there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Trieste, Bavisela e Greenpeace (2014)

UNO
Insomma sono in macchina con Serena. Sono teso perché sono carico di aspettative e potrei restare deluso per non aver vissuto e condiviso le emozioni della finale di coppa Italia tra Fiorentina e Napoli.
Sono in macchina e telefono ad alcuni grinpisini, distruggo una scatoletta gigante di tic tac nel
tentativo di aprirla, condivido con Serena il pensiero che la pianura Padana mette sconforto finché
non si vedono le prime montagne, andiamo a caccia di un distributore di metano consultando siti e
app su smartphone e tablet, il tutto sotto la pioggia battente.
All’autogrill dell’area di servizio Po est ci fermiamo tutti, cioè tre macchine e sei persone, ci
riforniamo di liquidi, chi acqua, chi caffè, chi metano, e ripartiamo. La pioggia ha lasciato il posto a
delle velature in cielo.
Ehi, guarda, qua siamo nel punto dove inizia l’arco della costa adriatica che segna il confine
nordorientale dell’Italia: noi percorriamo questo arco.
Ehi, guarda quei cartelli, Cavallino è da dove parte la mezza maratona notturna di Jesolo, fatta qualche anno fa e di cui si
ricordano il gran caldo iniziale con rischi di svenimento, i plotoni di zanzare ma tanto se corri non ti
bucano, i dolori all’anca di Angela, i miei a quanto sto andando chiesti ai podisti visto che avevo
dimenticato il Garmin in albergo, il mio inseguimento alla ragazza che avevo davanti, i sorpassi, la
spiaggia, la folla negli ultimi due chilometri, l’ora e cinquantasette, Stefania che sviene al ristorante
per una congestione, io che mi faccio sdraiare su una sedia, l’autista dell’ambulanza che dice che
c’è posto solo per uno.
Ehi, guarda quel cartello, Spinea, la città di Federica Pellegrini.
Senti, tu vuoi che collabori col vostro evento, ma sappi che le antenne non me le metto e le cuffie
nere tantomeno.
Aspetta che telefono a Roberto, il mio (di Serena, nda) convivente. “Dove è il gatto? Come? fuori? E’ strano. Di solito non sta mai fuori. Vabbe’ che piove, ma vai a cercarlo. Almeno non rompe i coglioni? Ma deve prendere la pasticca. Ah, gliel’hai ficcata di forza perché non voleva? Andiamo bene. Insomma vai a cercarlo.”
Sai che a me l’idea di Trieste, come Lisbona e altri posti di mare, trasmette malinconia? Li vedo come posti dove la gente arriva, riparte. Sono luoghi di transito. Nessuno ci mette delle radici.
Ma ci pensi che da questi posti basta fare poche miglia marine e ci ritroviamo nel mezzo delle terre dove si sono combattute tra le peggiori guerre della storia? In anni recenti, poi.
Non capisco come sia stato possibile combattere col tuo vicino di casa: rinneghi l’amicizia per questioni di etnia?”
Poi qua questi cipressi alti, che nascondono alla vista la costiera sulla nostra destra, in questa strada tra Duino e Trieste, acuiscono il senso di malinconia, come se fossimo immersi in un film dove non sappiamo cosa c’è in fondo al tunnel. A sinistra, invece, si staglia un muro di rocce non uniformi. Percorriamo questo tratto di strada affascinante, ma anche, come dire, claustrofobico, e verso le sette e mezzo di sera entriamo a Piazza della Libertà. Siamo a Trieste, dunque.

DUE
L’avresti mai detto che un giorno avresti mangiato in una casa a Monfalcone in una famiglia con mamma croata, sorelle e padre triestini (lui medico sportivo che non riesce a stare fermo, come la sorella grinpisina runner e che ci ha ospitati, mentre l’altra sorella prende male anche solo vedere gli altri che entrano ed escono), cognato bosniaco la cui presenza aleggiava in quella stanza tra racconti e cibo tipico di tutte quelle terre?
In sostanza ho solo ascoltato.
La proprietaria della casa presso cui avevo preso una stanza tramite dioceloconservi airbnb non c’era, ma la sua coinquilina mi ha mostrato la camera, spaziosa con tante prese, l’indicazione della password wifi, un letto, una scrivania, un portapenne pieno di oggetti utili, una libreria piena di libri classici che verrebbe quasi voglia di restare in casa a leggere e di pensiero positivo, una libreria piena di cd e videogiochi. Sempre la suddetta Chiara mi fa vedere la cucina, “troverai una colazione abbondante,” il frigo, la lavatrice, i fornelli elettrici, prima di portarmi in bagno e uccidermi. “Puoi fare quello che vuoi, rientrare quando ti pare, fare cosa ti pare,” mi ha detto e sono ripartito insieme a Serena, con cui ci siamo diretti verso Monfalcone. “Com’è triste Venezia?” “Sapessi Monfalcone!”
Di che si parlava in macchina? Di meteo e cambiamenti climatici.
Il meteo si basa su dati di algoritmi che vengono diffusi al pubblico negli Stati Uniti ma non in Europa. La quantità di acqua in Toscana è rimasta costante, ma si sviluppa in un periodo inferiore e quindi piove con maggiore intensità. Questo è uno degli effetti previsti dei cambiamenti climatici. Ma sarà causata dall’uomo? Ma il sole? Ma come si fa a sapere quali erano le condizioni del clima nei secoli precedenti? Skeptical science mi è venuto in soccorso.
In quella casa ho solo ascoltato e non c’è stata una parola detta che non abbia suscitato interesse e voglia di approfondire: altro che le conversazioni inutili (“small talk”) che si odono spesso in uffici e tavolate vari.
Ma quindi lo sapete voi che…?
Esistono nel Carso gli ozmitza, che poi alla fine sono come gli agriturismi toscani.
Vicino a Trieste chi vuole suicidarsi va sul sentiero di Rilke, adorato dallo scrittore tedesco e quindi a lui dedicato.
La sla tra i calciatori potrebbe essere dovuta agli anticrittogamici nei campi che col sudore si sono trasferiti sul loro organismo.
Il doping è diffusissimo nel mondo sportivo amatoriale: perfino in un torneo di dama sono stati squalificati i primi tre classificatisi. Anche il motocross o il basket non ne sono immuni. A un certo punto è arrivata una ragazza che ha giocato in serie b femminile di pallacanestro e ha affermato di aver fatto delle partite tra amici per un giorno intero ed è stato bellissimo.
I bimbi kosovari andavano a scuola col coltello e parlavano di un conflitto che in realtà non avevano vissuto e quindi era meglio se stavano zitti.
Con Tito anche la produzione industriale era suddivisa tra le etnie e chi non era d’accordo su qualcosa scompariva.
La Slovenia era appoggiata dall’Austria, che voleva uno sbocco sul mare, e dalla Germania, e quindi è stata lasciata libera di liberarsi dopo il crollo del muro. Negli altri casi è stata guerra.
Da un giorno all’altro nei locali gestiti da croati i bosniaci o i serbi hanno smesso di andare, anche in Italia. “Tu sei italiano: tu puoi, ma si mangia male lì, quindi non ci andiamo più.”
“Noi prendiamo in giro i terroni, ma poi andiamo nelle loro pizzerie e questi ci giocano sopra. Loro, gli ex jugoslavi, no.”
Una donna si è sempre vergognata del cognome che portava. Eppure era croata, ma sempre dalla parte sbagliata, come figlia o come sposa.
Anche i nomi sono stati cambiati. Quello dei cevapcici no, ma quelli sono veramente buoni e gli meritava restare conosciuti come lo erano sempre stati.
Il matrimonio croato è fatto di cibo e ancora cibo e di nuovo cibo. “E smetti di gesticolare come un’italiana.”
Il principe Tasso ha la proprietà di un castello e quando non c’è tutti possono accedere al giardino da cui si gode di una vista magnifica. Un giorno fu portato in ospedale e gli fu riempito il naso di garza anche per farlo stare zitto. “Voglio il primario,” diceva, per un’epistassi.
A Trieste non sempre piacciono le feste degli italiani. Le foibe sono esistite, come l’occupazione titoista del ’45 e non c’era differenza tra fascisti e non.
La grappa alle prugne era buonissima, del resto questo è il regno delle acquaviti.
“Attenti a dire della Croazia. L’interno è ancora arretrato e poverissimo. Non è come la costa.”
“Ovvia, su: domani fate un allenamento?” “Eh, sì. Una ventina di minuti.” “Io per venti minuti di corsa non mi muovo nemmeno.”
Serena mi ha quindi riportato verso casa, lasciandomi sul lungomare. Mentre per arrivare alla mia stanza in macchina ci sarebbero voluti dei girigogoli di un quarto d’ora buono, a piedi erano sufficienti cinque minuti per trecento metri di cammino. Perché Trieste è molto labirintica, con tanti saliscendi e strade che vanno un po’ a zigzag e magari se sei in auto puoi avere un autobus dietro e poi sali, sei in curva ed ecco un altro autobus che giunge verso di te in discesa, rischiando di schiacciarti, visto anche che le strade sono strette in quei vicoli.
Google maps mi condurrebbe a destinazione, ma io mi trovo di fronte una strada che pare senza uscita, eppure nel pomeriggio ero stato in quella casa e in quella strada. Il segreto era che bisognava salire le scale zigzaganti: sarà stato un condominio, ma era anche l’unico modo per oltrepassare la barriera muraria, a meno di non voler fare a piedi il giro del labirinto.
Che poi con tutti questi giri si può pensare, limitandoci al centro storico, che Trieste è grande come il quartiere fiorentino di Campo di Marte. “E Stia?” “Come il Ridolfi.”

TRE (SABATO)
Esco dalla casa e rimango sbalordito. Di fronte a me, all’orizzonte, si vedono delle montagne bianche. Sotto di loro il mare che arriva fino alla riva. Ci giungo anch’io, scendendo le scale e aspettando Sara, che intanto mi spiega la differenza nel modo di nominare i vari tipi di caffè rispetto al resto del mondo. È certo che sia stato quindi riconosciuto come un forestiero quando ho ordinato un caffè al bar in cui sono entrato qualche minuto prima, rischiando anche di finire per terra inciampando nello scalino sottostante la porta d’ingresso. Mangiare fa bene leggere di piu prendi questi libri portali quando vuoi tu
Trieste non è certamente una città monotona: Grandi piazze, vie rette e ampie, vicolini a sorpresa, salite a sorpresa, colline immediate, parchi, giardini, verde improvviso girato l’angolo.
Con Sara definiamo i dettagli per l’attività del giorno successivo. Indaghiamo le gare degli anni passati, studiamo il percorso e le posizioni da tenere. Chiediamo lumi ad un organizzatore che ci spiega esattamente da dove passeranno gli atleti della mezza maratona e quelli delle altre manifestazioni. Lei, dopo avere conosciuto alcuni altri del gruppo podistico, va a comprare delle antenne, del nastro isolante e a farsi stampare dei manifesti. (“Io temo l’arrivo di Sara,” dirà Serena).
Noi podisti giriamo per la città, come faremo anche dopo pranzo, e scopriamo mille anfratti e facciamo tanti giri per ritrovarci sempre più o meno in punti molto vicini l’uno all’altro. L’arco di Riccardo, il teatro romano, la cattedrale di San Giusto, una chiesa dove si sta celebrando un matrimonio, altre scalinate, bei parchi, tanto verde, visioni sconfinate sul mare col contraltare di colli o muri che salgono dalla parte della terra e chiudono maestosamente la vista.
“Voglio concentrarmi solo sul cibo.” Questa affermazione di Nico apre il pranzo. Rinuncio alla yota perché ho bisogno di pasta, quindi prendo conchiglie con spada e melanzane, molto corpose e con pezzi veri di ingredienti nel sugo. Seguono pesci fritti e ai ferri e soprattutto delle cose deliziose e che non finiresti mai di mangiare: i chifeletti, di cui dire patate lesse con doratura croccante è solo pura descrizione. La rinuncia al vino preoccupa il cameriere (“prendo il vino e vengo a berlo con voi.)” “A te no ho portato il primo piatto perché sei stato cattivo, facendo una finta critica.”
Dopo aver notato che anche i portoni e le facciate delle case sono curiosi, strani, variegati, variopinti, ci sediamo ad un risto bar in piazza dove il cameriere cerca di fare lo spiritoso senza riuscirci. Quello che era scrittto nel menu non pareva esserci, secondo lo sguardo del tipo. Allaf ine sono riuscito a prendere un caffè con panna e un biscotto al burro, tanto per chiarire acnhe che non avevo ambizioni atletiche il giorno dopo.
Trieste ha affascinato i poeti,da. saba a rilke,e. Pure no.i., anche per lo spruzzino per i piccioni.
Causa partita mi sono poi preso una pizza da un kebabbaro dopo essere andato a recuperare due ragazze alla stazione, aver assistito a un’esercitazione in mare dican i di salvataggio. La partita sono rimasto abbbastanza disgustato. Ne ho approfittato per ddecorare l magliette.

QUATTRO (DOMENICA: IL GIORNO DELLA MEZZA MARATONA)
Ma voi volete vestirvi da api per testimoniare una campagna di Greenpeace?”
L’importante era suscitare della curiosità senza dire troppo.
“Ma come sarebbe?”
“Vi comprerò delle magliette gialle. Vi mettete i pantaloni neri e siete a posto. Dovete soltanto correre.”
Detta così, la proposta di far correre alcune persone del gruppo podistico da api, è stata accettata dalle protagoniste, di nome Serena, Chiara, Laura e Francesca. Gli uomini, invece, non hanno aderito, almeno non alla vestizione, pur manifestando solidarietà verso le api, quelle reali e quelle mascherate. Le ragazze hanno voluto sapere il motivo dell’evento e il messaggio che andava lanciato. L’abolizione dei pesticidi neonicotinoidi e i rischi per le api e per l’agricoltura non hanno lasciato indifferenti nessuno.
Tutto quello che andava al di là del “dovete solamente correre” l’ho detto a piccole dosi. “Ci sarebbero da mettersi delle antenne.”
“No. Niente antenne.”
“Allora delle cuffie nere.”
“No. Meglio le antenne.”
“Oppure un pungiglione.”
“Le antenne vanno benissimo. Ma senza palline.”
Le ragazze api hanno acconsentito senza problemi a indossare magliette da uomo, visto che quelle da donna gialle non erano disponibili da Decathlon, e non hanno avuto obiezioni di sorta a fare delle strisce nere utilizzando del nastro adesivo. Anzi. Hanno preferito disporsele da sole, piuttosto che rendersi inguardabili affidandosi alle mie capacità pratico/artistiche.
Una di loro in particolare, vale a dire Serena, l’avevo presa come mia compagna ape. Non avremmo rappresentato uno sciame, perché non tutti avevano gli stessi obiettivi di gara. Laura voleva andare ad un passo veloce. Francesca non aveva idee particolari, ma era probabile che la seguisse. Chiara era concentrata sulla gara: era la sua prima mezza maratona, la correva a casa sua (è di Monfalcone). Io e Serena consideravamo l’evento come un buon allenamento e quindi avevamo deciso di correre affiancati. Così sarebbe toccato a lei, con me, portare i cartelli Salviamo le api (“Non me lo avevi detto”) dopo l’ultimo chilometro.
Una volta vistesi con le magliette e le antenne ci hanno preso gusto: anzi, alcune di loro hanno iniziato a volare. Laura e Francesca hanno realizzato i loro record personali, finendo in un’ora e quarantadue minuti. Chiara ha completato mano nella mano con Serena la sua prima mezza. Io sono stato insieme a loro, sono riuscito a telefonare e a scrivere messaggi correndo, e sono rimasto entusiasta ogni volta qualcuno dal pubblico ci indicava. Le api hanno riscosso successo. Tutte davano volentieri il cinque ai bambini assiepati lungo la strada e sono rimaste contente di essere chiamate. Due avrebbero detto, poi, di voler diventare volontarie. Io mi sono emozionato qunado ho visto lo striscione.
Le api sono contente quando vedono chi le accoglie. I bambini che vogliono mettersi in posa con loro. Non i pesticidi.
E c’è poco da dire. Anche nell’attività della domenica successiva il momento clou è stato quando una bambina ha voluto farsi fare le foto. Avche ai ristori la gente è stata coinvolta.

Sara si è distinta per la ottima gestione dell’operazione mentre tutti gli altri volontari sono stati impeccabili. Ed il successo dell’evento a riempito di entusiasmo volontari vecchi e nuovi. La sinergia gruppi locali/Ufficio è stata ottima. Buona la risposta della gente che ci ha permesso di comunicare il messaggio e prendere contatti con enti che sposano la nostra causa. Sia i bambini che gli adulti erano sorpresi dalle api. Peccato che non “indossassimo” un messaggio. Tempestività della risposta dell’ufficio di Roma e dei preziosi suggerimenti. In generale fotografare un evento sportivo è complicato. Il tempo di attesa è troppo alto e quello di azione è quasi istantaneo. Due api, che fanno parte del gruppo podistico fiorentino, sono state così contente che hanno chiesto come fare per diventare volontari. Durante la premiazione i volontari hanno esposto sotto il palco il banner, che è rimasto così visibile in uno dei momenti clou di tutta la manifestazione.
Io ero in collegamento telefonico con Kristina. Cioè correvo e telefonavo o messaggiavo, mentre Chiara, che correva con noi, era intenta a fare la sua prima vera mezza maratona e le altre api avevano già spiccato il volo all’inizio. Serena, Chiara e Pino avrebbero poi terminato la gara insieme mano nella mano per festeggiare il primo arrivo ufficiale di Chiara.
Io mi occupavo invece dell’evento grinpisino. A un chilometro dalla fine vedo Kristina, prendo il cartello, Davide mi vede e mi rincorre, io vedo lo striscione, non vedo nessuno tra chi dovrebbe essere appostato all’arrivo, taglio il traguardo, torno indietro, vedo Sara, dove sei finito? Trovo un buco per rientrare, improvvisiamo la scena che prevedeva l’alzata dello striscione mentre passavo come se fosse in diretta, chiudiamo e ci facciamo insieme una foto per festeggiare il gemellaggio tra gruppi locali.
Ah, a proposito. Il percorso di gara della Bavisela è bellissimo: vediamo il mare, le coste slovena e croata e triestina, la città appare presto sullo sfondo e poi si fa sempre più vicina mentre le rocce alla nostra sinistra sembrano voler piombare su di noi (o forse accompagnano il nostro passaggio). Spesso corriamo tra file di alberi, come dentro un bosco. Molti bambini vengono tenuti per mano da genitori podisti. Tutti sono felici. È veramente un bello spettacolo.

Torniamo e mi mancherà Trieste, ma ci tornerò per una gita turistica l’anno successivo e sarà ancora molto bello.
Frasi storiche: “Hai avuto un versamento? Alla bocca non ti è venuto” (non ricordo chi fossero soggetto e complemento oggetto della frase).
“Il mio nonno alpino vive dentro di me”.

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