo importante affinché le imprese effettuino tali investimenti che favoriscono la crescita della produttività. Allo stesso tempo le imprese con investimenti più alti in intangibles mostrano un livello più alto di dispersione produttiva: questo indica che potrebbero essere soggette a vincoli. Per esempio l’accesso al credito potrebbe essere problematico per imprese altamente innovative e rischiose. Lo sviluppo di componenti dei mercati finanziari non bancari come i venture capital e i private equity potrebbe aumentare la produttività e diminuire la dispersione delle imprese produttive.
Le imprese che hanno più laureati tra i loro colletti bianchi sono più produttive. L’Italia ha una quota di laureati più bassa di quella di altri paesi europei. Politiche proattive che incoraggino l’educazione terziaria sono opportune. Allo stesso tempo la dispersione della produttività tende a essere più alta tra le imprese con una quota più alta di persone più istruite. Una ragione può essere il mismatch di competenze che è più probabile tra imprese e lavoratori altamente istruiti poiché le imprese trovano difficile riempire posizioni che richiedono un livello elevato di competenze specifiche con candidati appropriati. Questo mette in gioco sia la produzione di capitale umano nel sistema scolastico sia la sua destinazione alle imprese attraverso network formali di collocamento.
In conclusione la cattiva allocazione delle risorse è aumentata sostanzialmente da metà anni 90 e questo aumento ha contribuito largamente a rallentare la produttività italiana. Shock aggregati come l’accelerazione della globalizzazione e la rivoluzione ICT richiedevano degli aggiustamenti nella struttura produttiva e nell’allocazione delle risorse. L’economia italiana non è riuscita ad adattarsi a tali shock e a riallocare le sue risore opportunamente. Per ripristinare la competitività occorre incentivare la riallocazione delle risorse dentro i settori, focalizzare l’attenzione su quel che è accaduto nelle regioni settentrionali e nelle grandi imprese, attuare politiche che incentivino gli investimenti in ICT, migliorino il sistema scolastico e universitario, migliorino la struttura dei sussidi di disoccupazione”.