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Lo stupore delle prese elettriche

Siena ultramarathon: 18km volati in compagnia da Monteriggioni a Siena

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Sabato mattina. “Quando vado a correre mi rompo i coglioni.” Dicono Rocco e Giulia.

Sabato pomeriggio. Penso: “Che bello che c’è il sole! Vado a fare una corsa veloce, poi vado da Decathlon a Sesto Fiorentino, poi vado a fare una statistica sulla provenienza delle scatolette di tonno al supermercato Conad, poi poi poi…”

Quinto chilometro. Mi fermo per tornare indietro. Penso: “Non ho proprio voglia. Meno male che tra tre chilometri finisco.”

Domenica mattina. “Mai più alzarsi alle cinque e mezzo per andare a fare una gara podistica.” Mi alzo e perdo cinque minuti a cercare un certificato medico, che è in realtà inutile portare, poiché l’iscrizione si è già perfezionata.

Arrivo al ritrovo delle macchine. Ci sono Alberto, Giuseppe e Carlotta. Si aggregheranno Silvia e Serena.

All’autogrill. “E’ il momento di Sua Maestà il Caffè.” Serena ci lascia i pacchi gara, che è andata a prendere il giorno prima, e comprendono un libro, tre bottiglie di vino, una maglietta e la conferma che in Italia si sciala su queste cose.

Arriviamo a Siena. Saliamo su un bus navetta che ci porterà a Monteriggioni. Carlotta sbadiglia e si stira. Quindi afferma che quello è il segnale del suo risveglio effettivo. Silvia nota che io indosso una camicia. “Corri con quella?” Chiede.

“Pensavo corressi col vestito da re che indossavi ieri nell’attività con Greenpeace” avrebbe ribattuto Angela, se fosse stata presente. Almeno così scriverà su un messaggio su Whatsapp.

A Monteriggioni. Si verificano:

la ricerca spasmodica di ogni raggio di sole, soprattutto da parte di Carlotta. “Sono delicata;”

lo stretching del pollo (definizione di Serena di un esercizio in cui si tiene una gamba distesa in avanti, l’altra piegata e si muove il bacino come a voler razzolare il terreno;)

l’affermazione di Serena di avere sempre preferito i tacchetti ai tacchi;

la spiegazione, fornita anch’essa da Serena, della nascita di Monteriggioni, legata a storie di galli;

l’ennesima bevuta di caffè;

il temporeggiare di Carlotta nel mettersi in tenuta atletica;

la chiamata al riscaldamento per il sottoscritto che cercava di svicolare;

l’intervista televisiva al gruppo voluta fortemente da Silvia, che è andata a cercare l’intervistatrice;

le parole di Silvia: “In questa gara vogliamo soltanto guardare il paesaggio, senza pensare ai tempi;”

la chiamata alle armi, cioè al microfono, da parte della conduttrice, rivolta verso di me, che mi sono avvicinato bestemmiando internamente in sanscrito. “Non so che tempo farò e non lo voglio sapere,” dirò in diretta tv. Non ricordo quale fosse l’emittente locale;

le voci giunte tramite Whatsapp secondo cui Stefania aveva affermato, dopo un infortunio durante uno stage podistico con Valeria Straneo:”Che mi frega di aggravare la situazione del ginocchio correndo. Io non voglio stare ferma;”

i miei lamenti a base di ohi ohi, che hanno portato qualcuno ad affermare che avevo ricevuto una delega speciale al lamento da parte di Katia.

Inizia la gara.

Si parte.

C’è una specie di sollevazione popolare dopo alcune battute del tipo “questo posto si chiama Posta. Qualcuno ha da fare un bollettino?” Oppure: “Mio nonno lavorava con le viti: faceva il saldatore.” Carlotta ha detto di rimandare queste battute agli ultimi chilometri. Allora sono intervenuto dicendo che dalle battute potremo passare ai diritti o ai rovesci, magari temporaleschi.

Il gruppo decide, quindi, di sfilacciarsi. Si formano le coppie Alberto – Giuseppe, Serena – Silvia, Riccardo – Carlotta.

Cammino solo per un centinaio di metri e mi inorgoglisce correre senza gran fatica il lungo falsopiano che porta al centro di Siena nell’ultima parte di gara.

Il percorso è bello. Il panorama non è troppo dissimile da quello casentinese, altrimenti me lo guesterei ancora di più. Temo le salite più di quanto meritino per lunghezza e ripidità. Percorriamo un bel collinare con tratti su asfalto, altri su strada sterrata, altri ancora nel bosco. Costeggiamo pure un lago abbastanza insignificante, anche se la visione dell’acqua rilassa e fa stare bene.

I ristori sono in punti strategici, ogni quattro chilometri, e ben dotati di alimenti e bevande anche inutili, ma di cui ci riforniamo adeguatamente: pezzetti di crostata con la Nutella, frutta assortita, uvetta, acqua, sali, tè caldo.

Ovviamente per strada a sostenerci non c’è nessuno e chi passa per caso dove corriamo, si limita a dare un’occhiata e a girare la testa da un’altra parte.

Carlotta si sbizzarrisce nel pronunciare alcune frasi citabili:

“A me non piace correre in città. Preferisco i trail, i boschi, la visione del mare, dei monti, delle campagne. Anche qui sarebbe bello se la gara finisse sul mare. Dovrebbero fondare una Marina di Siena;”

“con questo sole dovevo mettermi la crema contro le rughe;”

“ah. Tu dici di vedere una città, il che indica che siamo vicini all’arrivo? Ecco. Io ti vorrei far notare il lato negativo: la città si trova più in alto rispetto a dove siamo noi;”

All’arrivo. Carlotta mi alza la mano come se fossimo nel film Momenti di Gloria.

Ripenso al percorso e ricordo: l’ingresso nello sterrato coi filari delle viti, la Francigena, il tratto nel bosco, il falsopiano verso Siena, i saliscendi presso Belriguardo (pendenza del dieci per cento in discesa, seguita da salita analoga: era peggio la prima parte, dove bisognava frenare,) l’ingresso a Siena da Porta Camollia, il laghetto di Pian del Lago, i continui giri intorno ai vicoli senesi per arrivare fino a Piazza del Campo.

La chicca della giornata, ciò che rende diversa questa gara, è il pranzo al ristorante, compreso nel prezzo di iscrizione: un buon piatto di pasta al pomodoro, dolce e acqua. Io mi faccio regalare anche un ricciarello. Una cameriera ci sente dire che abbiamo fatto “solo” diciotto chilometri e fa la faccia stupita:”A me starebbe fatica farne uno.”

I chilometri sono volati e la soddisfazione, l’appagamento e anche l’euforia che fanno seguito a corse come questa ripagano le volte in cui non si ha voglia ma si va a correre lo stesso proprio perché poi si sa come ci sentiamo dopo.

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