Tre articoli in cui Mario Seminerio spiega cose a quelli che credono che basti scaricare tutto per risolvere il problema dell’evasione fiscale.
http://phastidio.net/2013/10/24/un-paese-di-scaricatori-di-bufale/
Un paese di scaricatori. Di bufale
Oggi, su Libero, c’è una letterina al direttore firmata dal presidente della Commissione Finanze della Camera, e da sempre uno dei più sopravvalutati esponenti di una classe politica di illusionisti. E cosa scrive, il buon Daniele Capezzone, a Maurizio Belpietro? Una cosina proprio geniale, innovativa, inedita. Che poi è parte integrante dello strumentario del perfetto parolaio.
Dopo aver lamentato che la Tasi altro non è che l’Imu, visto il gettito previsto ad aliquota base (e quindi sarà ben più dell’Imu, viste le condizioni di dissesto finanziario dei nostri comuni), ed aver ribadito l’imprescindibile necessità di tagliare la spesa pubblica (immaginiamo allo stesso modo in cui il suo partito ha fatto negli ultimi dieci anni o giù di lì, quando disponeva di maggioranze parlamentari molto ampie), Capezzone estrae del cilindro il solito coniglio esausto, prodotto di una stagione di chiacchiere senza fine, inesorabilmente coniugate ad ignoranza della realtà fattuale.
«Colgo anche l’occasione per raccogliere un Suo ulteriore giusto richiamo a una cosa da fare, e cioè il “contrasto di interessi”: consentire di “scaricare tutto” (fatture, ricevute), contribuendo in positivo all’emersione di tanto “nero”. La strada c’è, ed è già stata aperta da chi Le scrive. Alla Camera (ne sono stato relatore) abbiamo appena approvato una delega fiscale che è ora al Senato, e che prevede espressamente questa opportunità. Il Governo, se ne ha la forza e la convinzione, deve solo spingere per una rapida approvazione al Senato e poi scrivere un decreto delegato per l’attuazione della misura»
Oh, eccoci. Il magico contrasto d’interessi. Che non funziona e non può funzionare a filo di logica, ma che importa? Basta inserire il principio in una legge, e ci si può appuntare la medaglia al petto. “Io ho proposto, se solo voi deste corso al mio genio, avremmo risolto tutto” Le cose non stanno così, come detto più e più volte, al punto che ci attendiamo qualche rimostranza da parte dei lettori più attenti ed assidui di questo sito, e di questa ripetitività ci scusiamo.
Ma cosa aveva scritto il direttore di Libero, nell’editoriale del 23 ottobre? Una cosa così:
«In realtà, la sola manovra che eviterebbe di far crescere la pressione fiscale e garantirebbe risorse da investire è quella che dalle pagine di Libero ha lanciato il professore Alberto Brambilla, ex sottosegretario al Lavoro ed esperto di previdenza. Secondo il docente della Cattolica per dare un po’ di soldi ai lavoratori dipendenti sarebbe sufficiente consentire la deduzione delle spese sostenute dalle famiglie. Piccole riparazioni domestiche pagate senza alcuna possibilità di ottenere vantaggi fiscali e senza che vi sia da parte del fisco la possibilità di accertare che l’artigiano sia in regola con tasse e contributi. I controlli incrociati funzionano infatti solo se le fatture vengono messe a bilancio. Ma se una famiglia non le può indicare nella propria dichiarazione dei redditi, come farà il Fisco ad accertare che l’artigiano abbia effettivamente versato le imposte? Come gli esperti sanno, spesso esiste una fatturazione parallela, con documentazione fiscale che viene regolarmente rilasciata dall’artigiano, ma di cui le entrate non sanno nulla né mai sapranno. Si tratta di fatture false, destinate non ad essere conservate là dove si custodiscono i documenti fiscali, ma a finire nel cassonetto dell’immondizia. Se davvero Letta vuole combattere l’evasione, se vuole dare più soldi in busta paga, consenta anche ai lavoratori dipendenti di detrarre le spese di casa. Idraulico, meccanico, elettricista e piccoli lavori edilizi. Il contrasto di interessi porterebbe nuove entrate per lo stato e nuovo ossigeno per i portafogli delle famiglie, senza alcun aggravio per la finanza pubblica»
Anche qui, si tratta di una proposta priva di senso, come più e più volte spiegato con numeri e logica, e non con opinioni. Sono i controlli sulle movimentazioni bancarie la leva attraverso cui giungere all’obiettivo descritto da Belpietro, e non questa leggenda metropolitana dello “scaricare”, verbo che al solo pronunciarlo fa accendere gli occhi agli stregoni del proiettile d’argento che toglierà il Male dall’Italia. Se neppure riusciamo a far di conto e capire dove si annida l’idiozia, come pensiamo anche solo lontanamente di uscire da questo guano?
Ad ogni buon conto,
Ad ogni buon conto, qui trovate alcuni esempi di contrasto d’interessi realizzato in altri paesi. I risultati non sono esattamente incoraggianti.
http://phastidio.net/2011/08/27/contrasto-di-interessi-una-bufala-italiana/
Contrasto di interessi, una bufala italiana
A intervalli regolari, in quell’eterno ritorno che è il discorso pubblico italiano, torna a galla la leggenda metropolitana del cosiddetto “contrasto di interessi” contro l’evasione fiscale, la situazione in cui l’interesse del venditore ad evadere trova un ostacolo strutturale nella convenienza del compratore a rendere nota la transazione al fisco. In questo periodo di gravi ambasce fiscali, si è quindi tornati a favoleggiare di consentire ai compratori di detrarre dalle tasse (o dedurre dall’imponibile? Lo vediamo tra poco) i propri acquisti. Ebbene, diciamo per l’ennesima volta: il contrasto di interessi non funziona, è una bufala. Vediamo il perché.
C’è un articolo molto didascalico ed efficace, pubblicato quasi cinque anni addietro su lavoce.info a firma di Maria Cecilia Guerra e Alberto Zanardi, che lo spiega in modo inconfutabile, almeno per chi sa far di conto ed è in buona fede. Se si consentisse la detrazione fiscale degli acquisti, in misura pari al classico 19 per cento oggi in essere per questa tipologia di benefici fiscali, il compratore avrebbe un onere fiscale pari alla differenza tra l’aliquota Iva applicata sul bene ed il 19 per cento di detrazione d’imposta. Il venditore potrebbe quindi agevolmente offrire al compratore uno “sconto per il nero” che potrebbe raggiungere un massimo pari all’Irpef che il primo versa allo stato. Troppo facile, no?
In caso di deducibilità integrale dell’acquisto dall’imponibile fiscale del compratore si crea effettivamente contrasto d’interessi, cioè il compratore ottiene un sussidio sull’acquisto pari alla differenza tra l’aliquota marginale Irpef del compratore e l’aliquota Iva applicata all’acquisto. Tuttavia, anche in questo caso, il venditore potrebbe disinnescare la minaccia offrendo al compratore uno sconto pari almeno all’entità del sussidio ottenuto da quest’ultimo e fino ad un massimo pari all’aliquota Irpef del venditore. E’ interessante notare che, in questo caso, il margine di contrattazione tra le parti dipende criticamente dalla struttura delle aliquote. Se il compratore ha un’aliquota molto più alta di quella del venditore, il gettito netto per lo stato si ridurrebbe fino ad azzerarsi, e potrebbe addirittura diventare negativo. Ah, il tutto senza considerare il caos primordiale che deriverebbe dalla necessità di produrre e conservare idonea documentazione dei pagamenti. Saremmo sommersi dalla carta.
In sintesi, il contrasto d’interessi è una fola, non serve a nulla se non ad alimentare l’abituale chiacchiericcio dell’impotenza, che spesso è agevolato da precisi interessi a preservare lo status quo. Anzi, no, a volte il contrasto d’interessi può servire. Ad esempio vi può servire se siete un piccolo politicante arrampicatore che sta cercando di mettersi bene in vista per realizzare un bel salto della quaglia e diventare portavoce di un partito di governo. Ma in tutti gli altri casi, il contrasto d’interessi non serve. L’unica via, e questo è sufficientemente oggettivo, è la tracciabilità draconiana dei pagamenti, intendendo con questa espressione quella che passa per il controllo degli estratti conto bancari, con dichiarazione patrimoniale all’inizio di ogni anno. Altra via non c’è, rassegnatevi e passate ad altre conversazioni da salotto.
http://phastidio.net/2015/02/04/contrasto-dinteressi-ossessione-italiana/
Contrasto d’interessi, ossessione italiana
Tra i punti programmatici di Italia Unica, il partito di Corrado Passera che nei giorni scorsi si è presentato ufficialmente al pubblico, vi è anche la restituzione del 50% dell’Iva pagata dai consumatori su acquisti effettuati con moneta digitale (carte di credito e di debito). Obiettivo della misura è quello di contrastare l’evasione fiscale e stimolare i consumi. Il problema è che la proposta, ultima di una lunga serie a cui sono state immolate preziose energie, altro non è se non l’ennesima rimasticatura del famigerato contrasto d’interessi, che evidentemente in questo paese è sempre molto amato.
L’analisi fiscale della proposta la svolge il professor Dario Stevanato sul blog GiustiziaFiscale.com. In sintesi, ecco i punti di debolezza individuati: altissimo rischio di incorrere in una procedura d’infrazione comunitaria, perché la Ue non ammette troppi giochini sull’Iva; né sarebbe invocabile una deroga alle norme comunitarie motivata con l’introduzione di semplificazione nella riscossione o contrasto all’evasione: se si paga con mezzi tracciabili, quella è già una misura implicita di contrasto all’evasione. E non finisce qui:
«Ma anche ammessa la sua fattibilità, la generalizzata restituzione dell’Iva ai consumatori appare per più versi inopportuna. Intanto, la restituzione dell’Iva rischia di intervenire su acquisti che sarebbero comunque stati effettuati con sistemi di pagamento tracciati e con il versamento dell’imposta da parte del fornitore (si pensi ad acquisti effettuati presso la grande distribuzione organizzata); dunque la restituzione genererebbe soltanto una perdita di gettito senza alcun beneficio in termini di recupero dell’evasione»
Se invece ci concentriamo sullo stimolo ai consumi, osserva Stevanato, l’idea di restituire a chiunque il 50% dell’Iva pagata su qualunque tipo di consumo, pur avendo previsto la soglia massima di 1.000 euro di costo unitario degli articoli, appare regressiva. Ma non è finita: pensate all’incubo burocratico di conservare decine di scontrini di importo contenuto, da inviare al fisco che dovrebbe poi procedere a verifiche. Il trionfo del red tape e delle truffe. E’ significativo il parallelismo compiuto da Stevanato tra questo contrasto d’interessi su piccoli importi e quello relativo alle ristrutturazioni edilizie, che apparentemente ha avuto maggior successo:
«Come l’esperienza empirica insegna, poi, l’Agenzia non è riuscita in passato a controllare nemmeno le imprese edilizie di ristrutturazione che pure erano state pagate con bonifico bancario dal cliente che aveva chiesto la deduzione delle spese di ristrutturazione, figuriamoci se riuscirebbe a controllare analiticamente tutti coloro che hanno emesso uno scontrino o una ricevuta pagata col bancomat. Senza poi contare che, come l’esperienza insegna, a uno “sconto fiscale” pari a circa il 10 per cento del prezzo di vendita il fornitore potrebbe reagire concedendo al cliente uno sconto un po’ più alto a fronte del pagamento “in nero”»
Eh, già. Eppure, questo magic moment degli italiani popolo di eroi, santi e scaricatori di fatture e scontrini è duro a morire. O, più propriamente, ci seppellirà tutti. In sintesi: la proposta di Italia Unica rischia di causare una infrazione a direttiva comunitaria, dà certezza di red tape, alto rischio di truffe, perdita di gettito su comportamenti di acquisto che in ampia parte sarebbero comunque avvenuti. Per non parlare della filosofia di fondo del contrasto all’evasione: se si utilizzano le banche dati, cioè si agisce a valle, questo meccanismo a monte non ha senso, ai fini anti evasione. Ancora: dal versante dello stimolo ai consumi, la misura è permanente o temporanea? Differenza non di poco conto, ne converrete. E riguardo alla leggendaria semplificazione, leggere per credere:
«(…) Il consumatore dovrà presentare, con modalità telematiche, entro il 16 del mese successivo a ciascun trimestre solare, direttamente o tramite intermediario abilitato, apposita richiesta all’Agenzia delle entrate, contenente la liquidazione del credito maturato nel periodo, gli estremi del conto corrente su cui ricevere l’importo spettante e la dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio attestante l’effettivo sostenimento delle spese»
Semplice, no? A questo punto, la domanda sorge spontanea: c’è la copertura, per questa rivoluzionaria proposta? Dal sito di Italia Unica apprendiamo che il maggiore onere per lo Stato è stimato in 6 miliardi di euro, calcolato raddoppiando il numero di acquisti in regime Iva al 22%. Coperti come?
«Stanziamento di una somma pari al 20% della maggior somma liquida recuperata all’evasione fiscale da parte di Agenzia delle Entrate. Inoltre, l’incremento dei consumi finali con pagamento tracciabile avrà un effetto significativo di emersione automatica del nero, con aumento del gettito a prescindere dai controlli. In caso di incapienza, è previsto il ricorso ai margini di flessibilità concessi dalla Commissione di Europea in presenza di riforme finalizzate al risanamento dei conti pubblici pari allo 0,5% del PIL (circa 8 miliardi di Euro)»
Quindi, la copertura è data dal recupero di evasione (alea iacta est, diciamo) e, se non dovesse bastare, chiederemmo alla Ue la leggendaria “flessibilità” per lo 0,5% del Pil, perché stiamo facendo una “riforma strutturale” e “risanando i conti”. Eh, beh, proprio innovativa, come soluzione. Avanti il prossimo. Cosa scarichiamo, oggi?