- Dal 1996 a fine 2009 l’Italia ha usufruito di interessi sul debito inferiori a quelli precedenti. Il risparmio è calcolabile in 50 miliardi, pari al gettito di IRAP e IMU messe insieme. E’ venuto meno il rischio associato alla svalutazione.
- Il differenziale di inflazione rispetto alla Germania si è ridotto dopo l’introduzione dell’euro, malgrado il livello dell’inflazione in Italia sia stato più alto. Questa riduzione significa, quindi, minore inflazione e maggiore mantenimento del potere di acquisto da parte dei percettori di reddito fisso e dei più poveri. Si sono esauriti gli effetti inflattivi della svalutazione della lira del ’02. L’Italia ha anche beneficiato del passaggio da una politica monetaria discrezionale a una basata sulle regole.
- I lavoratori tedeschi hanno subito inizialmente una moderazione salariale, ma sono ancora di gran lunga i meglio pagati tra le industrie dei maggiori paesi dell’area Euro.
- Non c’è nessun nesso causale dimostrato finora tra surplus commerciale e apprezzamento della valuta nazionale.
- Certe cose si potevano valutare prima dell’ingresso nell’euro e comunque dal 1991 in poi era possibile riformare l’economia italiana e renderla competitiva come quella tedesca. I governanti pensavano ad altro, evidentemente.
- La monetà non ha capacità taumaturgiche.
- Se la Germania avesse imposto l’euro come moneta debole per effettuare svalutazioni competitive e far sì che gli altri Paesi importassero da lei, avrebbe dovuto richiedere un’inflazione più alta negli altri Paesi. Questa non può venire dalla politica monetaria e quindi dovrebbero crescere o i salari o l’energia. Se i salari in Italia fossero più alti che in Germania non si avrebbe però l’altro fenomeno ipotizzato dai Bagnai di turno: la competizione fondata sull’abbassamento dei salari. Se invece i salari sono più bassi non regge l’argomento della svalutazione imposta dalla Germania.
- La Germania ha incrementato la produttività negli ultimi quindici anni: ha cioè innovato e organizzato meglio la produzione.
I salari reali in Italia sono cresciuti e più della produttività-
La produttività dell’Italia è ferma da dieci anni buoni.
In Germania invece i salari sono cresciuti meno della produttività, ma hanno comunque salari reali superiori a quelli italiani.
La Germania cresce perché produce meglio e a costi inferiori, pur pagando meglio i propri operai.
- I governi italiani hanno buttato al vento i risparmi permessi dal ribasso degli interessi. Segno di un paese con istituzioni corrotte ed una economia pubblica inefficiente.
- La teoria delle aree valutarie ottimali non c’entra una mazza.
- Dal 2012 il saldo delle partite correnti della Germania continua a crescere mentre il disavanzo dei maggiori paesi dell’area euro (fatta eccezione per la Francia) si è invertito. Quindi non c’è relazione di necessità tra gli avanzi commerciali della Germania da un lato e il saldo commerciale del sud Europa dall’altro.
- Dal 1993 la bilancia commerciale italiana è positiva: quindi non ha perso export.
I grafici delle esportazion tedesche e italiane verso l’area Euro sono sovrappponibili: non c’è stato un vantaggio netto da parte dei tedeschi.
Il calo di produttività dell’Italia non è dovuto alla combinazione inflazione più alta della Germania più valuta rigida visto che la produttività della Spagna, per esempio, è salita malgrado abbia la stessa valuta e un’inflazione (anche lei) maggiore che in Germania.
Se l’Euro fosse davvero il colpevole del calo di produttività, questa dovrebbe essere calata di più nei settori aperti alla concorrenza degli altri Paesi dell’eurozona. Invece è calata di più nei settori protetti.
- Ma soprattutto ricordiamo che alcuni settori dell’attività economica sono aperti alla concorrenza degli altri Paesi dell’area Euro; altri sono invece protetti a livello nazionale. Se l’Euro fosse davvero il colpevole del calo di produttività, questa dovrebbe necessariamente essere calata di più nei settori ‘aperti’.
- Una Banca Centrale Comune credibilmente indipendente dal ciclo fiscale potrebbe garantire ridotti tassi di inflazione attesi e reali anche a quei paesi che precedentemente alla creazione dell’Area Valutaria avessero scarsa reputazione; questo però richiede vincoli credibili di convergenza fiscale perché, tolta la valvola di sfogo della svalutazione, un paese la cui posizione finanziaria divergesse in modo stabile finirebbe per perdere credito internazionale e ingenerare aspettative di default.
La politica monetaria comune ha funzionato – riducendo i differenziali inflazionistici e soprattutto azzerando gli spread nell’Eurozona. La convergenza della politica fiscale, alla creazione dell’Eurozona era stata demandata agli accordi di Maastricht che richiedevano la soddisfazioni di alcuni parametri fiscali. Questo meccanismo è fallito. La questione prevedibilità è quindi riconducibile a questo punto: era prevedibile che Maastricht fallisse, che i meccanismi di convergenza messi in piedi dall’Eurozona sarebbero stati aggirati e rimasti inattuati da Grecia e Italia ma anche da Francia e Germania? Era prevedibile che l’Italia avrebbe gettato i risparmi derivanti dall’azzeramento degli spread sul finanziamento pubblico nel calderone della spesa pubblica improduttiva, divergendo quindi dai parametri e impedendo alla propria economia quel riaggiustamento, quelle riforme, che invece hanno permesso alla Germania gli incrementi di produttività che abbiamo osservato? Era prevedibile che la Grecia truccasse addirittura i conti pubblici per far credere che essi soddisfacessero i parametri di Maastricht?
15 “Bagnai confonde shocks con disavanzi permanenti e dimentica che la politica fiscale USA e’ in larga parte federale, ed in particolare che gli stati non si possono indebitare (le citta’ si’, e quando New York e’ fallita a fine anni ’70, lo stato federale si e’ ben guardato dall’intervenire; e il Daily News, riferendo al presidente Gerald Ford, titolo’: “Ford to City: Drop Dead”). Richiedere che la Germania compensi non shocks ma disavanzi permanenti di stati che hanno il potere di indebitarsi liberamente (e che lo farebbero molto di piu’ di quanto gia’ non lo facciano se la Germania compensasse) e’ assolutamente pretestuoso. L’integrazione fiscale doveva avvenire attraverso i criteri di Maastricht.”
16 La svalutazione del’ 92 ha avuto effetto sui salari reali e sul potere d’acquisto degli italiani. Oggi questi si lamentano che stavano meglio vent’anni fa: quando potevano comprare più cose con gli stessi soldi. Inoltre la svalutazione ha drogato la domanda dall’estero e ritardato la riconversione industriale del paese