UNO: VERSO MODENA
Sabato otto marzo.
Ore sette e un quarto.
Frecciarossa per Milano. Binario nove. Stazione di Firenze Santa Maria Novella. Questi sedili nella zona business devono essere di pelle umana.
Di fronte a me siede una ragazza con due begli occhi azzurri ed espressione serena in viso, vestita con maglietta blu elettrico, pantaloni e collo della camicia bianchi, stivali da cowboy. È piena di anelli, braccialetti e altri ninnoli rigorosamente di argento.
Lei apre una valigetta ventiquattrore dove tiene dei biglietti da visita e un quadernone da appunti. Potrebbe andare a un convegno. Oppure a un master. La immagino come relatrice. Le do una trentina di anni. Sorride agli addetti che portano la colazione e il quotidiano. Lei sceglie “La Nazione” e ringrazia. Io prendo “La Repubblica” e non sorrido, né ringrazio, almeno non esteriormente.
A un certo punto lei inizia a mordersi le unghie, mentre sta leggendo il giornale. Prende la valigetta, apre il quaderno, guarda una cosa, lo richiude, richiude la valigetta, si rimette a leggere, continua a mordersi le unghie.
Ogni volta che usciamo dalle gallerie sulla Firenze – Bologna volgiamo lo sguardo dal tavolino dove si trovano i giornali o gli smartphone verso i colli, i boschi, i monti che stiamo attraversando da dentro. Riusciamo a intravedere un fiumiciattolo che non è stato del tutto seccato dalla costruzione delle gallerie.
Io inizio a leggere una decina di libri sul Kindle. Nel senso che leggo un pezzo di ognuno di loro. Il primo è “Le allegre comari di Windsor,” ma la traduzione mi fa ribrezzo, piena di dialettismi o tentativi di storpiare le parole. Peccato che siano in italiano e quindi non li trovi realistici. Passo a “Orgoglio e Pregiudizio” e il primo capitolo è divertente e motiva a continuare la lettura: la domanda “E poi che succede?”, il segreto di ogni storia, me la sono fatta. Mi chiedo se fosse necessaria la spiegazione degli atteggiamenti tipici di mrs.Bennet, ma sono fisime che derivano da troppi corsi di scrittura creativa.
Arriviamo alla stazione di Bologna. Scende anche la ragazza. Prima di salire nelle scale mobili che portano ai piani alti e all’uscita, poso lo zaino per terra e mi metto a controllare che non abbia lasciato qualcosa in treno. Alzo lo sguardo quel poco che basta per vedere lei a metà scalinata e perderla di vista per sempre.
Ore nove.
La stazione alta velocità di bologna deve essere stata progettata per far provare il brivido della caccia alla coincidenza, soprattutto se, per la legge di Murphy, il treno in arrivo è in ritardo e quello in partenza inizia la sua corsa in anticipo.
Questa mattina a essere in ritardo di venti minuti è il treno per Piacenza, che devo prendere per arrivare a Modena e da lì muovermi verso Mantova. Penso: anticipo il giro a Modena? O addrittura quello a Parma? Decido di non pensare. Passeggio. Scrivo. Leggo. Spengo l’ipad e il telefonino. Lo riaccendo per fotografare due ragazze coi capelli viola che entrano in stazione. Leggo a una pensilina dell’autobus un cartello dove il controllore viene chiamato verificatore perché scrivere in italiano comprensibile fa evidentemente schifo a qualcuno.
Le mie riflessioni sono interrotte da due coppie di giovani americani. Vado a sedere nel seggiolino di fronte al loro, in treno, per captarne le conversazioni, ma dormono. Data l’uniformità del paesaggio fino a Modena, mi metto a rileggere dal Kindle. Intanto una ragazza coi capelli ricci mori e un maglione rosso sta un quarto d’ora a parlare al telefono con qualcuno raccontando una mattina di disguidi causati dai treni: Italo era in ritardo, il treno per Piacenza è in ritardo, deve prenderne uno per Mantova, però forse arriva tardi e salta, allora magari prima va a Parma o no a Piadena insomma, dice, amore, dovunque io vada tu ci sarai a raccattarmi, vero? Io la vedrò per l’ultima volta a Modena. Prima sul treno per Mantova. Poi ad aspettare un bus di cui parleremo la prossima puntata.
TRE: MODENA
Cioè ecco insomma arrivo a Modena. Il treno da Bologna è riuscito a limitare il ritardo a cinque minuti, spingendo sulle piattezze della pianura padana. Dirà la guida del Touring che in realtà a vederla bene è piena di ricchezze e diversità. Da qualche altra parte qualcuno dirà che è stata invasa dai capannoni e qualcun altro che la nebbia è scomparsa, forse per fare uno scorno agli ultras e ai loro cori stereotipati.
Salgo sul treno per Mantova e leggo la suddetta guida della Lombardia per informarmi sulla città del tortello di zucca. Il treno non partirà mai. Dopo aver annunciato quaranta minuti di ritardo, al trentacinquesimo minuto, sarà cancellato, e una signora si lamenterà con un addetto delle ferrovie perché lei aveva un appuntamento, come se la colpa del problema fosse di chi stava comunque cercando di risolverlo.
Alla stazione di Modena mi sembra che manchi il binario cinque, visto che nel sottopassaggio, guardando sulla destra, i cartelli accanto alle scalette indicano il quattro e subito dopo il sei. In realtà il cinque esiste, c’è anche un gruppo facebook nato per sancire l’odio nei suoi confronti. Si tratta di un binario che è un po’ spostato più avanti rispetto agli altri e da lì partono e arrivano proprio i treni da e per Mantova. Casi particolari di numeri mancanti o curiosità sulle stazioni si trovano sul sito www.stazionidelmondo.com
I passeggeri rimasti senza treno, intanto, si sono diretti verso il piazzale degli autobus, da cui sarebbe partito un bus in sostituzione del cavallo d’acciaio. Qualcuno ha chiesto al conduttore del pulmino a nove posti, o quasi, diretto al Museo Ferrari, se fosse lui il sostitutivo.
Io evito ulteriori calche, ritardi, attese e anticipo la visita a Modena. Ho fame, ma non me ne curo. Guardo una mappa della città ma mi perdo. Guardo i cartelli stradali che indicano il percorso pedonale ma mi perdo. Guardo Google Maps e mi lascio portare da lui. Che poi è facile dalla stazione arrivare al centro della piccola città bastardo posto, come diceva Guccini. Dopo, è sempre tutto facile.
Il Duomo è romanico dentro. Ha una bella scalinata che ci porta sopra l’altare e ci dà la sensazione di essere un dio che troneggia sui poveri cristi che camminano nelle navate piano terra della chiesa. Per il resto, ammiro la bianchezza della torre Ghirlandina e alcuni palazzi intonacati con colori diversi visti in successione dal palazzo ducale. Il sito unesco, alla fine, non mi ha entusiasmato al massimo. Un’ora di visita, compreso un pezzo di passeggiata lungo le mura, e un pezzo di piadina in un bar, ed ecco che sono pronto a ripartire.
La gente è ben vestita, sembra ricca. In effetti Modena fu una delle capitali del boom emiliano: macchine e cibo buono, senza trascurare i distretti industriali come il carpigiano. Anche Parma e Mantova mostreranno, soprattutto la prima, nell’abbigliamento, nel portamento delle persone, nelle vetrine aperte ai desideri, il benessere economico raggiunto a suo tempo.
QUATTRO: MANTOVA
Arrivo a Mantova all’una e un quarto. Il treno, stavolta, era partito in orario da Modena, portando con sé studenti e qualche extracomunitario, uno dei quali rimbrottato dal controllore:”Il biglietto non è convalidato e siccome non ho voglia di discutere ti faccio solo cinque euro di multa, anziché sessanta.”
La città lombarda è piena di monumenti che appaiono lungo la strada che porta dalla stazione al centro. Vedo dei bei caffè, dei vicolini perpendicolari alle strade principali con diverse trattorie, un mercatino alimentare, varie, chiese, case di personaggi famosi come il Mantegna, Piazza delle Erbe, la Rotonda di San Lorenzo, l’orologio astrofisico, Piazza Broletto, ancora osterie con tavolini in piazza o sulla strada, tre delle quali scartate da me grazie alle recensioni di Trip Advisor.
Ecco poi Piazza sordello, enorme, affascinante per dimensioni e presenza di chiese, case e palazzi, e dalla geometria irregolare. Il bianco palazzo ducale risalta sulle costruzioni a mattoni. A nord della piazza appare uno scorcio sul verde e sui laghi che trasmette serenità.
Alla trattoria Sordello prendo un piatto di tortelli di zucca.
Cosa rende delizioso un tortello? Zucca dolce, ripieno intenso, pasta non troppo dura ma nemmeno spappolata: tortello resta integro quando viene afferrato dalla forchetta e si scioglie in bocca.
A tavola, ma anche poi in giro, oltre a sentire ogni tanto degli accenti toscani, vedo comitive di handicappati, prima dei ciechi e poi dei sordi che parlavano a gesti. C’è un gruppo di anziani che si lamentano di questi giovani che stanno a tavola e spippolano i cellulari. Me li immagino negli anni della loro gioventù e dello sviluppo economico: hanno l’aria di borghesi che ballavano nelle balere o più probabilmente sono dei contadini arricchiti durante gli anni del boom che adesso si godono la vecchiaia.
Ho voglia di vedere tutto, di non fermarmi, di non mangiare, di andare avanti, anche se mi ero detto di prendere il viaggio con calma (be’, dai, dopo posso rilassarmi). I miei viaggi sono dei tour de force che a me piacciono e ne ho un bisogno fisico. Come farei ad andare con altre persone che hanno ritmi diversi?
Oltre al turismo delle pascolate domenicali degli anziani e di associazioni varie, noto diverse coppie, soprattutto entrando a Palazzo Ducale, dove me ne frego del divieto illiberale di fare foto e vengo ripreso da una guida. Il Castello di San Giorgio è chiuso per restauro.
Esco e prendo due fantastiche sbrisolone. Poi mi muovo lungo il Mincio e nei prati circostanti prima di arrivare a Palazzo Tè, dal costo proibitivo dati anche i restauri, causa terremoto, che impedirebbero di entrare nella Grotta del Giardino e nella sala di Amore e Psiche.
Quanto è buona la Sbrisolona! Una pasta croccante e piena di mandorle. Ne prendo due.
Le strade al di fuori della parte monumentale non sono un granché. I prati attorno a palazzo Tè stimolano amoreggiamenti giovanili, riposo e meditazione.
Torno alla stazione.La mia ricerca di biglietterie automatiche si rivela infruttuosa.
Un bambino di colore mi prende in simpatia e mi dà la mano. Ai suoi genitori il bigliettaio spiega che lì non fanno biglietti internazionali. Vanno in cerca di agenzie di viaggi. Il bambino mi saluta. Chiedo al bigliettaio un biglietto per Parma. Sono pronto a ripartire. Sono le cinque del pomeriggio. Anche Mantova mi ha tenuto per quattro ore, come molte altre città italiane visitate in questi anni.
CINQUE: PARMA
Arrivo a Parma alle otto e mezzo. Esco dalla stazione ed è buio pesto. A tastoni, grazie anche a Google Maps, riesco a giungere al bed and breakfast trovato tramite airbnb. Siamo in quattro in stanza. “Le scarpe mettile fuori.” Sto in un letto a castello, di sopra. Sotto di me c’è una ragazza. Inoltre nella camera ci sono un ragazzo napoletano e un tale Sebastiano, che deve fare un po’ da guardiano. Il proprietario lavora nella ristrutturazione della cucina.
Porto tutto con me sul letto: zaino e vestiti. Vado a fare un giro, o meglio scappo dalla condivisione della stanza. Troverò un posto da mangiare solamente alle undici, in una pizzeria. Scorgo piazza della Pace e alcuni monumenti. La città è piena di gente in giro. Moltissimi stanno nei tavolini dei ristoranti. Si nota la tipica eleganza giovanile e di mezza età da sabato sera in una città mediamente ricca. Ho fame e paura di essere abbordato al ritorno nella buia via Trento. Il tragitto dalla stazione, la prima volta, mi era sembrato più lungo.
Arrivo in casa e mi accorgo con sgomento che i coinquilini non sono usciti. Anzi, peggio. Guardano C’è Posta Per Te alla televisione. Prima di dormire sento un lui dire a una lei che le manca. Prima ancora metto a caricare ipad e telefonino e ci aggeggio un po’. La notte mi rigiro, come mio solito, per quanto possibile visto che ho uno zaino sopra le coperte che mi impedisce di spostarmi a trecentosessanta gradi. Penso, durante i risvegli, a quale strategia adottare la mattina. Andare via subito e non rientrare, quindi lasciare i bagagli in un deposito che non esiste (fatto ricerca su ipad, ovvio) alla stazione. Oppure andare a Bologna prima e depositare i bagagli là, ma ci sarebbe da fare un biglietto in più. Il vero problema mentale è andare a prendere le scarpe sul balcone senza fare casino: avrei sicuramente svegliato tutti e fatto una figura di merda.
La mattina alle sette la soluzione nasce da sé. Mi vesto da corsa, sul letto, e parto. La giornata è sufficientemente calda da mettersi una maglietta adatta per i sedici gradi. Saranno sedici bellissimi chilometri in lungo e in largo per il centro di Parma, Giardino Ducale e Oltretorrente compresi. Nelle vie oltre il parco scopro che stanno allestendo un mercatino ambulante.
Vedo dei mendicanti davanti alle chiese. Una scritta sul muro riporta che lo Stato ti tortura. Speriamo che chi l’ha scritta non pretenda aiuti, servizi e prebende dal torturatore. Mi godo la soddisfazione di correre senza pressioni di tempo gustandosi la leggerezza. Mi spariscono la stanchezza malefica, il sonno, il caldo e acquisisco freschezza e leggerezza. Faccio 16km a digiuno e senza bere, a 6’10. il Garmin conferma di avere il passo istantaneo ballerino. Vedo cose nuove e corro con lo spirito del turista. Piazza pace, palazzo pillotta.
Penso al blog, anche. Non posso sempre volere il post perfetto e neanche posso sempre costruire storie. A volte possono bastare anche solo delle raccolte di appunti così come vengono. Atrimenti non scriverò mai, perché non avrò mai tempo.
Mentre corro trovo curioso che mi sembri poco il tragitto da percorrere se penso che mancano solo quattro chilometri, mentre se penso in termini di tempo, cioè che mancano ventiquattro minuti, mi sembrano ancora tanti.
Al b e b bevo (buona l’ acqua!), mi posiziono con le scarpe sulla scaletta del letto a castello, rimetto la roba che era sul letto nello zaino, vo in bagno, mi lavicchio, mi cambio, controllo di aver preso tutto, saluto i coinquilini e il proprietario in fretta e furia, riparto.
Rifaccio il percorso per il centro camminando. Quanti sono più lunghi i km! Sono molto rilassato e mi gusto le grandi piazze, il fiume, la gente. Sono indeciso su quale ristorante scegliere per pranzo. Passo avanti e indietro da uno stesso posto al parco Ducale per almeno dieci volte. Una ragazza che era ferma in piedi lì avrà pensato che volessi importunarla.
Mangio alla Trattoria del Tribunale. Spalla cotta, culatello, prosciutto, salame felino, tortelli alle erbette. Questi ultimi sono corposi, gustosi, si sciolgono in bocca. Sono buoni sia la pasta che il ripieno.
Sono le due. Entro in libreria e come ogni volta mi sembra di entrare in casa nei migliori momenti di relax. Mi segno alcuni libri da comprare su Amazon, tra cui il nuovo dizionario delle cose perdute di Guccini. Valuto anche frasi riportate a mo’ di slogan come “La letteratura è un riparo contro le offese della vita”. Il fatto che l’abbia scritta Pavese fa pensare che a lui non sia servita completamente.
Finisco il giro in libreria, riparto per la stazione e quindi prendo l’intercity per Bologna. Da lì in un baleno sono a Firenze, dove passeggio e mi sbraco per il parco di Campo di Marte. La sera c’è l’ultimo evento dell’weekend: la partita della Fiorentina.