Il flamenco è fatto da gente che ci mette un mese circa a vestirsi e almeno altri due a pettinarsi. Le donne battono i piedi sui tacchi con una grazia e una velocità che soprendono. Fanno anche più rumore di un esercito con gli anfibi che si muove a passo di marcia. La musica è quel che è. I vocalizzi sono belli, nel senso che si capisce che richiedono talento e impegno e possono appassionare, ma a me no me gusta el flamenco, come ho già scritto nel post precedente.
L’ultimo giorno l’ho passato guardando una messa a Macarena, che è una bella chiesa e non un ballo vizioso, in questo caso.
Ho visto il Metropol, che è un coso talmente coso che non può che essere quello. Ovviamente adesso, a un anno di distanza dal viaggio, non ho la più pallida idea di cosa volessi dire. Forse a riguardarlo su Internet potrei ricordarmene.
Vedo e osservo il Pumarejo, il caffè Piola, l’Alameda. Vicino al quartiere universitario mi fermo fuori da uno Starbucks, mi siedo di fronte a un tavolino, e vedo la piazza piena di gente. Ci sono giovani più o meno alternativi. Alcuni leggono sulle panchine. Altri scrivono su dei bloc notes il loro diario. Io prendo appunti. Arriva una banda. Suona. La gente la circonda per ascoltarla. Passa una carrozza con un cavallo. Un bambino in un passeggino guarda i musicisti a bocca aperta e con la lingua di fuori. Una coppia si bacia. Il vento fa muovere le foglie degli alberi che circondano la piazza. Una ragazza fuma. Una signora anziana applaude. Un barbone si siede su una panchina e forse sogna. Un gruppo di giapponesi dà una monetina ai musicisti e una al barbone. Una ragazza si fa un selfie mentre balla. Via via qualcuna va e qualcuno torna, e i capannelli di persone si formano e si riformano. Ancora all’Alameda delle ragazzine si scatenano in balli. Lì vicino c’è una jamoneria e mi ci fiondo per cena. Mi sposto in altre zone ed ecco una nuova processione religiosa, una banda musicale, bandieroni, vestiti tradizionali e vestiti colorati, megafoni. In plaza nueva dei bambini stanno giocando a pallone.
Il giorno dopo bisogna ripartire. Dispiace sapere che non si rivedrà più la simpatica signora che mi dava vagonate di tè al mattino e mi spiegava in spagnolo la storia della città.
La mezza maratona che si svolge a Siviglia ritarda il percorso verso l’aeroporto. Rivedo le ragazzine italiane che erano nell’aereo all’andata. Fanno amicizia con un ragazzo medico pisano andato a lavorare a Siviglia. Ha fatto Erasmus a Granada e ne parla come di un paradiso per studenti. Prendi la birra e ti mettono l’hamburgher insieme e una tortilla. La vita costa poco. Certo che è una città per studenti (Granada). Finalmente arriva il bus per l’aeroporto. Lì guarderò la vittoria di Federer in diretta tv prima di tornare in Italia felice di avere messo la prima bandierina in terra andalusa.