Alzarsi per primo o per ultimo? La notte è fatta anche di questi dubbi. Per ultimo sarei libero, ma rischierei di fare tardi. Allora mi alzo per primo e vado in bagno e faccio la doccia velocemente e senza fare troppo rumore. Dove mettere gli asciugamani bagnati è un piccolo problema che risolvo appoggiandoli in una specie di scaffale sotto il lavandino. Gli altri due in camera con me sono Andrea, genovese giramondo, e Roberto, più o meno ragazzo della ex del nostro coordinatore.
A fare colazione mi trovo quasi da solo. Non che mi aspetti le colazioni all’europea cui sono abituato durante le maratone internazionali, ma cibo e bevande scarseggiano.
Salgo di nuovo in camera. Metto in carica per un po’ l’iphone. Scendo. Incontro Roberta di Pesaro e la saluto. Era un anno che non ci vedevamo e quest’anno abbiamo anche chattato poco. Rivedo i ragazzi di Firenze e Pisa. Spiego che Sissy mi ha detto dove si trova la sala della riunione plenaria e mi ha anche detto di dirlo a tutti.
“Allora dovete scendere dalle scale e trovare la scala rossa.”
Daniela avanza, si riprende, è seria in viso: “A volte mi fai paura.”, mi dice. Poi mi abbraccia. Non so come sentirmi, quindi evito di sentirmi in qualche modo. Sto un po’ a sedere con Cinzia di Bologna. Arrivano Claudia e Clarissa e si mettono a sedere sulla poltrona a quarantacinque gradi alla nostra sinistra. Abbiamo tutti dormito poco, quindi non parliamo un granché, almeno finché non arriva Francesco che spara qualche stronzata delle sue. Non solo io faccio scambi di persone: Valentina di Bari la taggherò in una foto, ma non è lei. Qualcuno ha visto Francesco , uno del nostro gruppo locale, che non è presente oggi.
Andiamo in seduta plenaria.
Cambio tre posti in dieci secondi. Un po’ vado vicino ai toscani, un po’ andrei vicino ad altri, che vedo meno e vedrò meno una volta finita la riunione nazionale. Mi trovo vicino a Gabriella e mentre i componenti dell’ufficio di Greenpeace Italia parlano di bilancio e comunicazione resto affascinato dai suoi disegni di alberi con persone che si impiccano. “Gli alberi suicidi.”
Parla anche il direttore operativo, competente in materia di nucleare e protagonista di molte trasmissioni televisive nei mesi che hanno preceduto il referendum. E’ convincente nelle sue argomentazioni, ma il migliore è Giannì, direttore delle campagne, che sa tutto di mare e apprezza il lampredotto. Alcune sue battute sono da trascrivere: “All’Enel sono un branco di stronzi” la pubblicherò su Facebook suscitando le ire di qualcuno per eccesso di generalizzazione. Ci hanno denunciato per diffamazione e questo significa che stiamo facendo bene.
Discutiamo sul prezzo dell’indipendenza. Nel nostro caso sono le spese per mandare in giro i dialogatori, cioè coloro che raccolgono soldi. Ad altre associazioni basta una scrivania, un computer e la ricerca di fondi pubblici, da cui dipendono. Noi no. Non possiamo accettare fondi né da enti pubblci, né da aziende. Da fondazioni private invece sì. La fondazione Agnelli può sostenerci. Una fondazione americana ci ha conosciuto per l’attività contro i petrolieri nel Canale di Sicilia e ci vuole dare una donazione. La fondazione Fiat non potrebbe: cioè non potremmo accettare i loro fondi. Dobbiamo anche accantonare delle somme per cause legali. Alle sentenze di condanna preferiamo opporci piuttosto che pagare multe, che i giudici ci comminano per non entrare nella morsa dei processi.
Scoviamo un rimorchiatore che parte per l’Artico e non lo molliamo. Vorremmo farlo in Mediterraneo ma ci servono un pozzo e dei soldi. Inoltre non c’è un peschereccio a bandiera italiana. Preferiamo fare rete con altre associazioni.
Termina la seduta. Io sono ringalluzzito dalle parole di Giannì. “Lo adoro!”, sussurro a Gabriella.
Pranziamo. Si crea una grande tavolata tra toscani, liguri, emiliani e altre regioni. Dopo pranzo stiamo un po’ a cazzeggiare. Vorrei conoscere e incontrare tutti e ho paura di perdermi chissà cosa. A ogni occasione vado a mettere sotto carica l’iphone: non abbia ad abbandonarmi.
Saluto chiunque con “buonasera.” e invento che è un po’ il mio marchio di fabbrica. Facciamo una colletta per la birra della sera. Il prezzo è di due euro a testa. Decido di pagare per tutto il gruppo, quindi otto euro in totale. Non li ho spiccioli e Matteo non ha i soldi per farmi il resto a venti euro. Per farmi cambiare le banconote, vado a prendere un caffè insieme a Daniela al bar. Nemmeno loro hanno delle monete. Ci salvano le receptionist con due pezzi da dieci.
Alla stessa reception Dante chiede la password per l’wifi. Me ne faccio dare una anch’io, ma non funziona. Pensavo di usare l’ipad agli workshop, tra l’altro, ma poi opto per penna e quaderno (con che carta sarà fatto? E questa camicia quanto sarà sostenibile? Già mi becco i rimbrotti di Gabriella, come se la mia camicia comprata da Oviesse a non più di nove euro fosse di Prada.) Di tutta la tecnologia che ho portato, ho usato soltanto l’iphone, principalmente per, caricarlo, prendere appunti e scattare poche fotografie, tutte mosse. La strategia di uso dell’iphone nelle varie occasioni è una delle cose che potrebbero far pensare che io ne sia dipendente. Può essere. Tornando al discorso dei mezzi tecnologici non usati, fanno la loro figura il Garmin Forerunner, l’ipad e il kindle. Quest’ultimo si è piegato, tenuto in una borsa, perché probabilmente qualcosa ci ha fatto perno e così il suo schermo è diventato poco leggibile, in basso a destra. In pratica ogni anno devo tornare con qualche coccio a casa. L’anno scorso ruppi gli occhiali, che avevo lasciato sopra il letto prima di infilarci dentro, rigirarmi e buttarli per terra. Quest’anno è toccato al Kindle.
A molte persone di vari gruppi dico se vogliono venire all’incontro del nostro gruppo locale, almeno come vincitori di wild card personali, visto che la partecipazione di tutto il gruppo porterebbe a numeri insostenibili.
Entro nel mio workshop, che riguarda gli ogm. Gli altri del gruppo si dividono tra Coordinamento, Clima ed Energia e Media e Comunicazione.
“Vieni! Vieni!”, dico a Elisa e si mette a sedere accanto a me. Vedo la ragazza che non ho salutato la sera prima, piazzata poche sedie dietro. Arrivano Dante, Annalisa e mi rendo conto di avere esagerato nel pensare a un ricambio totale da disinnamoramento. Alla mia destra è seduta una ragazza dei Castelli Romani. Le chiedo di Valerio, uno dei grinpisini scomparsi poco dopo aver fatto il training per attivista con me, e anche con Elisa di Venezia. La ragazza, che si chiama Paola, mi dice che ne ha sentito parlare.
Questa frase è comune. In ogni gruppo locale e anche a livello nazionale o internazionale ci sono quelli di cui abbiamo sentito parlare. Quelli che hanno fatto la storia. La vecchia guardia. Fino ad arrivare ai fondatori: personaggi mistici che assurgono al ruolo di eroi senza che loro ne avessero la minima intenzione.