Tell me is something eluding you, sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you want to find out what’s behind these cold eyes
You’ll just have to claw your way through this disguise
A chi ti diceva di non essere normale hai sempre replicato che a te la normalità fa schifo. Hai replicato col pensiero, perché è inutile sprecare fiato con la gente. Tanto non capirebbe comunque. Neppure coi disegnini. Tra l’altro non hai mai saputo disegnare. (Ma puoi sempre imparare, no? Ti diresti adesso). Forse potresti avere subito un trauma per questo all’asilo. Ma non ci andavi quasi mai all’asilo e comunque non più di due ore al mattino. Una volta che ti tennero a mangiare lì piangesti. Esprimesti un’emozione in pubblico. Non sarebbe capitato spesso.
Hai sempre parlato poco. Te lo hanno rinfacciato tutti. Forse sarebbe stato meglio se loro si fossero ascoltati tutte le volte che parlavano. Ti piaceva fare le telecronache delle partite. Ti piaceva giocare a calcio. Ti piaceva ascoltare le canzonette. Ti piacevano i libri e i giornali. Ti piaceva stare coi parenti, coi cugini, coi nonni, con chi ti faceva fare quel che ti pareva e ti toglieva tutti gli ostacoli di torno. Però quando ti piaceva qualcosa allo spasimo e ti impegnavi con tutto te stesso ti dicevano che eri fissato. Quando facevi ricerche dicevano che facevi bischerate. Ascoltavi i coetanei e gli adulti parlare a tavola o più tardi al bar e non ti rendevi conto di quante cazzate dicessero. Non sapevi ancora che le cazzate sommergono il mondo dall’alto delle trasmissioni televisive, degli articoli di giornale, dei discorsi delle persone.
Andavi a scuola a farti brontolare dalla maestra per la calligrafia. A sei anni sapevi leggere già da tre ma facevi finta di non essere capace. A sette anni facesti un tema per conto tuo e il lampo di creatività venne annichilito da considerazioni sull’eccesso di cancellaticci. Andavi a catechismo perché bisognava e perché si giocava a pallone, dopo. Andavi alla messa, lamentandoti di quel prete che la faceva così lunga da impedirti di arrivare in tempo per ascoltare Radio Toscana Sport il sabato e per qualche anno pregavi Gesù di non far morire troppo presto i nonni e anche di far vincere il campionato di calcio allo Stia.
Andavi a musica perché ci era andato tuo fratello, ma cercavi di andarci poco perché avevi paura di un cane. Andavi a fare sci di fondo e dicono che andavi scontento e tornavi contento: un leit motiv della tua vita. Non hai quasi mai finito cosa iniziavi, anche grazie al supporto di cugini compiacenti che ti portavano con loro. Giocavi a pallone al campetto perché ti piaceva. Ti mettesti a far parte di una squadra ufficiale (gli esordienti della squadra del tuo paese) ma in realtà non volevi nemmeno entrare in campo: non si capisce perché non dicesti semplicemente “no, grazie”. Avresti ripetuto l’errore sei anni dopo, a diciotto. Non sei mai stato da sport di squadra. Infatti alla fine ti sei deciso a giocare a tennis e l’hai preferito. Hai giocato anche due partite di fila d’estate, di cui una all’una del pomeriggio sotto il sole. Quando ti ci metti, ti piace esagerare. Quando ti impegni riesci a raggiungere livelli ottimi anche dove ti manca il talento. Livelli ottimi per te. Arrivare a saper sciare sulle piste rosse dopo avere subito una prima giornata di prese in giro nella prima lezione di sci in settimana bianca con la scuola è stata una vittoria. Riconosciuta dallo stesso maestro, peraltro.
Non sei mai stato capace di dire di no. Soprattutto di dirlo subito. Sei sempre stato capace di allontanarti, di fuggire, di isolarti, ma sempre dopo troppo tempo in cui sei rimasto legato ad attività o a persone verso le quali il taglio andava fatto prima, senza rancore e senza smorfie o ripicche o auto imposizioni. Alle elementari e alle medie ti dava noia quando qualche amico che ti si era affezionato voleva venire a giocare a casa tua ma tu volevi farti i cazzi tuoi. Questa cosa che “alcuni altri” ti volessero più vicino di quanto tu volessi loro l’hai sempre trovata sorprendente.
Hai fatto Ragioneria per prendere un diploma che hai pensato a lungo che non c’entrasse niente con te ma alla fine è diventato il tuo lavoro tranquillo e sicuro. Hai fatto l’università scegliendo Economia per la varietà delle materie e rinunciando a Lingue e a Informatica. La cosa interessante è che all’epoca sapevi rinunciare. E scegliere le priorità. E’ sempre sembrato che fare le cose che ti piacciono venisse dopo. Che dovessi sempre aspettare. Chiedere consigli. Sembrava che tu dovessi chiedere permesso per osare. Non hai mai saputo scegliere facilmente tra due cose che ti piacevano. A volte hai scelto la cosa che ti piaceva meno.
Adoravi i Pink Floyd quando nessuno se li cacava, grazie ai dischi di tua cugina. Imparasti l’inglese grazie alle loro canzoni e rischiasti di dimenticarlo a scuola. Adoravi Guccini e ti piacevano le canzoni impegnate: ai tuoi coetanei inizierà a piacere anni dopo. E’ strano perché sei sempre stato fuori tempo: o troppo presto (nascere, imparare a leggere, scrivere, incuriosirsi) o troppo tardi (uscire, farsi amici veri, innamorarsi, viaggiare.) Le canzoni le hai sempre interiorizzate. Hai sempre preferito i testi alla musica, che aveva la capacità di trasportarti fuori dalla realtà e ti portava a immaginare e a costruire storie, infilandoci quasi sempre amici immaginari, comportamenti da supereroe, vittorie sportive.
A quattordici anni ascoltavi rock classico e cantautori e temevi di essere quello che sarebbe impazzito, quello che sarebbe finito povero e solo, quello che non avrebbe mai avuto nessun amico. A quattordici anni ascoltavi le canzoni che parlavano di quarantenni delusi, e non sapevi che la tua vita a quarant’anni sarebbe stata abbastanza meravigliosa.
A venti e trent’anni ti chiedevi quando avresti cantato la tua canzone. Intanto cominciavi a cantarla.
Hai smesso di piangere dall’infanzia ai diciott’anni, alla morte di tua nonna. Hai costruito un muro impenetrabile nei confronti di chi ascoltava solo per compiacerti finché ne aveva voglia o sapeva solo criticare quando eri tu che avevi spesso ragione. Sparivano le persone dell’infanzia, perdevi amici che avresti anche potuto non avere. Uscivi per un po’ con gente che ti restava simpatica finché smettevi di parlare, ma prima di smettere di uscirci passava sempre troppo tempo. Hai cercato di essere amico di tutti fino a che hai conosciuto amici veri. E’ successo a ventidue anni. Andavi in discoteca per incontrare gente e non per stare con chi era venuto con te. Andavi in discoteca, ma non hai mai saputo né voluto ballare. Andavi in discoteca, ma odiavi le discoteche. Ubriacarsi era l’unico modo che conoscevi per disinibirti. Sfruttavi chiunque se era necessario per il tuo tornaconto.
Alle superiori scrivevi temi pieni di opinioni ridicole, anche se erano scritte bene, influenzato da La Nazione e da ambienti cattocomunisti: come le cose si possano conciliare forse è un mistero. Ti vendevi ai professori dando loro quel che volevano e tenendo per te dosi enormi di tempo libero. L’odore dei pomeriggi quando li butti via, direbbe Margherita Ferrari. Se vai bene a scuola, del resto, tutto viene concesso più facilmente.
Avevi paura di viaggiare e stavi sempre nel tuo paese, divertendoti a leggere, scrivere, giocare a carte. Andavi al cimitero a segnare i cognomi dei defunti per farne una statistica. Prendevi le enciclopedie paterne e sostanzialmente le copiavi, come ti dicevano, per imparare, ma non a copiare. Avevi paura di guidare col buio. Avevi paura di rischiare. Cercavi più in là di frequentare l’università il meno possibile, anche per non stare in casa a Firenze con gente con cui non stavi bene (“cambiarla, no? Ti diresti adesso), facendo cose che non ti piacevano, come guardare film in tv anziché studiare o dormire. Avresti fatto vita universitaria soltanto quindici anni dopo.
Quando hai imparato qualcosa hai capito che anche quello che leggevi sui giornali o ascoltavi in tv erano cazzate, superficiali nel migliore dei casi. Non hai mai capito se nel dibattito pubblico prevalga l’ignoranza o la malafede. Ogni volta che ti sei appassionato al dibattito pubblico hai finito per pensare che stessi perdendo tempo ed era meglio pensare a come sfangarla. Pensare a te stesso e magari a quelle poche persone che meritavano davvero la tua attenzione: ci hai comunque pensato tardi e sei spesso rimasto legato troppo tempo alle persone con cui non valeva la pena perdere tempo. Alle cazzate altrui ci hai fatto il callo, ma hai cercato di allontanarti, di chiuderti, di liberarti ogni volta che capivi che tu eri dalla parte della ragione ma loro non lo capivano o non lo sapevano o non lo credevano, magari perché non avevano avuto gli strumenti per saperlo e tu non sei mai stato capace di spiegare, di convincere, di essere credibile. Anche se la ragione ti veniva confermata da chi le cose le sapeva davvero. Ti criticavano per le tue idee, le tue azioni, le tue omissioni, mentre quello che facevano loro sembrava andare bene. Mettevi un antivirus nel computer e ti incolpavano dei blocchi causati dal sistema operativo come se il male derivasse dalla tua azione anziché dalla loro ignoranza o incapacità. Alla fine hai comprato un Mac per fare tutto da solo. Finalmente hai costruito il muro di The Wall così tanto bene che non hai dovuto condividere niente con nessuno. Hai potuto essere libero e solo anche tra la folla, in casa, con gli amici o i coinquilini.
Così scoppiò più o meno per caso la prima rivoluzione.
Cambiasti bar e gruppo di amici e studiavi per bene per conto tuo, trovasti amici fantastici con cui ti vedevi tutti i giorni e andavi in giro, nascondevi innamoramenti anche perché non sapevi che lo erano e ti innamoravi di persone cui restavi simpatico fino a che non diventavi stressante. Nascevano cugini e poi nipoti e ti divertivi con loro. Di quel periodo pieno di cene e primi viaggi resteranno persone che se ne vanno, altre che si perdono in giro per il mondo per tornare al punto di partenza felici, super manager che sono rimasti se stessi. Andavi sempre allo stadio, anche se la Fiorentina non era più la cosa migliore della tua vita. Per le tue pause in cui avevi bisogno di emozionarti da solo andavi allo stadio o ti rifugiavi nella lettura di libri, soprattutto gialli e horror. A volte provavi nostalgia quando vedevi il cortile dell’infanzia vuoto di persone. Non sapevi che presto si sarebbe di nuovo riempito.
A fine anni Novanta iniziasti ad usare il computer e conoscesti tantissimi amici virtuali, alcuni dei quali sarebbero diventati reali. Dicevi anche che saresti andato a trovarli, ma ringambavi sempre. Saresti sì andato a trovare qualcuno, ma dieci anni dopo.
Avevi paura di pensare a cosa sarebbe successo dopo la laurea.
Dopo la laurea facesti un sogno: ti affacciavi sull’universo, tornavi indietro e chiudevi la porta. Forse è quello che hai fatto, rinunciando a prospettive di carriera. Alla carriera hai preferito la corriera. Saresti potuto andare a Londra per fare l’analista finanziario nel Duemila, ma non eri pronto. Non saresti mai stato pronto quando lo erano gli altri. Che vuoi farci? Ovviamente tu non sei gli altri, ma capirlo e accettarlo è diverso da saperlo e richiede tempo e fatica.
Hai conosciuto sul lavoro colleghi, dirigenti e imprenditori che sapevano sempre meno cose di te, non capivano proposte innovative e avevano una mentalità che dava importanza alla forma più che alla sostanza. Come a scuola e all’università, anche nel mondo del lavoro, hai trovato sempre il modo di impegnarti il giusto e ottimizzare i tempi di ritorno a casa e i tempi liberi per fare quel che davvero ti piaceva o stare con chi ti piaceva. Hai sempre dato il massimo solo per quello che ti piaceva.
Dal commercialista non ti piacevano le ragioniere ottuse e conta fagioli e i clienti il cui unico obiettivo era non pagare le tasse, se di destra, o avere profitti anche se erano a capo di onlus, se di sinistra. A te bastava poter arrivare tardi e tornare presto, che dovevi pensare ai cazzi tuoi.
Desideravi occuparti di statistiche finanziarie e di analisi di bilancio e ti facevano svolgere cose da ragionieri. Pensavi al boom di borsa che accadeva proprio l’anno in cui avevi l’occasione di farci la tesi.
Non volevi lasciare forse davvero il tirocinio dal commercialista, ma accettasti un lavoro in una multinazionale (ma attraverso un’agenzia interinale) fuggendo poi quando ti dissero che avresti dovuto lavorare l’otto dicembre. Eri uno di quei dieci su cinquemila che lavoravano il sabato anche se era facoltativo e uscire in orario sembrava un’eresia. Ti dissero che avresti fatto analisi finanziarie e ti misero a spedire pacchi. Assunto per un lavoro qualificato e messo a farne uno dequalificato, ma era gavetta, pensavi. Comunque stavi bene coi colleghi laureati e giovani come te e prendevi un monte di soldi.
Saltasti di gioia per un posto in Comune a fare analisi di bilancio e ti accorgesti che mentre nel privato una persona faceva il lavoro di tre, lì era il contrario.
Una collega rinunciò a un posto in un’azienda, allora ti proponesti tu e lei ti accusò di averle fregato il lavoro. Comunque andasti in un’azienda guidata dall’unico dirigente valido finora incontrato. Ex sessantottino ed ex sindacalista, come altri che avresti conosciuto in seguito e che però difendevano a parole i lavoratori dipendenti e dall’altra parte della barricata erano i peggiori dirigenti: inesperti, inadatti, incompetenti, con idee da prima rivoluzione industriale. Del resto non hanno mai avuto il tempo di studiare, negli anni della contestazione.
Avresti dovuto occuparti di bilancio e di controllo di gestione e ti ritrovasti a registrare fatture, ma conservi un buon ricordo di quei tempi. Iniziasti a fare programmi per migliorare la tua vita. Dicevi di voler fare sport, volontariato. Volevi iniziare a difendere l’ambiente. Dicevi di imparare cose. Compravi libri e giornali. Programmavi il futuro senza vivere il presente. Tornavi sempre a Stia per dormire, mangiare, ingrassare. L’ascolto di Caterpillar era una di quelle cose che rendevano la vita più felice. Smettesti di chattare e scrivere i tuoi pensieri sui forum perché avevi paura del giudizio altrui. I viaggi all’estero con gli amici erano come delle oasi. Corsica, Sardegna, Elba, Salento. Ti commuovesti al social forum. Comprendevi che quello sbagliato potevi non essere tu. Essere cresciuto in un ambiente provinciale, chiuso e limitato mentalmente non è colpa tua e nemmeno degli altri, basta che non mettano troppi ostacoli. O che non te li metta da solo.
Hai preso settecento decisioni al mattino, dimenticandotene la sera per riprenderle ogni volta che cambiavi di umore per ricambiarlo di nuovo.
Nel 2004 una ex cooperativa molto emiliana e piena di gente molto vicina al pci-pds-ds, nonché piena di perdite di bilancio, guidata da ex sindacalisti comprò la vostra azienda, che però produceva risultati positivi e buttò fuori il direttore amministrativo per questioni di potere e smantellò la parte amministrativa. Avevi troppa gente che ti chiedeva cose, non volevi dire di no a nessuno, non sapevi cosa fare, anziché autonomo finisti in confusione. Finisti sotto le grinfie di un ex dirigente della Zanussi, come se fare lavatrici fosse la stessa cosa che fornire servizi agli ospedali. Andasti una sera in trasferta in un paese dell’Emilia, al ristorante bevesti troppo per non pensare che la tua vita ti faceva schifo. Le cose migliorarono quando ti innamorasti. Non essere stati ricambiati è solo un dettaglio, a parte il fatto di essere passato da simpatico a stressante in breve tempo e rendere anche quei viaggi un tormento. I cd che facevi a lei sono stati la cosa migliore che abbia fatto in quell’azienda. Non riuscivi ad accettare che le aziende fossero gestite in modo diverso da quelle ideali. Eppure esistono anche loro: altrimenti non si studierebbero. Ti eclissasti e finisti tra quelli in mobilità. L’uomo che fece l’annunciazione disse che avresti preso un migliaio di euro al mese per stare a casa e trovarti un altro lavoro. Avresti potuto trovare quello che piace, pensasti, con estrema felicità.
Andasti speranzoso dalla signora del bilancio delle competenze e ti consigliò una psicoterapia con uno bravo. Andasti anche da lui. Da lei volevi che si realizzasse il contenuto del libro su come trovare il lavoro che piace. Da lui quello dal titolo reinventa la tua vita. Era meglio limitarsi a leggere i libri? No: avere qualcuno che ascolta aiuta comunque. Notasti tuttavia che ambedue si limitavano a schiacciare i desideri e a motivare sulle paure. In una parola: volevano normalizzarti. “Se fai cose che ti piacciono conosci gente” disse lui. Nei libri non è scritto quanto utile sia stata una frase detta per caso.
Intanto eravamo arrivati al 2006/2007.
Un imprenditore mise gli occhi sul tuo curriculum, che avevi portato a una ragazza in un negozio che vendeva i mobili prodotti dal lui. Loro si piacevano. Durante i colloqui ti veniva da vomitare. Per lui esisteva solo il lavoro e quindi doveva essere così per tutti. Rimase colpito perché dicesti che un buon controller avrebbe dovuto fare anche un periodo da operaio. Serve per conoscere i processi. Ai colleghi sembrava che volessi fare una rivoluzione là dentro. Lui urlava con tutti, che forse si divertivano, devoti al duro lavoro. L’utile annuo era più basso del tuo stipendio, malgrado tutte quelle ore lavorate (productivity, do you know?) Le pause pranzo le facevi in un ristorante tra quei monti. Da Careggi a Moggiona era come passare dalla vita alla morte, in quella situazione almeno. Ti buttarono fuori i suoi scagnozzi e tu ne fosti contento. Era davvero vivere per lavorare, fino alle sette e anche il sabato. Non c’era verso di costruire una vita propria. Facendo un lavoro di merda con gente di merda in un ambiente di merda in un settore di cui non ti fregava niente e in cui vedevi un sacco di mali tipici del capitalismo piccolo italiano.
Cercasti anche come come fare per suicidarsi, su internet e arrivasti a metterti una busta di plastica in testa più volte. Quando tutto sembra perduto, è lì che bisogna crederci ancora. Dopo qualche mese nacquero altri nipoti, decidesti di fare un volo in aliante e tuo nipote non ti voleva vedere volare perché aveva paura che non tornassi. L’Italia vinse i mondiali, facesti qualche colloquio, vivevi della mobilità, spendevi più di quanto guadagnavi (tu che eri stato sempre parsimonioso almeno fino alla fine dell’università), ricominciasti a cercare un lavoro e ti specializzasti in colloqui assurdi tra contabili, promotori, commerciali e gente che ti diceva di cercare un controller ma non sapeva di cosa stesse parlando.
Saresti potuto perfino finire in Nuova Guinea per fare il direttore finanziario di un’azienda orafa aretina, ma ti spostasti di pochi chilometri in Casentino. Avevi avuto una possibilità di fare analisi di bilancio per un’altra azienda casentinese, ma quando ti dissero che si lavorava senza orologio, per gli altri e non per te, non accettasti, però rimanesti col dubbio e te lo portassi nel mobilificio, dove facevi il commerciale e combinasti qualche disastro.
Un annuncio di lavoro per analista di bilancio letto su “Il Lavoro” ti portò a fare un colloquio con un conta fagioli che ti avrebbe mentito su tutto: premi promessi per non lasciarti andare in primis. Avresti dovuto capirlo perché un controller non può dipendere da un responsabile amministrativo. All’inizio quell’azienda sembrava riunire i mali del pubblico e del privato: dirigenti incapaci, avanzamenti di carriera solo basati sull’anzianità, struttura gerarchica a livelli di mobbing, nessuna possibilità di ascolto delle proposte, perdite come se piovesse, decisioni strategiche ridicole.
Il lavoro permetteva, però, di avere tanto tempo libero e dopo avere capito che ti stavi ritrovando più solo che libero, hai lentamente compiuto la tua seconda rivoluzione. La responsabilità delle tue scelte è solo tua e se vuoi apparire diverso non basta pensare diverso: occorre agire diversamente. Sempre che te ne freghi qualcosa. Alla fine, solo con la forza dell’azione, sei riuscito a costruirti una tua nuova vita, il cui andamento poi, devi ammettere, è sempre dipeso molto da te stesso.
Hai iniziato a correre e non ti sei più fermato. Hai provato a fare sub e arrampicata, nuoto e triathlon lascindoli in sospeso. Hai pensato di difendere immigrati (e lo hai fatto, con gli Anelli Mancanti), i clochard, l’ambiente: tutte cose o persone di cui frega niente a quasi nessuno. Non hai più frequentato qualche associazione per non più di quindici giorni, hai smesso di fare master o corsi inutili su cose che già sapevi e per fortuna non hai più fatto colloqui di lavoro assurdi per posti ridicoli. Hai viaggiato per l’Italia e l’Europa da solo e con gli altri, per il gusto di esplorare o per seguire eventi sportivi. Ti sei messo alla prova in attività pratiche e manuali, come tagliare carote per un ideale, fare un corso di teatro e svariati corsi inutili ma divertenti di scrittura creativa. Hai letto moltissimi libri, ma te ne restano ancora tanti lasciati sullo scaffale. Hai guardato qualche serie tv e hai sempre fatto un po’ il pioniere di alcune novità tecnologiche. Hai fatto meno snorkeling, ma hai pensato a quei pesci che vedevi nuotare in ambienti meravigliosi. Volevi difendere la natura ogni volta che ti ci immergevi e alla fine sei entrato in Greenpeace e mai scelta fu più giusta.
Hai appreso che puoi anche essere adatto a fare squadra, purché le persone siano giuste e magari te le scelga da te.
Adesso non vai più a lavoro pensando soltanto a quello che avresti fatto uscendo da lì. L’azienda, dopo qualche ristrutturazione, ha iniziato a volare.
Ti sei rimesso recentemente ad ascoltare Ligabue e hai pensato che adesso le canzoni trasmettono qualcosa di diverso. Non ti immedesimi in chi non vive la vita che vorrebbe, ma in chi è riuscito a viverla dopo tanto cercare. Forse alla fine sei diventato quello che sei. Di sicuro sei riuscito a sentirti “leggero”. A proposito di tutto questo post: se sotto al cielo c’è qualcosa di speciale è più facile che passi se muovi il culo per trovarlo.
Adesso la tua autostima è sicuramente maggiore di quella di dieci o quindici anni fa, il tuo vaffanculo potrebbe essere più motivato, ma non hai più voglia di urlarlo a nessuno, anche perché sai che cosa gliene frega a loro. E a te. Non è meglio cercare chi merita di entrare nell’arcobaleno del tuo cuore?