Da “Dieci comandamenti dell’economia italiana”
Nel conto nazionale dei trasporti si leggono i dati della spesa pubblica per i trasporti.
Il 69,1% è spesa corrente. Il resto è spesa in conto capitale.
Poco meno del 60% delle spese va a impianti fissi (14 miliardi) e trasporto su strada (12 miliardi). Segue la navigazione marittima con 2,5 miliardi.
Le spese delle ferrovie sono 10,9 miliardi di cui 6,6 di parte corrente.
La spesa per altre ferrovie, tramvie e metropolitane vale 1,1 miliardi, di 671 milioni di parte corrente.
La spesa stradale in conto capitale è pari a 3,7 miliardi a fronte di 1,7 di parte corrente. L’ammontare degli investimenti è largamente inferiore a quello degli anni tra il 1995 e 2015 quando è stato di 6,5 miliardi.
6,7 miliardi vanno dalle regioni ai tpl e circa l’80% delle risorse sono trasferite alle regioni dallo stato.
Gli introiti fiscali sono 74 miliardi e al netto dell’Iva ammontano a 54 miliardi. Di cui accise sui carburanti 34 miliardi, tasse di possesso 6,5 miliardi, parcheggi e multe circa 5,5 miliardi. prelievi su premi di assicurazione quasi 4 miliardi. L’iva sulle manutenzioni ammonta a 10 miliardi e quella sull’acquisto dei veicoli a 7 miliardi.
Le entrate fiscali pro capite sono 1200 euro, più del venti per cento rispetto alla media dei paesi europei e inferiori solo a Belgio, Austria e Finlandia.
Trenitalia ha ricavi di 4 miliardi.
Come differenza tra entrate e uscite il saldo è attivo per le strade (38 miliardi) e passivo per il resto (ferrovie 8 miliardi, tpl e servizi di navigazione 7 miliardi, porti 1,5 miliardi).
Nel decennio tra il 1992 e il 2012 i trasferimenti netti alle ferrovie sono stati pari a poco meno di dieci miliardi l’anno. La Francia ha destinato 7,5 miliardi a fronte di una rete e un’utenza doppie. La Gran Bretagna 3,5. La Germania ha speso quanto l’Italia ma la dimensione del settore è 2,5 volte quella italiana.
La quota di domanda attribuibile alla ferrovia è il 13%. Il fatturato merci è invariato in un decennio.
Per i passeggeri la quota di mercato dell’auto è pari all’81,3%, identica alla media europea. Si sono spesi 98 miliardi per l’esercizio e la manutenzione degli autoveicoli a uso privato, 31 miliardi per il loro acquisto, 8 miliardi per la manutenzione straordinaria. Per un totale di quasi 139 miliardi. Il trasporto collettivo ha prodotto ricavi per 6 miliardi, di cui quasi due da Trenitalia, 380 milioni da Italo, 3,5 miliardi dal tpl, 200 milioni dai bus a lunga percorrenza.
Problemi.
Imprese che acquistano beni e servizi.
La tassazione sui carburanti fa sì che i costi siano tra i più elevati al mondo. Per il trasporto merci l’impatto di tali costi è decrescente, data l’incidenza in calo dei costi di trasporto sui costi di produzione totali per il crescere del valore aggiunto e del rapporto euro/tonnellata (densità del valore). Per i settori agricoli e tradizionali il costo del trasporto rimane un problema.
Un buon livello di concorrenza nei trasporti merci su gomma abbassa i costi anche per questi settori e compensa il carico fiscale.
Restano elevati i costi logistici, cioè quelli legati alle strutture terminali e di cambio di modo di trasporto (porti, centri merci, dogane), sia per ragioni burocratiche sia per l’elevata frammentazione del trasporto su gomma che non ne assicura un livello organizzativo adeguato (in qualche modo è un contrappasso negativo dell’elevata competizione assicurata dalle piccole dimensioni degli operatori su gomma rispetto al resto d’Europa).
Per gil utilizzatori del trasporto su gomma gli elevati livelli di congestione delle aree metropolitane e urbane aumentano i costi di trasporto e rendono meno certi i tempi di consegna. Per gli utilizzatori del trasporto su ferro la scarsa efficienza e capacità di innovazione del’offerta è motivo di scarsa soddisfazione.
La domanda di trasporto aereo invece cresce vivacemente in tutti i comparti: business, turismo e merci, anche in periodo di crisi. La crescente competizione dovuta all’avvento dei servizi low cost e il progresso tecnico dei velivoli e della logistica del settore hanno determinato vantaggi aggregati per l’utenza che sembrano essere in una riduzione del 30% medio delle tariffe in termini rali. Per le imprese del nord, molto aperte alle esportazioni, c’è da osservare che l’insufficienza di collegamenti internazionali e intercontinentali diretti è collegata alla mancanza di un aeroporto hub adeguato, ma questo problema a sua volta dipende dall’estrema dispersione territoriale della domanda.
Il protezionismo verso Alitalia non contribuisce ad accelerare la liberalizzazione ulteriore del settore.
Le elevate tariffe autostradali italiane e le elevatissime accise sui carburanti rendono costosi i trasporti merci su strada e almeno sulle tariffe sembra possibile e urgente un radicale intervento essendo queste legate a un sistema concessorio indifendibile.
Per i passeggeri il problema per le imprese assume connotazioni differenziate: una maggiore produttività del management è connessa a trasporti di lunga distanza veloci e questi non mancano nel complesso, pur con dei limiti per il trasporto aereo.
Per altre due tipologie di mercato del lavoro la situazione è più complessa. Per il terziario (impiegati) e il secondario (operai), chi si colloca in centri grandi e urbani la dotazione di trasporti collettivi a basso prezzo appare, pur con eccezioni locali, adeguata. Chi risiede in aree a bass densità e quindi poco servibili da mezzi collettivi la situazione è sfavorevole. L’assenza di un efficiente mercato di case in affitto ne rende la mobilità residenziale connessa a ridurre quella di trasporto estremamente difficile. Cioè è difficile inseguire con il cambio di residenza la localizzazione delle occasioni di lavoro. Questo rende praticamente indispensabile l’uso dell’automobile per recarsi al lavoro, specie se localizzato fuori dai centri urbani. I costi fiscali della mobilità automobilistica e l’insufficiente dotazione stradale delle aree metropolitane oltre alla scarsa mobilità residenziale rendono questo mercato del lavoro poco flessibile, con grave danno, causa costi e tempi di spostamento, sia per i lavoratori che per le imprese.
Imprese produttrici e fornitrici di beni e servizi.
I produttori di veicoli stradali non sono incentivati a innovare da politiche antiauto esplicite. Carico fiscale, alte tariffe autostradali, destinazione di risorse pubbliche a costose e poco efficaci cure del ferro. Lo stesso produttore nazionale principale è arretrato tecnologicamente (nessun veicolo elettrico o ibrido prodotto finora) anche per gli aiuti di cui ha goduto.
Produttori e utenti sembrano voler pagare (willingness to pay) qualsiasi prezzo quindi non reagiscono alle politiche vessatorie e ciò se non altro dimostra l’utilità del sistema auto e strada.
I produttori di infrastrutture soffrono di un calo di domanda pubblica compensato da modesti livelli di competizione internazionale. L’Italia è comunque un paes molto infrastrutturato, con una popolazione stazionaria e un pil stagnante che non può generare un fabbisogno elevato di nuove infrastrutture (il problema è analogo a quello dell’edilizia, da molti anni in crisi, ma in presenza di un grande numero di abitazioni non utilizzate o sotto utilizzate). Non dimentichiamo la presenza della malavita organizzata nel settore, fenomeno connesso alla natura di scarsa apribilità alla concorrenza che determina rapporti troppo stretti tra imprese e sfera politico amministrativa.
I gestori delle infrastruttura di trasporto godono di situazioni regolatorie molto favorevoli (concessioni di lunga durata, tariffe che li mettono al riparo da ogni rischio industriale).
Il settore del trasporto merci su strada è molto frazionato e competitivo, anche per la presenza di operatori stranieri o più efficienti o con costi del lavoro più bassi. Gli sconti su accise e pedaggi appaiono modesti rispetto agli oneri relativi. La domanda è caratterizzata da imprese mediopiccole e molto disperse sul territorio.
I servizi ferroviari merci sono aperti alla concorrenza, godono di sussidi, ma sono marginali.
I servizi di trasporto aereo subiscono la protezioni di Alitalia che impedisce ai concorrenti di occuparne spazi di mercato e slot aeroportuali. L’argomentazione che alcune compagnie low costo godono di sussidi aeroportuali non è convincente: queste agevolazioni sarebbero state offerte a chiunque avesse offerto analoghe garanzie di traffico. Azioni legali intraprese contro queste compagnie non hanno comunque avuto esito.
Le imprese che erogano servizi terrestri o marittimi di trasporto passeggeri (imprese ferroviarie, servizi di traghetti, autobus urbani, regionali o di lunga distanza) godono di elevatissimi livelli di sussidio o di protezione da ogni forma di concorrenza. È più semplice nominare le eccezioni: i servizi di alta velocità, con un operatore privato, e i servizi di autobus di lunga percorrenza, in rapida crescita dopo l’apertura del mercato. A riprova della buona salute artificiale del settore vale il fatto che nessuna impresa nell’ultimo cinquantennio risutla uscita dal mercato pur avendo alcune costi di produzione molto elevati.
Le famiglie.
Basse tariffe, servizi forniti in modo soddisfacente garantiscono condizioni favorevoli alle famiglie che si servono di trasporti collettivi stradali e ferroviari. La situazione è appena meno soddisfacente per i servizi di taxi (con l’esclusione dal mercato di servizi ultraeconomici forniti da soggetti non professionali come uber pop) e per i servizi aerei.
Chi si sposta in auto (l’80% dei passeggeri al km e più del 95% in termini di spesa) subisce un’imposizione fiscale tra le più alte del mondo: accise sulla benzina, tasse di acquisto e di circolazione. Tale imposizione è regressiva, cioè colpisce maggiormente i redditi più bassi. Le tariffe autostradali sono irragionevolmente elevate al di là di ogni logica economica di ammortamento delle infrastrutture: sono una tassa che si spartiscono lo Stato e i titolari delle concessioni.
Le categorie a reddito medio alto risiedono in città o in aree ben servite dai trasporti pubblici e colelgati alle aree centrali dove si trovano le attività terziarie e le università. I prezzi delle residenze sono connessi alla loro accessibilità.
Le categorie a basso reddito risiedono e lavorano in località scarsamente servite. Per loro l’uso dell’auto privata, molto tassata, diventa una necessità. Ciò trasferisce risorse da parte degli utenti a basso reddito a quelli a reddito più alto e alla rendita urbana che cattura una parte delle plusvalenze legate all’accessibilità pubblica (questo è visto per le aree servite da linee metropolitane, pagate dalla totalità dei contribuenti).
Quindi il sussidio ai trasporti collettivi non è sempre progressivo e l’elevata fiscalità sui mezzi individuali non è sempre condivisible.
Lo stato non adotta politiche razionali. Non si connettono i sussidi o le imposte a risultati sociali. Oggi si potrebbero misurare l’abbattimento di CO2 e i risultati distributivi. L’obiettivo è legato alla protezione dell’offerta pubblica con meccanismi di voto di scambio o alla massimizzazione del prelievo fiscale dove i rischi di dissenso sono minimi?
Dal punto di vista ambientale la regola di tassare i settori a domanda più rigida (Ramsey-Boiteaux) si inverte: la maggior perdita di benessere sociale si ha tassando i settori a domanda rigida (infatti il costo sociale di abbattimento è più alto in questi settori che in quelli a domanda elastica).
Questa irrazionalità si riflette nell’impossibilità pratica di incentivare nelle imprese pubbliche comportamenti efficienti, cioè che massimizzino i risultati in funzione di obiettivi pubblici misurabili.
Le logiche di tariffazione delle infrastrutture sono arbitrarie e distorcenti dei mercati dei servizi. Le ferrovie hanno una tariffazione d’uso inferiore ai costi marginali. Le tariffe delle infrastrutture di trasporto a pedagglio si avvicinano ai costi medi e nel caso delle autostrade li superano ampiamente il che comporta per gli utenti ammortamenti plurimi. Lo stato si spartisce i profitti, attraverso il prelievo fiscale, coi concessionari.
La viabilità ordinaria è priva di pedaggio. Gli utenti, tenendo conto delle accise sui carburanti nella viabilità extraurbana rispetto ai costi ambientali esterni e tenendo conto delle cattive condizioni delle strade ne sopportano l’onere.
Gli investimenti non vengono fatti dopo analisi economiche o finanziarie o comparative in termini di tecnologie, progetti, traffico.
La concorrenza negli affidamenti praticamente non esiste. È nulla nei servizi ferroviari eccetto che per l’alta velocità. È ridotta nei trasporti urbani, è nulla nelle concessioni di infrastrutture. Ci sono fenomeni collusivi tra le imprese maggiori. Questo alza i costi per lo stato nell’erogazione di servizi e nella realizzazione di nuove opere.
Il costo del lavoro nei trasporti collettivi è circa un terzo più che nel privato.
La regolazione indipendente è molto debole. Non sono tutelati i nuovi entranti come Uber, sono privatistici i contratti di affidamento delle concessioni autostradali, il colosso ferroviario è integrato verticalmente e orizzontalmente e l’autorità non può intervenire per unbundling (dimensioni minime efficienti delle imprese), alitalia è protetta.
La centralizzazione delel decisioni distorce gli obiettivi delle amministrazioni locali.
L’efficientazione porterebbe a riduzione dei costi e riduzione dei trasferimenti dal centro con possibili conflittualità per aumenti di tariffe, riduzione di spese infrastrutturali, riduzioni del costo del lavoro.
L’ambiente.
Il settore stradale è soggetto a una forte pressione fiscale, ma ha pochi effetti ambientali a causa della rigidità della domanda del mezzo di trasporto su strada. Altri settori molto inquinanti (agricoltura, industrie energivore) sono sussidiati. La logica, efficiente ed efficace, nota come polluters pay (prezzi pigouviani generalizzati) non viene analizzata.
Il parco veicoli italiano è mediamente poco inquinante, la qualità dell’aria nei maggiori centri urbani è molto migliorata, la sicurezza stradale è aumentata (il numero di vittime si è dimezzato in dieci anni).
La congestione stradale nelle aree dense non è considerata dalle politiche pubbliche (anche perché è un’esternalità di club che non danneggia soggetti terzi). La congestione è una concausa dell’inquinamento, però.
Le tendenze positive sono dovute all’evoluzione tecnologiche dei mezzi su gomma, alle tecnologie di propulsione meno inquinanti, in futuro a evoluzioni informatiche, mentre il ruolo dei trasporti collettivi è marginale.
Comandamenti
Imprese
Vanno ridotti i costi del trasporto su strada tenendo conto dei vincoli ambientali e internalizzando correttamente i costi esterni. Oggi i costi esterni per le lunghe distanze sono sovrainternalizzati dalle accise. I vincoli paesaggistici e fisici vanno tenuti presenti. I trend tecnologici vanno seguiti.
Per la congestione occorrono interventi infrastrutturali nella viabilità ordinaria delle aree metropolitane e un sistema di road pricing nelle aree dense. Si avrebbero entrate e uscite per lo stato e queste dovrebbero compensarsi.
Le tariffe autostradali vanno ridotte. Oggi sono un prelievo improprio che alimenta rendite.
Va liberalizzato il fattore lavoro: servizi ferroviari più efficienti, mobilità meno congestionata nelle aree metropolitane, servizi aerei intercontinentali e interni più liberalizzati per una maggiore efficienza. Sono abbastanza competitivi il mercato ferroviario per le merci e alcune componenti del trasporto merci stradale con l’offerta di servizi col costo del lavoro più basso.
Le catene logistiche vanno rese più efficienti. Le imprese devono comunicare i loro dati e i loro bisogni. I porti e simili devono sburocratizzarsi.
Va incentivata l’innovazione tecnologica. Uno dei problemi nell’introdurre nuove tecnologie è quello della massa critica o curva di apprendimento o querty. Per l’innovazione di veicoli non inquinanti a basso costo o a guida autonoma la mano pubblica dovrebbe aprire la strada alla domanda privata acquistando flotte pubbliche o semipubbliche (taxi) totalmente elettriche e fornendo sistemi di alimentazione capillari ed efficienti, ovviamente sempre con meccanismi competitivi, al limite a rotazione, per evitare l’errore di picking the winner. Una sorta di ammortamento pubblico del rischio per le nuove tecnologie.
L’aumento della concorrenza potrebbe essere fatale per imprese inefficienti o male addestrate a competere (ferrovie, alitalia).
C’è il rischio dell’avvento di new entrants non nazionali. La collettività e le casse pubbliche avrebbero benefici da assetti competitivi. Costruire campioni nazionali o europei richiede delle verifiche che le rendite relative non siano incamerate dai produttori come extraprofitti o perpetuazione di inefficienza e più che compensino con innovazione ed economie di scala le perdite di benessere comminate agli utenti.
Le imprese protette italiane operano in modo scarsamente efficiente nei servizi di trasporto, dove l’accumulazione di know how legata alle dimensioni ha un ruolo probabilmente minore che nella produzione di beni ad alto contenuto tecnologico. Si tratta di ferrovie dello stato (più efficienti che in passato), trasporti locali, alitalia, autostrade.
Famiglie.
La fiscalità stradale deve passare dal prelievo sui carburanti alle tariffe legate alla congestione e al miglioramento della viabilità nelle aree metropolitane. Dove è oneroso o non è possibile migliroare la viabilità dominerà l’altro provvedimento.
L’aumento della competizione nel trasporto aereo, ferroviario, dei taxi, va a beneficio degli utenti mentre in termini distributivi uno spostamento del supporto pubblico dalle ferrovie agli autobus a lunga distanza (usati intensamente dalle categorie a basso reddito) è auspicabile, come la riduzione dei pedaggi autostradali.
Stato
Vanno fatte analisi costi benefici. Gli obiettivi dovrebbero essere espliciti e quantificabili, in termini di efficienza produttiva e allocativa e occupazionali e distributivi.
Va simulato l’impatto sulle variabili nazionali economiche e finanziarie.
Vanno decentrate le decisioni. Per obiettivi conoscitivi e funzionali.
Vanno date informazioni corrette
Ambiente
Occorre valutare con cura in quali settori sono minimi i costi sociali di abbattimento e iniziare da qui politiche mirate di internalizzazione dei costi ambientali che hanno già valori elevati nel settore dei trasporti mentre vi sono settori inquinanti che risultano sovvenzionati con risorse pubbliche, anhce europee.
Il costo sociale di abbattimento è molto inferiore se si incentivano le innovazioni tecnologiche già in fase di accelereazione e principalmente a carico degli utenti anziché con politiche di cambio modale (da strada a ferrovia, per esempio) onerosissime per le casse pubbliche.