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Lo stupore delle prese elettriche

Stato investitore? Maddeché?

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Di Massimo Fontana
Marx diceva: ” la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.
Ora, una delle più grandi storielle che ricorrono sempre è quella della capacità dello stato non tanto di innovare, ma di investire correttamente dal punto di vista economico.
Buon ultimo il nostro esimio ministro del lavoro Luigi Di Maio, che giusto ieri ci ha regalato questa perla di saggezza: ” Se saremo bravi a investire nei settori giusti,………., possiamo creare circa 13 milioni di posti di lavoro intorno alle nuove professioni”.
Qui il testo https://www.huffingtonpost.it/2018/07/03/luigi-di-maio-promette-13-milioni-di-posti-di-lavoro-ma-la-promessa-dura-dieci-secondi_a_23473564/
Ovviamente il nostro deve essersi accorto subito di aver sparato una sciocchezza, visto che si corregge immediatamente dicendo: “Ovviamente non sto qui a dire che creeremo 13 milioni di posti di lavoro…”.
Tesi e antitesi nella stessa frase.
E bravo il nostro ministro.
Comunque, cosa ci insegna la storia?
Purtroppo per Di Maio, che lo stato investitore (da non confondersi con innovatore, che checchè ne dicano alcuni economisti di estrema sinistra, riguarda unicamente la ricerca scientifica) è generalmente una tragedia.
Potremmo stare qui a fare l’intera storia industriale statale del pianeta, ma basti dire solo una cosa: se anche alcuni prodotti innovativi escono dalla ricerca scientifica di base finanziata dalla stato, ma di nuovo ricerca scientifica per l’appunto, la quasi totalità delle imprese innovative e redditizie che sono mai esistite e che sono attualmente esistenti nel pianeta sono private e frutto della competizione privata.
Apple, Samsung, google, amazon, facebook, space X, etc. sono tutte private.
Come erano private le più innovative imprese di 50 o 100 anni fa.
La Ibm, quando è nata la Standard Oil, la Boeing, la Ford, la Panam, etc.
Perchè?
Per due ordini di problemi.
Il primo è l’aspetto gestionale, ovvero la ricerca costante del profitto che hanno le imprese private, e che proprio per questo le rende ossessivamente focalizzate sul controllo dei costi rendendole quindi efficienti al massimo livello, al contrario delle aziende pubbliche che proprio su questo (i costi) mostrano tutta la loro inefficienza portandole, sempre generalmente, ad avere nel lungo periodo e in settori non monopolistici grossi problemi di bilancio.
Il secondo aspetto è meno economico, più tecnico, ma decisivo per rendere l’imprenditorialità privata di fatto l’unico mezzo attraverso il quale è possibile scoprire i “settori giusti ” citati da Di Maio.
Questo aspetto è l’ignoranza del futuro.
Nessuno conosce il futuro.
E nessuno sa in anticipo qual’è un settore economico “giusto”.
Non lo sa Di Maio e non lo sanno gli imprenditori privati.
Ma esiste una differenza.
Di Maio in quanto stato è un singolo soggetto.
E quando proverà ad intraprendere un investimento in un settore farà una singola sperimentazione produttiva.
Gli imprenditori privati invece sono potenzialmente milioni.
E ognuno, se trova i capitali necessari, può sperimentare un percorso produttivo.
Alla fine, dopo tanti tentativi diversi fatti da tanti soggetti diversi nel mercato, la via giusta sarà stata scoperta.
Quando google, amazon, apple, etc, sono nate non erano sole.
Erano accompagnate nella concorrenza da decine di altre aziende.
Ma sono sopravvissute solo loro.
Questo processo è la distruzione creatrice descritta da Schumpeter un secolo fa e tecnicamente è un processo stocastico di innovazione in un contesto evolutivo.
La particolarità è che è l’unico modo attraverso il quale si possono trovare le vie giuste dal punto di vista economico e può essere fatto solo ed unicamente in un libero mercato da imprese……private.
Quindi?
Quindi mi spiace per Di Maio, ma la storia e la statistica ci dicono che difficilmente troverà la via giusta per creare 13 o anche solo 1 milione di posti di lavoro nei settori innovativi.
A meno che non lasci fare al mercato.
Possibilmente migliorandolo, aumentandone la concorrenza a tutti i livelli e incentivandolo, magari con sostanziose riduzioni fiscali in quello che è l’indicatore principe di ogni impresa che voglia investire: il profitto.

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