there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Viva le liberalizzazioni e la concorrenza

| 0 commenti

Da “Dieci comandamenti dell’economia italiana”
Grazie alla concorrenza i consumatori possono scegliere tra più produttori i prodotti e i servizi. Affinché possa esistere devono esserci le seguenti condizioni:
 Deve esistere un mercato (cioè un’infrastruttura istituzionale, delle regole, al cui interno i prodotti possano essere scambiati;
I consumatori possono comprare ciò che ritengono soddisfi maggiormente i propri bisogni e gli operatori sono liberi di offrire i propri beni e servizi, salvo ragioni di interesse generale;
I costi per entrare nel mercato sono relativamente bassi (mancano barriere all’ingresso rilevanti);
L’informazione sulle caratteristiche dei beni e prodotti scambiati e dei compratori e dei venditori sono facilmente reperibili e accessibili a tutti, così da minimizzare i costi di transazione, cioè i costi di ricerca delle informazioni, di negazione, di conclusione di una transazione. Così lo scambio è favorito.
Un monopolista invece non è soggetto alla pressione dei consumatori e dei concorrenti e non ha incentivi a ridurre il prezzo o a innovare (attività che comporta dei costi) e non ha incentivi a offrire servizi migliori qualitativamente o offrire un mix di offerte più variegato. Il monopolista può escludere dal consumo chi non riesce ad acquistarlo al prezzo praticato, determinando una perdita di benessere in capo ad alcuni soggetti. Se il consumo è irrinunciabile il monopolista potrebbe fare leva sulla rigidità della domanda al prezzo e praticare prezzi onerosi.
In un mercato concorrenziale i diversi operatori devono competere per conquistare il cliente e per creare o mantenere dei margini. Per farlo o offre i propri prodotti a un prezzo inferiore o innova e differenzia sulla qualità. Per massimizzare i profitti le imprese devono soddisfare i bisogni dei consumatori e quindi prima di tutto conoscerli. Inoltre sperimentano processi o prodotti alternativi e devono sfruttare informazioni diffuse e informali. La concorrenza mobilita una mole di informazioni non centralizzabili, che si perdono in un regime monopolistico.
La concorrenza:
 riduce i costi nel processo di distribuzione di un bene o servizio
Riduce i prezzi e protegge il potere di acquisto dei consumatori
Tende a migliorare la qualità dei prodotti offerti perché grazie a questo miglioramento le imprese attraggono clienti e possono mantenere quelli già acquisiti.
Incentiva l’innovazione per offrire prodotti e servizi sempre più innovativi e di migliore qualità, specialmente nei settori in cui gli operatori competono su un livello tecnologico molto simile (settori neck and neck
Spinge l’innovazione e favorisce la tensione all’efficienza e al miglioramento continuo pe rsopravvivere sul mercato quindi
Tende ad avere effetti positivi sulla crescita economica, gli investimenti, l’occupazione.
Le liberalizzazioni sono riforme attraverso cui un certo settore viene aperto alla concorrenza, rimuovendo le barriere legali o economiche che la frenano.
Barriere legali: licenze, autorizzazioni, permessi.
Barriere economiche: caratteristiche di un bene, di un’impresa, di un fattore della produzione attraverso cui si può impedire l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato o ostacolare l’attività dei concorrenti attuali. Per esempio un input essenziale alla produzione di un bene o servizio può essere nella disponibilità di una sola impresa, che produce anche quel bene o servizio. Oppure un solo operatore ha informazioni essenziali sulle caratteristiche di un prodotto o dei suoi potenziali consumatori per ragioni storiche o di normativa pregressa.
Esistono poi come eccezione i monopoli naturali, cioè attività che non possono essere svolte in modo efficiente da più soggetti. Di solito questi casi riguardano infrastrutture essenziali per la fornitura di un servizio (come quello idrico o elettrico). Intervengono allora delle regole volte a:
Impedire che il monopolista legale non appliche prezzi eccessivamente onerosi per l’accesso all’infrastruttura così da escludere dal suo utilizzo quanti ne hanno necessità per la fornitura di un bene o servizio in un mercato a valle.
Non mettere in atto strategie discriminatorie.
Mantenere adeguati standard di miglioramento dela qualità e sicurezza dell’infrastruttura.
Di solito è un’autorità indipendente a definire le regole per la gestione dei monopoli naturali.
Poiché la principale barriera alla concorrenza viene dalla regolamentazione liberalizzare è spesso sinonimo di deregolamentare, per quanto la liberalizzazione possa richiedere l’introduzione di regole specifiche per governare la transizione. La regolamentazione eccessiva o di cattiva qualtià in Italia ha un significativo impatto negativo sul valore aggiunto, sulla produttività, sulla dimensione delle imprese. Questo effetto è maggiore nelle aree dove la pubblica amministrazione è meno efficiente.
In Italia è stato consentito l’accesso a nuovi operatori anche strainieri in molti mercati precedentemente chiusi o monopolistici: energia, gas, trasporti aerei, telecomunicazioni, distribuzione commerciale, banche, assicurazioni.
In diversi casi però la liberalizzazione non ha modificato molto gli assetti preesistenti: concessioni affidate senza gara e senza chiarezza sulla scadenza effettive (autostrade, spiagge…), industrie o servizi (in parte il trasporto ferroviario e parte dei servizi postali) in cui la liberalizzazione è stata solo formale.
La mancanza di concorrenza può verificarsi anche in settori molto frammentati. Per esempio l’innovazione tecnologica ha scarsamente riguardato le professioni ordinistiche (avvocati, notai, farmacie). L’impronta della disciplina rimane ancora corporativa e anticoncorrenziale. In alcuni casi vi è contingentamento numerico (notai, farmacie). Il divieto di pubblicità può essere restrittivo. Specifici vincoli si applicano solo in alcune professioni. Un elemento accomuna questi settori: la pretesa di dettare un modello organizzativo uguale per tutti coloro che svolgono la professione.
Le evoluzioni organizzative guidano la dinamica della produttività ancora più di altre forme di nnovazione tecnologica. Diverse forme organizzative, che incorporano gli effetti di nuove tecnologie, consentono di ridurre i costi di transazione e catturare efficienze, contribuendo a determinare la dimensione ottima di impresa, il livello ottimo di integrazione orizzontale e verticale ecc.
La competizione infatti si manifesta non solo nel ridurre i costi o incrementare la qualità o differenziare i prodotti ma anche tra diverse forme di organizzazione industriale. Ogni vincolo all’organizazione (per esempio l’attività professionale deve svolgersi da società di piccole dimensioni) si traduce in un vincolo alla crescita della produttività. Per esempio: nelle farmacie è possibile la partecipazione al capitale di associazioni professionali solo dal 2017, lo stesso per gli avvocati (dove c’è un tetto alla quota di capitale), tra gli ingegneri è stato stabilito solo da poco che le società di capitale non devono essere discriminate rispetto alle società tra professionisti. In alcuni casi permane il contingentamento numerico, come tra farmacisti e notai. I notai non possono costituire associaizoni professionali e non possono partecipare a società multidisciplinari.
La politica della concorrenza dovrebbe guardare con attenzione alle conseguenze dell’evoluzione tecnologica in generale e delle tecnologie diffuse in particolare. La connettività diffusa e il basso costo marginale della produzione, accumulazione, elaborazione del’informazione, rendono possibili oggi attività o business impensabili fino a poco tempo fa. Queste soluzioni spesso confliggono con norme preesistenti che appaiono superate dalla realtà. Il digitale favorisce la convergenza tra categorie merceologiche precedentemente distinte (vedi lo scontro tra taxi e ncc), dall’altro stimola le attività di intermediazione e quindi lo sganciamento dal modello dell’impres verticalmente integrata (con effetti enormi sulla natura del lavoro in essere). Ciò implica la necessità di strumenti come le sunset clause (leggi che hanno una scadenza) o leggi da sottoporre a tagliando (in parte un sistema del genere è adottato nella regolazione settoriale delle autorità indipendenti).
Spesso il legislatore ha un approccio a compartimenti stagni e ignora che determinazioni prese con obiettivi anche condivisibilie possono dare luogo a ostacoli alla concorrenza.
Quando è che la regolazione svolge un ruolo decisivo per le liberalizzazioni? Quando serve in via transitoria per traghettare un mercato dal monopolio alla concorrenza e quando la concorrenza richiede particolari condizioni per potersi svolgere e solo la regoazione (allo stato attuale della tecnologia) può crearle.
Nel littlechiled report della Thatcher per privatizzare British Telecom, con l’obiettivo di ridurre inefficienze e sprechi e stimolare la competizione e la qualità del servizio, era prevista una regolamentazione transitoria. BT era monopolista del servizio e proprietario e gestore della rete fissa. Era necessario impedire che l’integrazione verticale diventasse strumento di esclusione dei concorrenti dal mercato. È ingenuo credere di potersi liberare della regolamentazione tariffaria ma il principio per cui la regolazione debba essere transitoria rimane. Occorre avere una chiara visione e definizione di quali siano le pietre miliari che rendano la regolazione non più necessaria una volta raggiunte.
Uno strumento efficace è la regolazione asimmetrica. All’ex monopolista vengono imposti dei vincoli che non si applicano agli altri operatori di mercato con l’obiettivo di favorire la crescita di questi ultimi e garantire che la competizione si svolga su un terreno di parità. A volte basta la minaccia di competizione per generare i risultati attesi. In altri casi è necessario accompagnare lo sviluppo del mercato per prevenire abusi del soggetto dominante e mettere i consumatori nella condizione di comprendere le regole del gioco.
Nelle industrie a rete ci sono le reti che sono dei monopoli naturali. Alcune parti del servizio possono essere prodotte in modo più efficiente da un solo operatore per la subadditività dei costi: ci sono elevati costi di investimento iniziale e forti economie di scala. Duplicare le reti elettriche, del gas, delle ferrovie è costoso e a volte fisicamente impossibile. Il controllo della rete, se fa parte di società integrate verticalmente, può determinare vantaggi indebiti per le imprese legate a monte o a valle (fornitori, clienti), legati alle condizioni di accesso, alle politiche di investimento, alla disponibilità di informazioni privilegiate. La regolazione è allora essenziale a garantire da un lato che gli oepratori del monopolio naturale non estraggano rendite eccessive restringendo l’offerta, dall’altro che non determinino squilibri concorrenziali. Questi obiettivi vengono perseguiti con regolazione tariffarie e con diverse tipologie di vincoli, che possono andare dalla separazione proprietaria a forme più deboli di separazione volte a garantire parità nelle condizioni di accesso e a prevenire strategie di sotto o sovra investimento.
È possibile che i soggetti dominanti (cioè quelli che detengono una quota di mercato tale da permettere loro di compiere scelte di prezzo indipendentemente dalle reazioni dei concorrenti) abusino della loro posizione ponendo in essere strategie volte a innalzare i prezzi attraverso l’esclusione dei concorrenti dal mercato, la restrizione della produzione, accordi per la spartizione del mercato. In questi casi la regolazione interviene ex post attraverso autorità antitrust che impongono sanzioni o obblighi in capo alle imprese che hanno commesso l’abuso, volti a ripristinare l’assetto di mercato precedente l’illecito.
Nei servizi professionali ci sono rilevanti asimmetrie informative. Visto il contenuto specialistico delle prestazioni il cliente non è necessariamente in grado di distinguere il buon professionista da quello cattivo. I professionisti potrebbero essere tentati di abbassare la qualità dei servizi per ridurre i costi e accaparrare più clienti.
In questi casi la regolazione può essere utile a garantire un livello minimo di qualità ai consumatori anche se le nuove tecnologie ne hanno ridotto l’esigenza. In ogni caso la disciplina di riferimento per le professioni dovrebbe essere idsegnata in modo tale da perseguire i suoi obiettivi senza distorcere la competizione. Per esempio la previsione di requisiti minimi per l’esercizio della professione è una soluzione generalmente accettata mentre il contingentamento numerico appare anticoncorrenziale.
I regolatori non sempre sono bene informati e neutrali. Esistono diverse teorie economiche della regolazione. Per ragioni legate al processo politico e alle inevitabili asimmetrie informative la regolazione è soggetto di cattura, cioè di favorire interessi particolari (quelli del soggetto regolato, magari) piuttosto che quelli generali. Anche perché gli interessi particolari sono concentrati mentre quelli generali sono diffusi e difficilmente gli individui coinvolti ne hanno piena consapevolezza o comunque i costi pe ril coordinamento delle posizioni diffuse lo impediscono.
La regolazione deve essere stabile e prevedibile. Deve essere esposta il meno possibile ai cicli politico elettorali. La regolazione deve proporre documenti di consultazione ai regolati e i regolatori devono essere indipendenti sia per quanto riguarda le fonti di finanziamento sia per le procedure di nomina dei componenti le autorità di regolazione.
Affinché la concorrenza sia efficace occorre che il mercato sia lasciato libero di funzionare. Le imprese devono poter offrire i propri prodotti in un mercato aperto e i consumatori devono poterli scegliere. Coi loro comportamenti i consumatori fanno sì che le imprese migliori facciano utili e prosperino e quelle meno efficienti vengano espulse dal mercato. In tal modo liberano i fattori da esse impiegati, capitale e lavoro, consentendone un utilizzo maggiormente produttivo e incrementando l’efficienza del sistema economico nel suo complesso.
La concorrenza presuppone e produce un continuo rimescolamento dei fattori, una sorta di selezione darwiniana in forza della quale in un dato ambiente (cioè sotto specifiche condizioni di luogo, tempo e tecnologia) si affermano determinate caratteristiche. La nascita di nuove imprese, la crescita anche dimensionale di quelle migliori, il fallimento delle altre sono fenomeni che non possono essere disgiunti. Non si può pensare di trarre il beneficio della concorrenza (erosione delle rendite, miglioramento della qualità dei prodotti, innovazione) senza sostenerne il costo (uscita dal mercato delle imprese inefficienti) anche perché uno è generale e diffuso e l’altro è limitato e concentrato. Occorre casomai porsi il problema di come rendere socialmente sostenibili le transizioni professionali dei lavoratori.
Gli ostacoli alla riallocazione dei fattori determinano un impiego inefficiente delle risorse, cioè un costo sull’intera economia. Il maggiore costo o la peggiore qualità dei servizi si ripercuote a valle sull’efficienza di quelle imprese che li utilizzano come input nei propri processi produttivi. La libertà nel mercato dei prodotti rischia di non generare per interi o suoi benefici se a monte non vi è una uguale libertà sul mercato dei fattori.
L’impiego subottimale dei fattori è una delle principali cause del declino italiano. Accanto alle imprese che riescono a posizionarsi alla frontiera dell’efficienza, al di là della specializzazione in settori a basso o alto valore aggiunto, stanno imprese soprattutto piccole o piccolissime che non escono dal mercato pur essendo scarsamente competitive.
Le imprese a controllo pubblico impediscono la riallocazione dei fattori attraverso il meccanismo concorrenziale. Sono soggette a regole di fatto diverse dalle altre imprese. Le decisioni di investimento o disinvestimento nel capitlae da parte degli enti pubblici riflettono obiettivi politici. I fallimenti per inefficienza o i takeover ostili privati sono quasi impossibili. La probabilità di salvataggi è alta. Le imprese pubbliche sono di fatto non contendibili.
La presenza di capitale pubblico riduce la concorrenza effettiva e quella potenziale riducendo la propensione dei concorrenti a entrare sul mercato per cattura del regolatore più efficace e per il sospetto che la maggiore accessibilità ai decisori politici possa determinare trattamenti preferenziali.
Nei casi di monopoli naturali il regolatore non è necessariamente in grado di stabilire il livello ottimo di tariffe e investimetni. La teoria e l’esperienza consigliano di utilizzare le procedure competitive per l’affidamento in gestione degli asset. Attraverso una gara i diversi offerenti sono costretti a rivleare i propri costi e quindi forniscono al regolatore e al mercato importanti informazioni. La gara deve essere la più aperta possibile e prevedere condizioni di accesso tali da non far cadere la pressione regolatoria sull’aggiudicatario. La durata e le condzioni dell’affidamento devono essere tali da non favorire o consentire il formarsi di posizioni di rendita.
In alcuni casi in Italia il meccanismo delle gare è stato usato con successo ma spesso si è fatto ricorso a proroghe o affidamenti diretti a livello nazionale e locale. Per esempio nel 2018 l’autorità antitrust ha adottato una segnalazione con una serie di proposte relative ad ambiti quali autostrade, aeroporti, distribuzione gas, derivazioni di acqua per uso idroelettrico, concessioni portuali e marittime, concession idemaniali marittime per fini turistico ricreativi, posteggi per commercio su aree pubbliche, servizio postale universale, radiotelevisione, frequenze 5g. Non sempre le proposte normative sono condivisibili ma basta l’elenco  per segnalare quanto sia pervasivo il problema.

Lascia un commento