PARIGI 2015: VENERDI’ MATTINA
Non è ancora il momento del tour de force, in realtà. Almeno la mattina la prendo comoda. Inizio la giornata con una simpatica corsetta che mi porta lungo i boulevard fino al canal Saint Martin. Cinque chilometri ad andare e cinque a tornare. Toilette pubbliche, fontanelle, panchine, spazi ampi, colori neutri, bei palazzi con colori lucidi e qualche bella decorazione, strade e case disposte in modo armonioso, qualche chiesa che spunta sempre (Saint’Ambrose, quella mattina), corsi d’acqua, giardini ben curati, aree giochi per i bambini o per gli animali, gente che passeggia, gente che porta a spasso il cane, gente che si bacia ovunque e comunque, gente che si muove in modo più rilassato che in altre città (Londra, per esempio,) un senso di serenità, di relax, di pace che si percepisce nell’atmosfera insieme all’arte che pervade la città, come sanno tutti.
Mentre corro vedo spuntare una specie di statua che mi ricorda qualcosa di già visto nel viaggio di qualche anno fa: Place de la Republique, c’est à dire. Passo anche in mezzo a un mercato di prodotti alimentari lungo il viale, e non mi esce dalla testa la frase che Guccini dedica a Bologna “per me provinciale, Parigi in minore: mercati all’aperto, bistrot, della Rive Gauche l’odore.”
Dopo la corsa mi dirigo verso il ristorantino Aquarium e il caffè, un po’ forte e un po’ lungo, si conferma comunque su livelli di eccellenza. A proposito di cose che funzionano, riscopro che la metro di Parigi è un esempio di efficienza pubblica e che nelle città straniere le connessioni wifi vanno a velocità effettive impensabili in Italia.
Arrivo allo Chateau de Vincennes, mi dirigo al Parc Floreal e lì, nell’expo della mezza maratona del giorno successivo, ritiro il pettorale e il pacco gara. Il parco, dove saranno la partenza e l’arrivo della gara, è enorme e molto bello, molto ben curato e bla bla bla. La mia città ideale sarebbe piena di parchi, giardini, laghi, montagne, mari e corsi d’acqua curati da altre persone: una visione un po’ aristocratica, forse. Mi potrei fare costruire Versailles, diciamo.
intanto si è fatta l’una del pomeriggio e inizio il tour de force turistico. Abbandonata la Lonely Planet per la Touring Club, cosa ormai abituale nelle seconde tappe o successive dei miei viaggi, inizio un percorso basato su: una specie di piano che mi si presenta in testa per cui penso alla cosa successiva rispetto a quella che sto facendo; i capitoli e gli itinerari del libro, partendo da quelli che mi interessano di più; la possibilità di restare lungo la stessa linea della metro in modo da accorciare i tempi; la visione delle cartine della zona in cui mi trovo per accorciare le distanze da percorrere.
PARIGI 2015: IL VENERDI’ POMERIGGIO
Bene. Oggigiorno chi vuole guardare o leggere di Parigi ha a disposizione strumenti svariati: youtube, google earth, google maps, wikipedia, siti, libri. Non vorrete mica che vi descriva il giardino delle Tuileries o il palazzo del Louvre, vero? Anche perché poi coi voli low cost potete arrivarci in un’ora e venti da Pisa per settanta euro andata e ritorno. Che poi vi devo rivelare una cosa: non riesco a farmi piacere Parigi allo stesso modo di Londra, ma anche di Barcellona. Saranno i colori. Sarà la stessa cosa per cui preferisco Firenze e Venezia, ma anche Bologna e Verona, a Roma. Oppure Boston a New York. Ovviamente sono città uniche, belle, meravigliose, piene di tutto, ma è così e non c’è molto da dire. Qualcuno ricorderà i voti dati alle cose viste e a quelle fatte a Londra nel 2012.
Dalle Tuilieries (8) a Saint Roch. Chi ha commissionato i giardini delle Tuileries? Caterina dei Medici. I fiorentini hanno inventato Parigi, insomma.
Il quartiere latino è pieno di negozi greci, kebabbari turchi, presunti pizzaioli italiani. La cosa migliore resta il negozio di libri in inglese Shakespeare &Co. se restiamo nelle vie parallele al lungofiume. Lungo la Senna, invece, su ambedue le rive, stanno i bei banchi verdi degli ambulanti che vendono libri, fumetti, dischi, stampe storici e rari. Se vuoi respirare cultura, passa dal fiume e poi buttati alla sua sinistra. Lasciando stare i localini acchiappa turisti ed entrando nelle strade interne si può fare il pieno di università come la Sorbona, e di studenti internazionali. Il quartiere è pieno di librerie, da quelle delle grandi catene (francesi) a quelle più piccole e specialistiche. Lungo i Boulevard Saint Germain e Saint Michel, fino anche a Place Monge, fanno bella mostra di sé le persone che consumano qualcosa nei cafè coi tavolini all’aperto. Rue Saint Jacques sprizza aria giovanile e Rue Mouftarde è piena di negozi di gastronomie dal mondo. Rispetto a tre anni fa sono spuntati come funghi i negozi e i supermercati bio, come Naturalia. E’ rilassante passeggiare per questi posti, che restano i miei preferiti della città, quelli in cui tornerei ogni volta. Dove penserete che mi sia fermato, io, circondato da tutti questi locali? Ma da Starbucks, ovviamente! A scrivere su un tavolino che dava sulla Rue Monge, mentre anche la ragazza accanto a me aveva un taccuino aperto sul tavolo, una penna che lasciava fluttuare, uno sguardo che volteggiava stralunato e pensoso nell’aria e un iphone 6 che si è messo a squillare e ha interrotto l’incantesimo. Addentrandoci nelle vie meno frequentate, si rimane quasi sorpresi dal silenzio e dal vuoto: sembra quasi di essere in una cittadina di provincia. Le differenti sfaccettature della vita e della grande città ti piombano addosso presto, però. Come in Place de Contrescarpe: cibo dal mondo ai lati, dei rom che suonano musica in piazza di fronte a una delle tante creperie e un barbone appoggiato al muro con una bottiglia in mano che batte il piede per terra a ritmo di musica.
Quella stessa musica che è presente anche dove non sembra: una coppia improvvisa un ballo senza note lungo il canal Saint Martin, che percorro dall’uscita della metro Jures fino al punto in cui ero arrivato di corsa (ma partendo dall’altra parte) il venerdì mattina. QUella stessa musica che deve essere stata presente tra la gente che ballava in una delle barche ormeggiate lungo il fiume e che vedevamo dal battello che ci ha fatto fare un favoloso giro sull’acqua dalla Torre Eiffel fino all’Ile de Cité, la domenica. Quella stessa musica è come se avesse fatto da contorno ai colori dei palazzi del centro che sembravano variare via via che il giorno si faceva crepuscolo. Quella stessa musica che sentirò il lunedì suonata da tre ragazzi, una chitarra e nessuno spinello in un prato nella piazza des Invalides. Quella stessa musica che può essere formata anche dallo sbattere di una palla da tennis sulle racchette o dai giochi dei bambini o dai colpi sul tavolo dei giocatori di scacchi ai Jardins Du Luxembourg. Quella stessa musica che vedevamo suonare dal battello da parte di gruppi di giovani assiepati lungo la Senna, che d’estate diventa una spiaggia e che è una delle cose più belle e vive d’Europa. Quella stessa musica che forse inconsciamente dava il ritmo dei baci, delle letture, dei disegni ad altre persone che stavano sedute su una panchina, su una sponda del fiume, su un prato, sulle sedie disposte ai lati di un giardino.