INSEGNANTE DI INGLESE You are a bitch, an asshole, a whore, a prick. You made a mistake. I come to your door at midnight. Sorry? Was? What? Un vecchietto con la stampella che era seduto nel sedile dietro al mio nel pullman di linea che mi avrebbe portato da Cork a Galway ha deciso di fare un corso di inglese a tutto il bus. Con la scusa di telefonare a una donna ha tirato giù un dizionario di insulti in poco meno di dieci minuti. Inoltre ha illustrato l’uso di alcuni pronomi interrogativi, alcune esclamazioni e l’uso del make o del do.
HEY, MAN, ARE YOU OK? Lo stesso vecchietto, poco dopo che mi sono seduto davanti a lui e subito prima di riempire di improperi qualcuno al telefono (oppure dare di matto) mi ha chiesto con la massima gentilezza possibile:”Hey, man! Are you ok?”
LA STRADA DEGLI ZOPPI. A un certo punto dal pullman, una delle prime fermate dopo Cork, sono usciti due uomini con la stampella e in giro almeno altri due giovani, stavano zoppicando. Ci sarà stata un’epidemia? Eravamo in un libro di Stephen King e un virus assassino stava iniziando a fare effetto?
L’ALZA SBARRE. Ho cinque minuti di tempo prima che parta il pullman. Decido di andare comunque in bagno. Cerco un cartello con la scritta toilet o un disegnino dai contenuti universalmente accettati. Non lo vedo. Mi muovo smarrito lungo l’unica sala di attesa mentre il tabellone riporta le partenze in programma. La mia è al quarto posto, poi al terzo, poi al secondo…
Salgo le scale che portano alla toilette. No, non ho chiesto niente a nessuno, sia mai! Ho semplicemente visto l’indicazione. Devo spendere venti centesimi per entrare. Un autista scrive un codice, la sbarra si alza, io sto per inserire i cent, lui mi dice di passare dietro di lui. “Hello, man! Take care.” Io ringrazio. Sì, poi ho preso il pullman.
IL VESTIARIO. Io non so quale sia il modo giusto di vestirsi, né come si abbinino i colori, né ci penso minimamente, né me ne frega. Detto questo, l’abbinamento dei colori dei vestiti, almeno a Cork, mi ha ricordato quello già notato a Londra o a Berlino: seguiva, cioè, la teoria del caos. (Nota per chi ha difficoltà di comprensione dei testi scritti, cioè, si dice, sempre più gente al giorno d’oggi, anche istruita: “seguiva” è legato alla parola “abbinamento.”)
I CAPELLI COLORATI. Niente. In Italia non mi sembra che le ragazze o le donne si colorino i capelli con dei colori che forse riassumono in sé tutta la tavola periodica degli elementi. Quando vado all’estero, soprattutto nei Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, vedo un sacco di colorazioni stravaganti, anche carine peraltro: fucsia, viola, arancioni, verdi, celesti.
IL CORTESE. Ci sono posti dove non puoi tirare fuori una mappa e dare l’idea, peraltro vera, di controllare come fare per arrivare in un posto, che spunta fuori dal niente una persona che ti chiede se hai bisogno di qualche informazioni. Questi posti si possono chiamare Amsterdam, Dublino oppure, appunto, Galway. Qua, appena uscito da casa e tirata fuori una cartina, si è materializzato un signore di una sessantina d’anni col cappello (forse aveva posteggiato anche una macchina), una giacca da contadino arricchito e tanta voglia di essere di aiuto. Non solo ha ribadito quanto era già visibile dalla cartina, dal mio percorso fatto in precedenza e da Google Maps: cioè che il centro era da quella parte, verso nord e che bisognava oltrepassare un ponte per arrivarci. Ha anche fatto da “Around me” vivente, consigliandomi ristoranti, pub, birre, vie di negozi (una, che poi si chiama non a caso Shop Street,) e perfino bancomat.
IL COMITATO DI ACCOGLIENZA. Immaginate di avere con voi la stampa del percorso dalla stazione degli autobus alla casa in cui alloggerete. Immaginate di avere poca batteria nell’ipad e nel telefonino e l’assenza di connessioni 3g dall’estero. Immaginate, comunque, di avere sia Google Maps che Maps.me aperti coi percorsi stessi. Non pensate di avere problemi a trovare il numero di casa, no? Una volta che siete arrivati alla via è un attimo. Quindi avete scritto alla proprietaria di casa che non ci saranno problemi e che non è necessario che vi dia delle indicazioni ulteriori. Dopo avere oltrepassato un supermercato leggete il nome della vostra via su un muro, Whitestrand Road, ma è in curva, e non vi piace molto. Inoltre le mappe disegnate sembrano portare più in basso rispetto a quell’angolo. Continuate nella via in cui vi trovate e scendete. A un certo punto leggete che i numeri vanno dal 41 al 47, quindi siete troppo in basso. Ma allora? Risalite, non per la stessa strada, che ha un altro nome. Infilate in un ginepraio di strade dai nomi Whitestrand Park o Loyola Place. Cominciate a chiedere. Una donna legge la mappa, non capisce nulla dalla mappa, chiede a due ragazze che passano di lì di guardare Google Maps. In tre decidono di farmi ripercorrere il pezzo in basso che avevo già percorso: dopo qualche centinaio di metri si accorgeranno anche loro che è sbagliato e mi dicono che allora dovrei andare indietro e vedere un po’, ma sono sinceramente dispiaciute. Una proprietaria di un b&b che porta a spasso il cane mi chiede il nome della mia ospitante, ma non la conosce. In compenso mi accompagna per un pezzo e poi mi dice che devo andare per la strada percorsa da un uomo in quel momento. Chiedo per sicurezza all’uomo stesso ed eccomi allora arrivato a un numero tre, ma il signore vede un numero appiccicato alla porta e dice che non può essere quella una porta di una casa. (Ok, lo dico subito: era quella la casa giusta.) Guarda la cartina e dice che devo chiaramente scendere di nuovo. Vado verso il supermercato, cioè risalgo, e un ciclista non sa che dirmi, mentre il signore di prima esce dal supermarket con un contenitore da pizza che presumibilmente ne conterrà una all’interno, surgelata o meno. Nel frattempo non riesco a telefonare alla proprietaria. In compenso arriva una salvatrice, tale Laura. “Are you lost?” Esordisce così. Nei successivi cinque o dieci minuti mi accompagna in giù (oh, non è la direzione giusta, come devo dirvelo! Voglio il numero tre!), mi racconta che è lì da due mesi, ma comunque ha sempre abitato a Galway, incontra un vecchietto (il terzo della giornata) e con lui chiacchiera del più e del meno. Al momento in cui dico che vengo da Firenze urlano all’unisono “Faboulous!” Ma adesso non è quello il punto. All’incrocio tra quei benedetti numeri 41-47 e la promenade che porta all’Oceano, mentre i due continuano a parlare tra loro e a cercare di trovare la casa per me, riesco a telefonare: è il + del +39 ecc.che bisognava fare. Malgrado il 7% di batteria la telefonata alla proprietaria di casa riesce: la tipa mi dice di passarle il telefono, lo faccio, e…così mi ritrovo dove mi ero già fermato una ventina di minuti prima. Quindi? Quindi niente: vissero tutti felici e contenti. La mia vacanza poteva dirsi iniziata.
SHEENA. “Ciao! Allora questa è la casa. Sei già passato dalle strade principali? Sei stanco? Mi spiace che tu abbia avuto difficoltà. Questa è Laura, la mia coinquilina biondona. Lei ha trent’anni. Io ventisei. Faccio la marketing manager con specializzazione nei social network. Stasera c’è anche il suo fidanzato. La ragazza biondina invece è studentessa. Come saprai, Galway ha quindicimila studenti: l’università nazionale è in questa città. Qui c’è la cucina (con cumuli di piatti da lavare, ndrr per quelli a cui queste cose interessano) e puoi farne ciò che vuoi. Puoi stare in soggiorno, guardare dei dvd, leggere dei libri: nessun problema. Vieni. Ti accompagno di sopra. Qua c’è il bagno: lo useremo in tre. (Come Sheena sia, la sera dopo, apparsa magicamente quando non si apriva la porta e io abbia tolto la chiave e forse insieme l’abbiamo aperta, non lo so, ndrr. Da quel momento non ho più chiuso a chiave la porta del bagno.) Quella è la tua camera. (Non enorme, ma accettabile. Inoltre silenziosa.) Quello è l’armadio. Quello è il letto matrimoniale. Se vuoi portare qualcuno, puoi farlo, ma non fate troppa confusione: la camera per questi giorni è tua. L’acqua del rubinetto è sicura, ma non gradevole: ti lasceremo un bottiglione d’acqua. Questi sono gli asciugamani. Se ti servono, ecco un po’ di guide. Se poi vuoi andare a mangiare ti consiglio…e se vuoi bere ti consiglio…e se vuoi locali con la musica live ti consiglio…e comunque eccoti la guida. Controlla gli adattatori se no usciamo a comprarne uno. Funzionano? Ok. Enjoy, allora..”
La sera dopo, alle 23: “Ciao. Come va? Io esco. Dove sei stato? Dai! Hai visto l’arcobaleno sulla baia? Wonderful! Adesso vado con gli amici. Per qualsiasi problema chiamami o scrivimi.”
La sera prima della partenza: “Ma certo che puoi stare qua anche una notte in più, così stai qualche ora in più a Galway e vai all’aeroporto partendo alle tre di notte in pullman. Non importa che paghi. Ah. Così puoi anche tornare a caricare i devices? Eh, già: è un problema un po’ per tutti quello, ormai:)”
IS EVERYTHING OKAY FOR YOU? Ok. E’ un’usanza comune anche negli Stati Uniti, quella che i camerieri nei ristoranti chiedano ai coienti se sta andando tutto bene. Ma qui esagerano. Mentre mangiavo delle ostriche e un fish and chips da Mc Donaugh’s, ben tre persone si sono rivolte a me con la fatidica domanda. Se avessi detto che il mangiare faceva schifo, sarebbero esplose in crisi di pianto, forse. Anche negli altri locali dove ho mangiato, la cortesia dei camerieri era eccezionale. L’unico posto da pollice verso, a proposito, è stato Winnie, dove il pesce era bruciato, aveva le lische e le patatine erano insipide e collose. Nei posti seri invece è andato tutto ok e il cibo era squisito: zuppa di pesce, salmone, altri fish and chips, per non parlare delle birre immancabili del pre cena e del post cena. La tradizionale Guinness, la galwayana Hooker, la rossa doolinese Dooliner.
GLI IMBROCCATORI. Le due ragazze hanno uno zaino più grande di loro, di quelli enormi da trekking. Camminano con passo tranquillo e sguardo sognante lungo Quay Street. Ogni tanto si scambiano due chiacchiere mentre rifiatano. Entrano in un pub pieno di gente dove viene suonata musica dal vivo. Si avvicinano a uno dei banconi. Chiedono una birra. La ottengono. Due uomini di una certa età iniziano a parlare loro, alla maniera irlandese, tanto per scambiare due parole in compagnia. Loro dicono qualcosa. Percepisco che sono italiane. Salutano. Sorridono. Escono. Vanno a sedersi attorno a uno dei tavolini all’aperto. Arrivano due uomini sulla trentina. Hanno uno zaino addosso anche loro, sia pure più leggero. Stanno in piedi e iniziano a conversare con le ragazze. Percepisco che sono italiani e che sono a Galway da più tempo. Io continuo il giro per la città. Al mio ritorno, verso mezzanotte, vedo che il dialogo continua. No, non c’è un finale, o almeno non so quale sia stato.
GIAPPONESI DI MERDA. Sei a Irismor, una delle isole Aran. Ti trovi sulla scogliera sotto il forte di Angus. Osservi il paesaggio lunare. Sei circondato da rocce, erba, mare. Il silenzio attorno è bellissimo. Le persone si limitano a meditare,contemplare, anche fotografare in silenzio e stando fermi. Il luogo si presta. Poi riprenderanno a camminare, con la tranquillità che ispira quell’ambiente. Quand’ecco che arriva un gruppo di una quindicina di giapponesi di merda che urlano, ridono, parlano ad alta voce e fotografano nel modo più rumoroso possibile. Non contenti di ciò, una signora sradica anche un fiore. Barbari venuti da est.
IMPORTATORI DI UMANI. Si trovano al porto dove attraccano i traghetti a Irismor. Non sono particolarmente invadenti. Semplicemente, sanno. Che tu andrai verso di loro. Appena ti avvicini quel tanto che basta, entri nella loro zona d’attacco:”Vieni dai. Dieci euro, noleggi la bici, e puoi andare in giro per tutta la giornata.” “Vieni, dai. Dieci euro e ti portiamo col calesse. I nostri pony sono al tuo servizio.” “Vieni, dai. Il minibus era qui che ti aspettava. Dieci euro e per tre ore di viaggio e due di sosta vedrai tutti i luoghi imperdibili di questa isola.” Io ho scelto il bus, anche se la bici mi ispirava. Il mio importatore di umani, oltre ad aver accalappiato me, ha anche fatto salire una coppia di italiani a cui mi sono ben guardato di rivolgere la parola. A un certo punto durante uno degli stop in viaggio, ho aperto la porta per scendere e lui ha detto:”Wait! Every inch counts here.” Avrebbe pensato a tutto lui, compreso finire due o tre birre mentre guidava, e illustrarci la storia e le tradizioni dell’isola. E’ stato un bravo importatore di umani, che coi suoi undici passseggeri, si è preso i suoi bei centodieci euro. Meritati.