Il presidente dell’Ecuador, Correa. Ne avrete forse sentito parlare come di un socialistoide che ha ripudiato il debito e per questo sembra amato anche dai pentafulminati di Beppe Grillo. Se volete saperne di più sulle questioni economiche e monetarie legate al Paese sudamericano potete leggere alcuni articoli di Phastidio.
Non avete invece sentito forse niente sul fatto che l’Ecuador viva delle esportazioni di petrolio e che da questo discenda il progetto di estrarre petrolio nel bel mezzo della foresta amazzonica, uno dei luoghi più biodiversi del mondo. Il presidente aveva concesso il permesso a trivellare, ma solo a condizione che non venissero costruite nuove strade di passaggio in modo da preservare l’ambiente. Fatto sta che una strada è stata illegalmente costruita. Fatto sta che l’azienda che estrae il petrolio è statale e la strada non l’avranno certo costruita gli indigeni. Anzi: loro, che vedono le fuoriuscite di petrolio, sono contro la strada e contro le trivellazioni e quindi vengono considerati dei terroristi dal presidente ecuadoriano. Niente di nuovo sul fronte bolivariano.
Niente di nuovo anche nel fatto che un governo centrale decida di non stare a sentire le comunità locali. Forse è una novità il fatto che il presidente si sia rimangiato la promessa, fatta nel 2007, di lasciare il petrolio sotto la terra del parco Yasunì, dove si trova il 20% delle riserve petrolifere ecuadoriane.
Niente di nuovo nel fatto che non risultano grandi movimenti di sensibilizzazione contro questa strada nel mezzo del parco nazionale dello Yasuni. Qualcuno si è mosso: per esempio Greenpeace USA. Io, comunque, in questa chiamata alla lotta contro le estrazioni petrolifere e in appoggio alle comunità indigene avrei messo in bella vista parole come “governo criminale” o “azienda petrolifera dello Stato.”
Niente di nuovo nel fatto che il primo commento sotto l’articolo de Il Post che ne parla minimizzi l’accaduto: “Quante storie: fate tutto questo casino solo perché non si tratta di un presidente destrorso sudamericano, altrimenti stareste zitti.” Anche i commentatori de “Il Fatto Quotidiano” che si considerano Amici del Presidente ritengono giusto distruggere l’Amazzonia per fare uscire il paese dalla povertà. Se fosse coinvolta una multinazionale americana, probabilmente, avrebbero un’opinione diversa. Se fossero coerenti, la loro opinione sarebbe almeno legittima.
Niente di nuovo nell’ennesimo scempio ambientale causato da un governo, anche se non risultano libri intitolati “I governi uccidono il clima.”
Due articoli di approfondimento si trovano su La Stampa e su Limes.