there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Articoli sportivi: strategia e marketing nelle parole di un dirigente

| 0 commenti

Questo articolo è la quarta parte di quelli sulla convention aziendale a Perugia intitolati “Volevano solo vendere magliette e palloni” in post pubblicati in precedenza su questo stesso blog.

Il direttore generale. C’era una volta un calciatore che ha poi ha fatto il dirigente in un’azienda nazionale produttrice di caffè . Il tipo ci spiega la strategia dell’azienda. Saluta sempre tutti. E’ sempre ben vestito. L’ultima volta che ho avuto a che fare con lui è stato due anni e mezzo fa per un colloquio precedente. Era direttore amministrazione e finanza. Ha fatto carriera. Un caso curioso di un dirigente che viene promosso malgrado i risultati del gruppo non fossero particolarmente brillanti.

Fa dei discorsi che si possono leggere in molti manuali di management oggi. Del resto avere un mercato competitivo di fronte spinge a svegliarsi per non morire. Al gruppo è sfuggito l’acquisto di un’azienda concorrente perché, secondo loro, gli altri si sono mossi in modo illegale. La “nostra” azienda vuole diventare la Decathlon italiana. In che modo? Si va in Cina, come tutte le aziende di articoli sportivi del mondo, che fabbricano i loro prodotti nelle stesse aziende cinesi. Il proprietario in persona ha dei contatti là da venticinque anni. Come già anticipato si può sapere due anni prima dell’uscita sul mercato quali saranno i modelli che saranno fatti tirare dalle multinazionali nei vari mercati e a seconda dei vari target. Inoltre si può sapere quali sono i modelli più venduti nei mercati anticipatori, come l’Australia.

Non è interesse dell’azienda “fare mercato”, anche perché non ne avrebbe le possibilità. Non è interesse “creare una propria linea” perché verrebbe massacrata e poi “ci sono uffici studi pagati miliardi dalle multinazionali: facciano pure loro il lavoro anche per noi”. Non è interesse nemmeno essere sul mercato con le ultime novità, quanto piuttosto con i tre modelli che si sa che saranno venduti. Essere “quelli della stagione dopo” è più che sufficiente. La scarpa, o la tuta, che viene quindi prodotta dalle aziende cinesi per il gruppo, e che porterà un marchio proprio, è di qualità analoga alle varie Nike o Adidas, ma verrà venduta ad un prezzo accessibile al mercato italiano attuale. Fermo restando che, continua a spiegare il tipo, dove il mercato è ricettivo verso prodotti di nicchia ci dovremo essere. Inoltre dovremo avere le scarpe di marca per chi vuole proprio quelle. Infine non possono mancare anche un po’ di scarpe tecniche.

Il punto è che i soldi si fanno con le scarpe (o abbigliamento o altro) di propria produzione. Cioè di produzione cinese con proprio marchio. Le modifiche che vengono fatte alle scarpe originali sono basate su studi grafici in modo tale da non essere accusati di contraffazione. Naturalmente, però, sono scarpe progettate anche per non durare per l’eternità.

Verranno spinti i prodotti “propri”. Se le multinazionali pagano i loro prodotti la stessa cifra che spende il nostro gruppo e poi i clienti le comprano a prezzi più alti, la nostra strategia di vendita a prezzi medio-bassi e ad alto turnover può trovare mercato ed essere premiante.

D’altronde, quando il gruppo ha puntato sulle marche tradizionali, negli ultimi anni, è stato in perdita per due o tre anni. Poi il proprietario si è rimesso in gioco, è tornato ad occuparsene in prima persona, ha stabilito quale, secondo lui, con venticinque anni di esperienza nel settore, può essere una strategia vincente, e punta su questo. Ha in progetto di aprire negozi su negozi per diventare leader in Italia. Ci sono anche concorrenti sul medio-basso, come una tale Seamond o Medigan, che però accettano le scarpe così come sono prodotte (in Cina, tanto vengono tutte prodotte nelle stesse aziende, per tutti) e non fanno fare modifiche. Inoltre vendono in negozi altrui.

Cosa altro ha detto il tipo?Ha affermato che parlare di cambiamenti di tipo politico (le aziende sono statali) o sociale in Cina è fare della filosofia: esportare la nostra mentalità è culturalmente errato. Ha anche detto qualche minchiata sulle onde di Kondratieff e ha definito il marketing come la scienza del saper copiare.

Comunicazione di servizio: l’azienda è in difficoltà, se non fallita.

Lascia un commento