La lotta per la conquista dello spazio in valigia è stata dura e ha vinto questa. Il piccolo trolley acquistato da Decathlon non è bastato a contenere la macchina fotografica e l’ipad e tutto il resto, quindi ho dovuto optare per quello più grande, il Carpisa amico di vecchi viaggi. Ho comunque rinunciato alla roba per correre: avrei dovuto prendere l’abbigliamento da 13 gradi ed era troppo ingombrante. Potevo prendere quello anziché l’ambaradan fotografico? Dovevo?
Ho rischiato di fare come il Nardi, che da presto fece tardi. Ero a prendere una spremuta d’arancia al bar interno della stazione Santa Maria Novella. Mi sono fermato a un tavolino. Mi sono messo a sedere. Ho osservato due coppie di ragazzi francesi che giocavano a carte. Ho prenotato il biglietto da Porta Garibaldi a Milano Malpensa. Nel frattempo il mio treno per Milano Porta Garibaldi sarebbe partito solo dieci minuti dopo. Ero arrivato alla stazione un’ora prima.
La bellezza di un treno vuoto. Lo spazio non solo per le gambe, per le valigie sotto le gambe, per i due caricabatterie tutti per te, ma soprattutto lo spazio visivo. A parte il commesso viaggiatore che telefonava davanti a me e che scenderà a Reggio Emilia AV (esistono treni che ci si fermano ed esistono passeggeri che ci scendono), la situazione è ideale. Spazi aperti e abbastanza sconfinati all’esterno: alberi, campi, pianura padana. Spazi e silenzi non interrotti da teste, valigie, gambe, giornali inutili, personal computer, parlottii, chiacchiericci, bambini urlanti, all’interno.
Milano Porta Garibaldi mi accoglie con un corridoio in stile Miglio Verde, un passaggio per la metro chiuso da tornelli e due uscite verso due desolation road. Ne prendo una e vedo un clochard sdraiato per terra coperto da una coperta, tre persone che somigliano a mafiosi cubani in camicia blu che dialogano all’angolo tra una sfilza di binari e un cumulo di case che a prima vista mi sono sembrate diroccate e a seconda vista non lo erano. Al di là dai binari, volgendo lo sguardo a destra, si vedono frotte di grattacieli, su uno dei quali spicca la scritta AXA, che mi ricorda la compagnia assicurativa che rifiuta di assicurare le centrali a carbone, a differenza di Generali.
Mi aspettavo almeno un bar, dentro o fuori dalla stazione. Un locale dove potessi affogare in un bicchiere la depressione causata dall’infausta scelta di scendere in quella desolate land (o così è stata la prima impressione) e poi di fermarmici anche il tempo necessario per pranzarci.
Dopo aver chiesto aiuto via whatsapp, aver letto la storia di Porta Garibaldi su Wikipedia e avere consultato Google Maps, ho deciso di muovermi, così le prospettive di quell’ora e mezzo che mi ero dato prima di prendere il treno per Malpensa sono cambiate.
Ho scoperto un mondo fatto di grattacieli immersi nel verde (guardando in alto oltre la via stretta tra le case), bar, osterie, ristoranti di mare pugliesi, cavalcavia, saliscendi e ingressi principali della stazione. Quegli ingressi che avrebbero finalmente reso attraente anche il solo girovagare per più di un’ora senza meta: da lì si entrava in un mondo dove prendevano vita la Feltrinelli, la toilette a pagamento, la cassatina siciliana, la crema di caffè, il barista che mi chiedeva se volevo un bicchiere di acqua naturale o gasata (nel caso avessi scelto questa mi sarei aspettato una tipa che usciva dal bicchiere con un giubbotto di pelle, una corona in testa e col codazzo di fan dietro che sbavavano per un autografo), il tabellone degli orari che indicava i treni per Malpensa molto dopo che erano già apparsi sul sito Viaggiatreno.
In una situazione di minore ansia e minore fretta e diversi obiettivi avrei probabilmente indugiato volentieri a osservare le vie strette, le case, i graffiti e a origliare i discorsi dei mafiosi cubani e dei camerieri che aprivano il ristorante. Sarei probabilmente anche entrato dal falegname, che dichiara sull’insegna di esistere e di resistere dal 1960. Stamani, però, non c’era tempo per cullarsi in certe cose. Dovevo trovare subito un luogo familiare, commerciale, con del cibo (possibilmente) e soprattutto dovevo arrivare al binario utile con un congruo anticipo. Il resto è poesia a cui ci dedicheremo un’altra volta. A partire dalle strade di Glasgow, magari.
A proposito di Feltrinelli Express. La sezione “economia” dovrebbe intitolarsi “puttanate, incredibili puttanate”.
Intanto un articolo su Oasport mi segnala una Glasgow fredda, grigia e piovosa, cioè affascinante.
Poi ci sarà tanta musica, ovunque. In ogni locale c’è la musica dal vivo. Sì, anche l’whiskey. Poi sembra che la città si sia preparata a questi campionati europei come se fossero le Olimpiadi. Accoglienza a suon di musica e fuochi d’artificio nella piazza centrale. Non vedo l’ora di esserci.
Quello, però, succederà dopo. Immergersi nell’atmosfera di Glasgow 2018, dico. Adesso c’è da superare la solita tensione dell’attesa: arrivare all’aeroporto, separare i liquidi e gli oggetti metallici, superare il terrore dei controlli di sicurezza (terrore dato dalla possibile apertura della valigia o dello zaino alla ricerca di quel minuscolo oggetto che mi ero dimenticato di togliere), riuscire a chiudere la valigia fischiettando anche mentre interiormente impreco in sanscrito, prendere l’aereo sperando che il bagaglio non venga stivato, ricominciare a leggere Guerra e Pace o comunque qualcosa sul Kindle sempre che riesca ad averlo a portata di mano, arrivare a Glasgow, forse prendere Uber e comunque arrivare alla casa prenotata attraverso Airbnb, capire il territorio, salutare la proprietaria di casa, superare senza troppi patemi la fase dei convenevoli, scoprire se lì vicino ci sono abbastanza possibilità di scottish breakfasts, saggiare il territorio, conquistarlo.
Poi sarà tutto un Carnevale di Rio, come dice qualcuno.
Ah, dimenticavo. Celtic o Rangers?