there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Strarimini 2012: la corsa dopo il terremoto.

Era il venti maggio duemiladodici.

Se avessi saputo che il letto voleva farmi ballare, avrei potuto continuare a passeggiare insieme a Viviana, divertirmi e attaccare adesivi contro i killer del clima nella notte anziché tornare in albergo per dormire in attesa della corsa del giorno dopo con Laura e Gianni. Poiché invece ho avuto la pensata di addormentarmi sopra di lui, ecco che a una certa ora si è messo a ondeggiare come se fosse un traghetto che trasporta degli studenti in gita scolastica provocando dei conati di vomito in alcuni di loro. Chissà! Forse in una vita precedente, il suo legno era parte di una zattera.

L’attesa che ritornasse nella sua condizione di letto stabile è durata un tempo sufficiente a rimangiare almeno uno dei tre piatti di strozzapreti di farro con broccoli, ceci e pomodorini, finiti qualche ora prima al ristorante. Di certo ho sentito rigirare il cibo nel mio apparato gastrointestinale e lì deve essere rimasto abbarbicato. Forse ha avuto paura di liquefarsi. Oppure quegli strozzapreti erano tifosi del Bayern che protestavano perché gli avevamo fatto vedere che la Champion’s League l’aveva vinta il Chelsea, cioè la squadra più antipatica di Londra. Avrebbero preferito essere ingoiati senza saperlo e allora si sarebbero fatti digerire con più tranquillità.

Una volta riacquisita la conoscenza (la coscienza è impossibile), ho cominciato a sentire dei passi frettolosi lungo il corridoio e un nome ripetuto più volte (qualcosa tipo “Mayna!”): evidentemente qualcuno stava cercando di raggiungere la hall buttandosi dalle scale.

L’unica diagnosi possibile, una volta scartate tutte le altre (tipo: essere su un gommone in mare, agitato, o in bici per le strade di Firenze o a fare surf in California dopo aver percorso la Route 66), era: “terremoto!” Un’occhiata a Facebook, INGV e Google me l’avrebbe confermata.

 

terremoto strarimini 2012

terremoto del 20 maggio 2012 in Emilia Romagna

 

 

Che fare?

che fare lenin

Non mi sembrava il momento di citare scrittori o rivoluzionari russi, quindi ho fatto un referendum con me stesso e ho deciso all’unanimità che non ci sarebbero state scosse più forti di quella, anche perché la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere altrimenti era di morire, che è l’unica certezza che abbiamo sul futuro, una volta nati.

 

uno nasce e poi muore, il resto sono chiacchiere

 

Ho controllato la situazione della stanza. Un lampadario appeso esattamente sopra la mia schiena non era il massimo della sicurezza.

http://video.repubblica.it/edizione/napoli/terremoto-sannio-nelle-case-tremano-i-lampadari/151425/149929

 

Avevo due letti accanto al mio: quello a destra era sovrastato da uno specchio e uno scaffale che avrebbero potuto saltare su di me a mo’ di lottatori di sumo che volevano effettuare un controllo: avrei continuato ad avere lo stesso atteggiamento zen che è seguito alla riunione nazionale di Greenpeace e che stava perdurando da due settimane, dopo? Il letto a sinistra non era dotato di lenzuola, ma un materasso e una coperta potevano essere sufficienti per trascorrerci altre due ore.

 

lottatore di sumo con la gonna

come sarebbe averlo sulla schiena?

Lo spostamento ha causato due problemi: faceva più freddo, senza che avessi voglia di trasferire le lenzuola e, inoltre, nella stanza accanto una donna giovane (dalla voce le ho dato trent’anni) faceva una specie di radiocronaca a qualcuno (io mi sono arrogato il diritto di pensare che fosse suo marito). Questo non favoriva la possibilità di dormire. Dopo un’oretta mi sono rimesso nel letto centrale e sono stato risvegliato dalla stessa donna che aveva una voce più addolorata, probabilmente perché era venuta a conoscenza dei primi crolli e dei primi morti nel ferrarese.

In questo dormiveglia continuo si erano fatte le sei e mezzo. Mi sono sintonizzato su Facebook, dove i post evidenziavano che le scosse erano state sentite un po’ in tutto il centronord, ma soprattutto su Twitter, più immediato per gli aggiornamenti in tempo reale.

Poco dopo le sette sono andato in anticamera e ho visto Gianni e Laura, che erano scesi e avevano passato le ultime ore lì insieme a una donna russa, che aveva portato con sé la coperta come Linus, e altre persone . Abbiamo fatto colazione, ma lei era molto agitata. Già il giorno prima era tesa per la paura di non finire la gara, la strarimini 2012, una mezza maratona: ci mancava solo l’ansia per il terremoto, anche se ero certo che riuscisse a chiudere sotto le due ore, come desiderava.

Siamo rientrati in camera per metterci in tenuta atletica e riuscire a inserire un chip mai visto prima…

Una striscia di plastica con un disegno di due cavi e una specie di maschera da sub. Questo era il chip. Non un semplice dischetto già attaccato con un elastico al pettorale oppure da legare tra i lacci delle scarpe, bensì un oggetto che andava inserito per tutta la lunghezza della scarpa. Ho perfino guardato su Youtube un video su come metterlo. Un addetto dell’organizzazione lo ha poi rigirato, perché l’antenna era posizionata in basso.

 

partenza strarimini

Non è che vendono l’iphone nuovo là davanti?

L’abbigliamento era estivo, adatto alla temperatura. Non sarebbe spuntato un sole distruttivo e la pioggia sarebbe arrivata quando ormai eravamo in automobile pronti a partire verso casa. Durante il riscaldamento abbiamo visto il cartello del ventesimo chilometro: “Dopo ci ripasseremo. Chissà in quali condizioni!” Ha detto Gianni. “Non ci saranno problemi.” Ho replicato io, pensando a Laura, anziché a me.

Non avevo voglia di correre alla partenza, ma stranamente ne avevo ancora meno durante la gara. C’era poca gente che partecipava. Alla fine scoprirò che avrebbero squalificato chi aveva portato le cuffie con della musica. E’ il motivo principale per non rifare la Strarimini. Secondo, come motivo, solo a un’eventuale mancata iscrizione qualora nel certificato medico ci fosse scritto podismo anziché atletica leggera.

 

Non ho capito precisamente dove fosse la partenza. All’inizio molti camminavano anziché correre. Il colpo di pistola è stato tirato a caso, secondo me. Da sotto l’arco oltre piazza dei Tre Martiri ho acceso i Garmin e sono andato avanti. “Non seguire Riccardo,” ha intimato Gianni a Laura.

Già al sesto chilometro, per quanto andassi a 5’25”, mi sembrava di non riuscire ad accelerare. Intanto una ragazza brontolava il suo ragazzo o allenatore o compagno o quel che era perché la stava ingannando sul tempo. Li ho superati, ma comunque pensavo solo a quanto mancava alla fine e a come fare per coniugare il salto di qualità nell’allenamento con quello nell’alimentazione. Ci mancava solo che recitassi la parte che stavo studiando per il corso di teatro pur di non pensare alla gara in corso. Sentivo le gambe stanche, mi sembrava di essere ingrassato. Già al quindicesimo chilometro non riuscivo a bere più di un sorso d’acqua, o miscugli colorati strani (sali, ma anche menta…) che sputacchiavo, nemmeno stessi per finire una maratona. Tutti hanno iniziato a superarmi, compresi una persona con le stampelle, una coi trampoli, una macchina che veniva spinta da due tizi. Ho visto una coppia di lumache farmi il gesto dell’ombrello. A un certo punto a un lato della strada mi è sembrato di vedere un’enorme carta da gioco: poteva non essere il due di picche?

due di picche

“Ti amo!” “Cazzi tuoi!”

 

Ho ripensato all’aperitivo del giorno prima, ai tre piatti di pasta mangiati a cena, ai minori allenamenti (in qualità e quantità) delle ultime due settimane, al fatto che non avevo preparato specificamente questa gara e che non avevo obiettivi da raggiungere e quindi era diventato inutile impegnarsi.

Hai un bel dire, allora, “godiamoci il paesaggio.” Ai lati della strada c’erano dei campi, inizialmente. Quindi siamo passati per l’aeroporto e abbiamo raggiunto il lungomare per percorrerlo… nelle vie interne tanto per respirare gli scarichi dell’autobus e vedere dei vigili che tentavano di fermarci con la scusa che “non è una gara competitiva!”.

aeroporto di rimini miramare

visto così è anche bello.

Al sedicesimo ho incrociato una ragazza che ha detto che sperava di finire sotto un’ora e cinquantotto. “Andiamo bene!”, Ho pensato. Abbiamo fatto due chilometri accanto, io ho cercato di staccare, ma me la sono rivista vicino a me dopo pochi metri. Quando è partita lei, al diciottesimo, ho alzato bandiera bianca nei suoi confronti.

Il trionfo dell’acido lattico è stato sancito dallo sguardo al Garmin al diciannovesimo chilometro: oltre sette minuti al chilometro senza speranza di recupero, nemmeno avessi corso per la prima volta più di trenta chilometri. Gli ultimi cinquecento metri li ho camminati.

Poco prima avevo visto Gianni e Laura dietro di me. Lei sbuffava, ma viaggiava spedita, ben guidata dal coach verso il suo obiettivo di stare sotto le due ore, che raggiungerà alla grande.

I numeri sarebbero impietosi: due ore, un minuto e trentacinque secondi, stesso tempo di Berlino, ma risalente a ben due anni prima. Soprattutto avrei perso dieci minuti, per fare ventuno chilometri, in un mese: da darsi al Burraco senza passare da via.

Due giorni dopo ho corso Il Trofeo Pratesi a Firenze ed ecco che improvvisamente mi erano tornate una voglia e una carica a mille. Attaccavo mentalmente e fisicamente tutto il percorso.  Se qualcuno mi agganciava o mi superava cercavo di tenergli il passo (se poi andava più forte, ben per lui). Verso la fine della gara, mentre respiravo affannosamente, ho visto una ragazza  superarmi e…ho cambiato respirazione e ho fatto circa un chilometro a 4’40” sorpassando lei e un uomo davanti a noi (non erano importanti i sorpassi per me, ma il mio atteggiamento). L’arrivo era al settimo chilometro e mezzo, ma non ho smesso finché non ho completato dieci chilometri. A quel punto ne ho dovuto fare un altro per tornare al ristoro, dove c’era Simona B che mi ha fatto il piacere di prendere un pacchetto di adesivi contro i killer del clima da stickerare per le strade del suo paese e mi ha riportato a casa, soddisfatto per la “ripartenza.”

 

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