there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Volevano solo salvare il mondo (prima parte.)

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“Sono pazza di San Donnino.” Io alzo le sopracciglia e giro la faccia verso Marco, che ci sta guidando, con la sua macchina, verso Latina, dove stiamo per andare alla Riunione Nazionale di Greenpeace Italia. Lui ricambia lo sguardo e abbassa l’autoradio, da cui sta uscendo una canzone di Vecchioni.

“Gente si guarda perplessa in macchina.” Gabriella continua a conversare al telefono con qualcuno. Io mi arrogo il diritto di ritenere che sia il suo ragazzo. Sussurro un “Io adoro questa ragazza”, arrivata da pochi mesi nel gruppo locale di Firenze.

Come a voler sciogliere il gruppo di ascolto Gabriella abbassa la  voce. Io torno a guardare davanti a me, Marco rialza il volume dello stereo, che in uno strano mix di musica, sta passando tra il punk dei Ramones, cantautori italiani, grupppi ska o reggae o comunque popolari negli ultimi vent’anni e pertanto sconosciuti a me.

“Ma gli garba San Donnino. Proprio lui o il paese?”, chiedo dopo qualche minuto di contemplazione al nostro autista, nonché coordinatore del gruppo.

“San Donnino? Deve essere il patrono degli studenti universitari. Forse è per quello che gli piace.”

“Io vado a salvare io mondo e tu stai facendo l’aperitivo. Ma vergognati!”. Gabriella chiude la telefonata con queste parole, ridendo.

 

“Senti, ma tu te la prendi se pubblico le tue frasi su Facebook?”. Tengo l’iphone in mano e spippolo mentre chiedo l’autorizzazione. Non abbia a succedere come con alcune persone che si sono offese. Persone a cui tenevo, quindi ho cancellato quello che avevo scritto. Altrimenti me ne sarei fregato.

“No, no. Che frasi?”, mi domanda Gabriella avanzando dal sedile posteriore verso di me e tirandomi indietro la testa come a strozzarmi. “Potrei scaccolarti, in questo momento, lo sai?”

“Mah. Contenta te!”.

“Devi stare attenta, perché lui scrive tutto quello che dici.”, interviene Marco. Sulla strada un cartello annuncia che abbiamo lasciato la Toscana. Il traffico è molto scorrevole, direbbero i comunicati radio. Gabriella lascia la presa e noi, seduti davanti, sentiamo un fruscio come se venisse aperto un sacchetto di plastica. Effettivamente è proprio così. Gabriella ci dà un finocchio a testa. “Ottima cosa. Carboidrati.”. “Mah. Più che carboidrati, niente.”. “Anch’io devo imparare a portarmi della verdura in giro. Anche dei legumi. Leggi cosa ho scritto.”

“Dopo avere attraversato un viale trafficato malgrado il semaforo rosso, per i pedoni: non abbiamo tempo da perdere. Dobbiamo andare a salvare il mondo.” Gabriella ride e rimette a posto il sacchetto. Mi volto e faccio notare che è pieno. “Pubblica che abbiamo in macchina una spacciatrice di finocchi.”, mi dice Marco.

“Ok, capo.”

“Ci sono gli Sbanebio.” Marco alza il volume dell’autoradio.

Io non so chi siano. Gabriella aspetta la fine della canzone e inizia a parlare di Giuliano. Ci siamo dati appuntamento nel suo bar, in modo che lui ci potesse dare la benedizione, come membro storico del gruppo di Firenze.  “I gruppi hanno bisogno di figure di riferimento. Perché dice che non è giovane? Perché non potrebbe fare banchin?”

“Boh. L’ho visto demoralizzato, però ha anche detto che fa tante cose, dal Banco Alimentare, cui avevo pensato anch’io, poi fa meditazione.”

“Prima o poi tornerà.  Ha un tatuaggio con scritto Greenpeace nel braccio.”, fa presente Marco.

“Noo! Dai! Lui deve tornare nel gruppo. Ci vuole uno che dia energia!”, la stessa che trasmette Gabriella anche mentre pronuncia questa frase.

“È stato ovunque. Sessantottino vero, non riciclato. Hippy, aveva capelli lunghissimi.” Io e Marco iniziamo a fare la storia, per quanto la conosciamo, anche grazie alle sue email, il passaggio da Lotta Continua a Greenpeace, dall’ateismo al francescanesimo. Io ricordo di quando facemmo un incontro a Crasciana, un posto bellissimo e incontaminato incastonato nel verde delle montagne della Garfagnana.

Gabriella dice che è bello anche adesso, coi suoi riccioli bianchi.

“Certo che anche il bar gli porta via tempo. E magari gli porta ubriachi come quel signore lì, che è uno famoso in Morgagni.”

“Già. Non gli ha fatto nemmeno pagare il gelato. E’ uno dei personaggi storici di viale Morgagni. Ogni città ha i suoi. Alcuni non creano problemi, ma altri sì. Magari gli dovrebbe essere impedito di girare o infastidire. Salgono sugli autobus…” Marco viene interrotto da Gabri.

“Certo che non gli dovrebbe essere permesso di andare in giro, salire negli autobus. Non so lui, ma quando ero a Venezia arrivavo in ritardo a lezione perché saltavo gli autobus. Dovevo scendere quando salivano gli zingari e odoravano di morte: mi veniva da vomitare.”

“Guarda che belli! I lalli!”, esclama Gabriella dopo qualche minuto passato in compagnia dell’autoradio, immersi forse nei nostri pensieri. Io stavo elaborando quanto avevo appena sentito.

“Giá.”, dico, “pensa che tanta gente non li ha mai visti. Anche i colori. Guarda tutto quel giallo e tutte le sfumature del verde. In bici ho notato queste cose dopo tanto tempo, più di quanto abbia fatto correndo o camminando, per non parlare di andare in auto.Ho anche notato un bellissimo panorama di Firenze dal viadotto autostradale, per dire di quante cose ci sfuggono.” Sto per suggerire di fare un viaggio nel senese, magari nel percorso delle crete, che è uno dei più belli d’Italia, ma mi interrompo da solo iniziando a riflettere sul fatto che questi paesaggi li chiamiamo naturali, ma per la maggior parte sono stati modellati e gestiti dall’uomo.

Nel guardare i prati li immagino pieni di pannelli fotovoltaici e non è un’immagine che mi piaccia.

Marco ricomincia a parlare di Giuliano e dice che spera che venga nella prossima due giorni del gruppo locale perché può dare nuovo entusiasmo a tutti. Pensa che lui sia rimasto molto male dal fatto che l’anno scorso non sia riuscito a fare la presentazione che aveva preparato sulla Campagna Foreste a causa della sbornia della sera prima, la stessa che aveva portato me ad abbracciare un water.

 

 

 “Perché noi abbiamo una missione”, riesplode Gabriella, riallacciandosi a qualche altro discorso. “Dobbiamo migliorare questo mondo di merda che ci hanno lasciato i nostri genitori, che hanno vissuto il boom economico e possiamo ripartire da zero. Possiamo cambiare la storia.”

 

 

 

 

 

Anche i grinpisini hanno fame, tranne, forse, quando sono in azione. In quel caso tutti i pudori e i bisogni fisiologici sono alterati e quindi puoi farla da una torre a trecento metri di altezza sul mare e non conta che tu sia uomo o donna né chi tu abbia accanto o di fronte. Questa volta, però, non si tratta di una situazione eccezionale. Saranno anche solo acqua, ma i finocchi sono diventati il cibo più delizioso del mondo.

Nel frattempo, per arrivare a Latina sbagliamo strada una volta sola, notiamo l’assenza di indicazioni stradali, valutiamo il fatto che oltre Roma non esistono altre province laziali significative e passiamo da un paesino abbarbicato su una collina che ci piace molto, con vicoli e strade strette tipicamente medievali. Va a suo merito essersi dichiarato comune a rifiuti zero.

Sorpassiamo il cartello Latina e Gabriella vede una casa in costruzione. “E’ una cosa folle costruire ancora”, dice  in modo deciso. Marco afferma che magari il proprietario ne ha bisogno e lei replica: “Sì, ma mangia sulla pelle degli altri.” Penso che sia un po’ esagerata. Lo sviluppo, la crescita, il progresso ci permettono anche di giocare a fare gli ambientalisti.

 

Alla stazione di Latina ci attende Daniela, vice coordinatrice del gruppo, che ha frequentato un master a Roma. Nel viaggio verso l’albergo Gabriella nota due supermercati di fronte all’altro. “Che senso ha?”,  commenta. Daniela replica che possono esserci utili per reperire alcolici.

 

La location del meeting, come direbbero gli ingestisti dell’associazione è un albergo a tre stelle che dà su un parcheggio e una strada. Rispetto agli altri incontri è un posto inusuale, la cui scelta ha infatti sollevato polemiche da parte dei volontari.

Quindi niente dormite per terra, uno accanto all’altro, su materassi su cui hanno fatto finta di riposare generazioni di volontari e di attivisti. Neanche spazi verdi e campi di calcio davanti a noi, come l’anno prima nel centro ecumenico che non rilascia fattura.

Lasciamo i dati alla reception. Tutte le camere fissate per noi dei team di coordinamento dei gruppi locali sono triple. La disposizione delle persone in camera sembra casuale. Alcuni hanno qualche problema con le chiavi magnetiche.

Entro in camera. La cornice di legno di una porta si stacca. Lo sciacquone non funziona. Scendo.  Incontriamo Matteo da Olbia, ormai nominato campaigner alcool. Facciamo, quindi, un briefing birra. Andiamo a prendere una bottiglia di mirto. Il barista acconsente a tenerla in deposito nel frigo del bar.

La fame è sempre più pesante. Gabriella cerca di circuire un cameriere, chiedendogli se possiamo mangiare in anticipo, ma dobbiamo essere prima arrivati tutti, o almeno i volontari degli altri gruppi italiani che riescono a raggiungerci per le nove. Marco sente voglia di finocchiona, sapendo che per due giorni mangerà vegetariano. Gabriella chiede se si tratta della mortadella e nasce una disquisizione sui salumi e sul loro nome in vari dialetti.  “Non importa che vi incazziate perché non conosco la finocchiona.”

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