Storia e strategie di un imprenditore sportivo, detto anche “La Proprietà”.
Lui e l’inizio della sua attività: “avevo fatto un po’ la guardia forestale” (7 perché uomo di montagna, un voto in meno perché “guardia”, quindi 6), “ero stato nella nazionale di sci alpino” (quali discipline? Con che risultati? Quando? Faceva parte della valanga azzurra? Non ne trovo traccia su internet. Non ne ho mai sentito parlare ad alti livelli se non da lui e dal suo gruppo. Comunque ha fatto sci: per cui 7. Un voto in meno perché sembra si stimi di livello superiore a quel che è stato, per cui 6). “Poi ho messo su un negozio in un paese di montagna di ottocento anime,” termine che è stato degnamente usato da Gogol.
La sua idea vincente è stata quella di comprare una pagina di pubblicità sulla Gazzetta dello Sport. In questo modo tutta l’Italia è venuta a conoscenza dell’esistenza di questo piccolo negozio che vendeva a prezzi bassi.
Come faceva ad avere quei prezzi? Importando direttamente dagli Stati Uniti (“Sono andato in Cina la prima volta a 23 anni, ero negli Usa ogni quindici giorni e avevo un ufficio base a Milano”) o comunque puntando sulle rimanenze, sui fine serie ecc. Così, nel giro di tre anni cominciò a fare soldi. “A trent’anni avrei potuto campare tre generazioni”. E’andato avanti, ha creato altri negozi, poi ha iniziato a fare investimenti in altri settori (in particolare ha comprato allevamenti in Brasile e Argentina perché, dice, “ho sempre avuto passione per la vita agreste”).
Verso la fine anni degli anni Novanta ha un po’ abbandonato il gruppo, che è stato qualche anno in perdita. Allora lui ha pensato che “c’erano miei dipendenti che dovevano pagare il mutuo” e ha cambiato strategia. Si è rimesso in gioco, ha iniziato a seguire il boom cinese. In pratica ha deciso di copiare, almeno in parte, la strategia del gruppo Decathlon: produce da sé i prodotti (sulla base dei modelli creati dalle multinazionali), spinge sulla vendita dei suoi prodotti, torna al concetto di qualità a prezzi bassi, collocandosi in una fascia di mercato medio-bassa.
Conosce molto bene il mercato dello sport. Quindi non punta più sullo sci, a differenza dei primi tempi, né sul ciclismo (aveva la sua squadra di ciclismo, ma ormai tutti pensano, più o meno correttamente, che si tratti di uno sport di drogati), né sul tennis (“è morto”,) né su sport tecnici (“non ci si guadagna”). Punta, invece, oggi, su scarpe, abbigliamento, fitness e comunque bici.
Non segue la filosofia di Decathlon o Nencini (di cui vuol copiare il sito) sul punto di avere tutto di tutti gli sport. Segue invece la filosofia , dice lui, “di seguire il mercato (come Decathlon, ma con il “plus”, secondo lui, dell’assistenza tecnica al cliente), pronto a cambiare nel caso questo cambi.”
Vediamo allora le sue considerazioni sul mercato. Parte dal presupposto che in Italia c’è una forte crisi e dice: “La gente parla solo di come arrivare a fine mese. Si possono vendere i prodotti solo garantendo buona qualità a prezzi bassi. Naturalmente il cliente va fidelizzato. Le scarpe da dieci euro non possono essere programmate per durare un anno, anche perché così il cliente deve tornare a spendere.
“C’è tanto da fare sul mercato italiano che non intendo vendere in altri mercati,” dice, “ anche perché è più difficile riscuotere e inoltre non ho avuto successo dove ho tentato, come in Grecia.”
“Non è facile puntare su mercati medio-bassi,” continua, “avere le Nike è facile: ti arrivano i rappresentanti e hai già fatto il tuo negozio, solo che in quel caso comandano loro e il tuo piccolo negozio chiude. Noi abbiamo imposto ai fornitori che il rischio di magazzino se lo accollino loro. I nostri concorrenti diretti, nel business dove vogliamo arrivare tra i primi quattro, cioè le scarpe, sono non tanto le multinazionali quanto aziende italiane che vendono a prezzi stracciati scarpe di qualità infima: in pratica le fanno produrre in Cina, ma poi le vendono così come escono senza farle correggere o altro. In questo modo un’azienda ha venduto 14 milioni di paia di scarpe, superando la Nike, ma anche testimoniando che il mercato italiano sta andando alla ricerca del prezzo. Il problema che può presentarsi è che non esistono altri imprenditori italiani vincenti nel mondo dell’articolo sportivo: mentre i tedeschi hanno Adidas, Fila, Puma, in Italia la Diadora è ormai residuale (era il 2005, ndrr) e gli unici siamo rimasti noi ad avere una visione globale e quindi a non soccombere. C’è Cisalfa, che ha comprato Longoni, ma è in difficoltà. Speriamo che non chiuda perché se no le banche non daranno più un euro per il settore dell’articolo sportivo con la motivazione che non dà garanzie. C’era Giacomelli, fallito anche perché non aveva competenze nel settore e che non ci hanno fatto comprare per motivi politici.”
“ Gli altri settori, per quanto riguarda il made in Italy, non sono messi meglio. Non c’è stata una programmazione economica negli ultimi venticinque anni, né ci sono più stati imprenditori validi. Nell’alimentare è rimasta la Coop, con il suo dieci per cento di produzione. Negli altri settori, a sentir parlare, la situazione non è migliore. Ci sono le multinazionali che producono dove costa poco, tengono le menti per sé, vendono e raccolgono soldi in Italia, poi li portano via e in Italia non resta niente. In ogni caso noi dobbiamo avere Decathlon come obiettivo: dobbiamo arrivare a trecento negozi, dobbiamo crescere ogni anno, senza fissare percentuali, ma crescere. Voi dovete credere in questo. Non voglio gente che non vale niente. Né gente che vuol prendere questo treno e andarsene subito.”
Quindi passa a considerazioni sociologiche. “Una volta dicevo “ma guarda che coglione quello!”. Oggi no. C’è chi vuol andar via di casa subito e chi non vuol uscire di casa. C’è chi ha un’estrazione sociale di un certo tipo e chi di un’altra. Io avevo un’adrenalina spaventosa. Altri accettano di prendere mille euro al mese e stare lì. Io voglio che voi puntiate ad avere le Bentley e non le Mercedes. Io non voglio che voi puntiate ad avere milioni al mese, ma miliardi. Altrimenti non venite con me. O credete nel progetto o non fermatevi nemmeno. Dovete dare ordini, prendere decisioni, anche sbagliate. Una volta dicevo “voglio comprare quella cosa. Non avevo soldi? Bè, La compravo e poi vedevo”. Ora ho trent’anni di più e certe cose da matto non le faccio più, però voglio gente pronta, dinamica, attiva. Anche tra i commessi. Ho fatto la gavetta e la ritengo necessaria per tutti. Quindi farete un corso di formazione di un mese e mezzo tra i negozi. Sarete vicedirettori e punterete a diventare direttori. Chi non se la sente può decidere di andare nel gruppo acquisti o andarsene.”
“Ne resterà solo la metà a fine anno”, voce di corridoio.
Ripartiamo con la voce di Lui:”Vedete. Se cercavo manager come fanno da Decathlon, dove hanno come criterio di prendere solo laureati, che siano fenomeni o meno, mi si presentava gente che voleva subito cinquanta milioni al mese. Ma che scherziamo? Gente che non ha magari nemmeno esperienza nel settore. I miei manager me li formo io. Li conosco i manager.”
“Certo. Se uno si presenta da me e mi dice: “Io ho gestito un negozio o un’azienda che aveva otto miliardi di fatturato: l’ho portata a dieci l’anno dopo e a tredici quello dopo ancora,” lo fermo lì e gli dico: “Quanto vuole?”.
Le voci di corridoio durante la convention dove il proprietario ci fa questi discorsi sono abbastanza stroncanti. Soprattutto per il fatto che siamo molto legati all’impulsività dell’uomo che, peraltro, non si perita di farti rientrare dalle ferie alle Maldive se lo ritiene necessario. Decide tutto lui (anche perché quando non c’è stato, il gruppo è finito in perdita, ma va segnalato come lui abbia tenuto chi ha ritenuto persone valide e non ha fatto come alla Ducati, dove cinquanta dirigenti sono stati licenziati semplicemente per non aver rispettato gli obiettivi trimestrali).
La sua frase migliore è stata:”Io sono come Roberto: se non fo da solo non mi diverto
Comunque alla fine ha rigiocato il cacio vinto ma è fallito pure lui.