AMSTERDAM
Già prima di partire pensiamo a dove correremo nelle gare successive. Si fanno, come al solito, tutti i nomi di città esistenti nel mondo. All’aeroporto, enorme, già abbiamo un problema: il pin della carta di credito non viene riconosciuto e questo è un problema, perché tutto è automatizzato. La soluzione è semplice: anziché andare a intuito nel fare le cose, basta leggere le scritte che appaiono sullo schermo. In giro le prime persone che notiamo sono una ragazza con degli occhiali con le lenti a strisce colorate, e un gruppo di maratoneti riminesi in metro. Questi ultimi ci dicono che corrono sedici chilometri al giorno tutti i giorni, e li ascoltiamo come se fossimo degli scienziati del Seicento che ascoltano Newton. Mentre siamo in tram scopriamo anche che questo non parte se qualcuno non paga il biglietto, che si fa direttamente sul mezzo. Noi italiani ci facciamo riconoscere non per il pagare o meno, ma per l’urlare anche parlando normalmente.
L’architettura delle case è fiabesca: ci verrà poi spiegato perché le abitazioni in centro sono strette e alte, anche storte. C’entrano delle ragioni fiscali. Hanno dei ganci che servivano per far salire le cose ai piani alti. Inoltre le vetrate ampie e senza tende o persiane dimostra la necessità, tipica del nord Europa, di fare entrare quanta più luce possibile.
Le prime impressioni lungo le strade? La città è piena di verde, il traffico sembra non ci sia, le bici sono le padrone indiscusse della strada, tante persone corrono, chiunque ci veda in difficoltà con delle mappe in mano ci viene a dare una mano.
“Voi siete italiani.” Anche in albergo ci riconoscono subito. In realtà è più un ostello che un hotel, quindi le camere non vengono fatte ogni notte, quindi non ci sono tutti gli shampoo del caso, quindi una coppia di anziani che si è ritrovata in quel posto non è rimasta molto soddisfatta. Io invece sì, anche per l’atmosfera internazional e giovanile, per la possibilità di noleggiare le bici e ovviamente per la connessione gratuita a internet.
Il meglio di me lo do in bici: tiro un calcio alla ragazza che me la noleggia, per salirci sopra; blocco una Wolkswagen Polo per strada; vado contromano. La cosa curiosa è che le auto si spostano per farci passare.
Dai miei compagni di corsa apprendo cose strane, del tipo che una ragazza è stata un mese senza bere birra prima di questa gara. I tempi in cui prenderemo uno spritz il giorno prima della maratona e la cosa non ci farà né caldo né freddo devono ancora venire.
Le ragazze olandesi si potrebbe intuire che siano belle, ed in effetti lo sono. Alte, basse, bionde o more: sarà la loro sportività a renderle così, ma sono al top tra quelle viste in giro nel mondo, arabe escluse.
Dal giro in battello apprendiamo che una macchina a settimana finisce nei canali e che l’aeroporto è sotto il livello del mare. La parte vecchia della città è una chicca.
Il cibo è buono e pesante. Si fa sport per sopravvivere. Comunque ottime erano le omelette, le verdure, le salse, le insalate di salmone, le zuppe. In genere esiste un piatto unico piuttosto corposo.
Le ragazze cameriere ci vedono in tenuta sportiva e ci dicono che hanno pianto dalle finestre delle loro case a vedere l’arrivo o che hanno corso la gara l’anno prima.
Il giorno della gara riesco a finire sul polpaccio di una runner impegnata a fare stretching, con la ruota della bicicletta usata per spostarci dall’ostello alla partenza. Il suo sguardo omicida mi ha consigliato di svignarmela. Partiamo in gruppo, molto lentamente, a 7’/km e così abbiamo tempo di parlare o di ascoltare gli altri atleti. Più che una corsa, per quelli come noi, è un raduno internazionale di gente sconosciuta che fa amicizia. Poi al decimo chilometro decido di accelerare, troppo, e finisco sulle gambe gli ultimi chilometri caratterizzati da ponti in saliscendi che all’epoca mi sembravano piuttosto duri.
Per il resto noto gli incitamenti, i bambini che danno delle caramelle o simili e cercano il cinque, leggo le magliette, faccio tutte quelle cose che allora erano fichissime ed emozionanti, un po’ perché lo sono, un po’ perché erano novità.
All’ostello conosco il mitico Pete Elliott. Ha fatto in bici Londra – Amsterdam, ha corso la maratona, poi riparte per Londra. In seguito lo incontrerò a Londra, farà parte di un movimento ambientalista, correrà maratone su maratone, farà anche 60km a nuoto, cose così.
Mi segno una frase: “E’ la felicità dopo le corse che ti fa continuare oltre alla gente che incontri per strada.”
Conosco due signore anziane all’ostello. Dicono che sono di Amburgo, che correre è una questione troppo mentale perché ci riescano, mentre in compenso sanno tutto dei coffee shop. Ci mancavano solo le anziane fumatissime per completare la vacanza.